Per avviare una riconversione ecologica dell’economia in Europa mancano i soldi e si sbaglia metodo. Non bastano le alleanze auspicabili tra i vari Parlamenti europei. Occorre rafforzare l’accesso diretto dei cittadini alle decisioni. Ciò potrebbe passare per esempio attraverso l’obbligo per gli Stati membri di pubblicare l’elenco dei beneficiari dei fondi europei, incluso il Pnrr.
L’Europa affronta la sua sfida più difficile senza risorse e senza un metodo innovativo vincente. È quello che emerge da vari documenti elaborati dalla Commissione europea e dalle analisi di gruppi di economisti come quelli di Social Europe. Le istituzioni europee sono costrette ad ammettere che l’attuale bilancio dell’Unione non dispone di sufficienti disponibilità per sostenere gli obiettivi del Net-Zero Industry Act e per garantire condizioni di parità tra gli Stati membri. Le strade che si propongono sono tre: aumentare gli investimenti pubblici europei, scaricare sui singoli Paesi il peso della transizione, oppure fare intervenire il mitico mercato finanziario, che è la soluzione classica delle politiche europee degli ultimi anni che non a caso hanno fallito molti degli obiettivi e favorito la speculazione finanziaria.
A parole sono insomma tutti d’accordo. Quando si parla di Green si ottengono consensi. Ma la realtà sembra molto diversa da quel che si dice nelle occasioni ufficiali e nei convegni di esperti. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ripete continuamente il mantra della transizione ecologica e recentemente al Forum internazionale di Davos ha rilanciato le proposte del Piano industriale europeo per attuare il “Green Deal” anche come risposta all’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti. Il problema è che l’obiettivo di arrivare a produrre almeno il 40% di tecnologie green internamente all’Unione al momento risulta molto lontano, se non impossibile. Difficoltà che vengono esplicitate in un working paper che accompagna la proposta della Commissione europea del nuovo piano industriale. Se gli investimenti globali nelle tecnologie per la transizione energetica hanno raggiunto 1.300 miliardi di dollari nel 2022, secondo le stime dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), quelli annuali dovranno più che quadruplicare a oltre 5 mila miliardi di dollari per rimanere sul percorso del limite dell’innalzamento delle temperature a 1,5 °C. Entro il 2030, poi, gli investimenti cumulati dovranno ammontare a 44 mila miliardi di dollari, con tecnologie di transizione che rappresentino l’80% del totale (ovvero 35 mila miliardi di dollari). Si dovrebbe cambiare strada da subito e radicalmente anche perché il 41% degli investimenti pianificati (entro il 2050) è destinato ancora ai combustibili fossili.
Non si tratta poi solo di insufficienza di risorse e di paura nel superare l’approccio solito all’affidamento ai mercati. Si tratta anche della necessità di mettere in campo un metodo nuovo, più democratico, per affrontare la “rivoluzione”. Se non si coinvolgono i cittadini che sono i diretti interessati non si andrà da nessuna parte e nessuna istituzione sarà all’altezza. Una tesi che è stata lanciata con forza da un gruppo di studiosi della campagna Social Europe, tra i quali Jiulia Cagé, Lucas Chancel, Anne-Laure Delatte, che hanno firmato un articolo pubblicato sul sito di Social Europe.
Gli autori, alla luce delle varie tensioni sociali come quelle francesi contro la riforma delle pensioni, sostengono che siamo di fronte ad un bivio politico molto chiaro: o la società civile e le forze politiche progressiste riusciranno ad aprire brecce nel “consenso di Maastricht”, per riorientare la Ue verso una transizione climatica giusta e democratica, oppure le forze conservatrici rilanceranno le politiche di deregolamentazione e austerità, aggravando l’impatto ecologico e le disuguaglianze sociali. La tecnocrazia europea, ora alleata con le varie società di consulenza, non è all’altezza di questo slancio. “Le promesse di una nuova pianificazione – si legge nell’articolo – non avvieranno l’inversione a U richiesta dalla crisi climatica. È quindi giunto il momento di riprendere il controllo democratico da questo ‘consenso di Maastricht’”.
Per far questo non sembrano esserci troppe alternative. “È necessario sostenere un bilancio europeo reale e duraturo a favore della transizione climatica e sociale e introdurre un’imposta europea sul patrimonio, un’imposta sui profitti delle multinazionali e una democratizzazione dell’unione, chiediamo alle forze progressiste di unirsi attorno a una prospettiva politica transnazionale e imporre un’agenda ecologica, sociale e democratica alla prossima legislatura europea (2024-29)”. Non si può sprecare una occasione storica. “Per la prima volta il prestito congiunto si basa sulla solidarietà europea. Un piano di ripresa da 750 miliardi di euro (NextGenerationEU) ha restituito capacità di azione a un’Europa intrappolata per troppo tempo dalla scelta dell’austerità. Dobbiamo lottare per renderla permanente, aumentarne l’importo, riorientarla seriamente e sistematicamente per combattere il cambiamento climatico e sottoporre tutta questa spesa al controllo democratico attraverso una trasparenza radicale”.
La crisi ha dimostrato che gli aiuti di Stato e gli investimenti pubblici sono necessari per la sopravvivenza del tessuto economico. I nuovi progetti di comune interesse europeo convalidano la necessità di una svolta. Quando i “fallimenti del mercato” e le sfide della società richiedono finanziamenti pubblici, in materia di salute, politica sociale, istruzione, ricerca o ambiente, è necessaria una nuova capacità di intervento pubblico. Ma per intraprendere tutto questo è necessario un nuovo metodo. Da un lato, una tale riforma deve essere sostenuta da un’ondata di democrazia da parte dei cittadini stessi. Non bastano le alleanze auspicabili tra i vari Parlamenti europei. Occorre di pari passo rafforzare l’accesso diretto dei cittadini alle decisioni. Ciò potrebbe passare per esempio attraverso l’obbligo per gli Stati membri di pubblicare l’elenco dei beneficiari dei fondi europei, “una breccia aperta dal Parlamento europeo nei mesi scorsi che consentirà a tutti un adeguato controllo democratico”.