Mai così bassa la fiducia nelle istituzioni europee. I risultati della ricerca “Gli italiani e l’Europa” realizzata da Tecnè per RadioArticolo1
Europeisti frustrati. Traditi da un’Europa nella quale hanno creduto e continuano a credere nonostante siano profondamente delusi da istituzioni comunitarie che, lo ha detto anche Napolitano nel corso del suo ultimo discorso a Bruxelles, hanno mostrato gravi carenze e storture nel proprio cammino. E ancora: un’Europa sospesa tra l’essere minaccia e rappresentare un’opportunità, deteriorata dal risentimento sociale, inaridita dai tecnicismi di bilancio che hanno sepolto ogni respiro del grande progetto europeo. È questa l’immagine che si trae dalla ricerca “Gli italiani e l’Europa” realizzata da Tecnè per RadioArticolo1, il quotidiano on line e on air legato alla Cgil, nel quadro del progetto ElleEuropa patrocinato dal Parlamento Europeo.
Scorrendo le 29 tabelle della rilevazione, si delinea un’Europa divisa tra sogno e realtà. Dall’indagine emergono infatti dati molto preoccupanti ma allo stesso tempo un patrimonio di attese per molti versi davvero sorprendente. Balza agli occhi la fiducia nelle istituzioni, mai così bassa. Le amministrazioni locali sono quelle con il livello di apprezzamento più alto (36,7%), ma rispetto agli anni Novanta i consensi sono quasi dimezzati. Va addirittura peggio alle istituzioni nazionali, dove la fiducia precipita al 13,8%. Diversamente dalle attese, le istituzioni europee registrano un andamento migliore di quelle nazionali. La quota di fiducia è pari al 30,3%, con percentuali più alte della media nel nordovest (38%) e nel nordest (32,1%), mentre nel sud e nelle isole si registrano i livelli più bassi (26,1% e 16,3%). Una geografia che la dice lunga sulle “due Italie” che guardano a Bruxelles. Così com’è significativo che tra i giovani la quota di quanti esprimono una valutazione positiva sale al 59,1%, mentre scende progressivamente all’innalzarsi dell’età, fino a fermarsi al 22,6% tra chi ha più di 64 anni. Commenta il presidente di Tecné Carlo Buttaroni: “Siamo in presenza di un sogno che si tramanda, ma non si alimenta”. E, infatti, la fiducia è molto più alta della media tra gli studenti (61,6%) mentre crolla tra gli imprenditori e chi ha un lavoro in proprio (17,6%).
È ancora Buttaroni a segnalarci come non ci si debba sorprendere dell’immagine negativa che l’Europa evoca per il 51,1% degli intervistati. Il 54,7% dei quali ritiene però che farne parte rappresenti un vantaggio per il Paese e i più convinti, in questo senso, sono i giovani e i residenti nell’Italia centrale. Stare in Europa è importante per la crescita economica (55%) e l’ombrello europeo fa sentire “più sicuro” il 50,2% del campione d’intervistati.
Questo sentimento positivo si accompagna, però, a considerazioni ben più critiche rispetto a ciò che l’Unione Europea offre concretamente. La sintesi di Buttaroni è chiara: “Due intervistati su tre ritengono che l’appartenenza alla Ue non dia alcun contributo alla stabilità economica dell’Italia e una quota equivalente esprime analoghe valutazioni negative su ciò che riguarda la moneta unica”. Dicono le tabelle che per il 66,9% del campione, appartenere all’Unione non ha reso più forte l’Italia, non ha offerto nuove opportunità di lavoro (64,6%), né occasioni di sviluppo per le imprese (74,8%). E, soprattutto, non ha migliorato gli standard di vita degli italiani (83,9%).
Le note amare non finiscono qui. Le istituzioni europee appaiono lontane dagli interessi dei cittadini e non ne difendono gli interessi (72,8%). Oltretutto, l’82,1% ritiene che l’Italia abbia poca influenza sulle decisione prese a Bruxelles e proprio questo dato spiega la differenza tra la fiducia nell’Europa come “orizzonte di prospettive” e le valutazioni critiche rispetto a ciò che l’Europa offre in termini di contributi allo sviluppo del Paese.
“Siamo di fronte – sintetizza ancora Buttaroni – ad una doppia immagine dell’Unione Europea: la prima, quella delle opportunità, ovvero ciò che dovrebbe essere o potrebbe diventare, l’altra, quella attuale, legata alla formalità ragionieristica, fatta in prevalenza di vincoli e limiti. Guidata da una tecno-burocrazia che ha perso di vista i cittadini e dove il peso delle oligarchie europee sovrasta l’influenza che possono esercitare i singoli Paesi”.
Nel complesso, prevale un sentimento ambivalente tra “l’Europa lontana dai cittadini” e “l’Europa che dovrebbe essere”. Uno stato d’animo che si riflette sia in riferimento al Parlamento (ne ha fiducia solo il 30,2% degli intervistati), alla Commissione Europea (32,2%), al Consiglio d’Europa (33,4%) o alla Bce (32,2%), sia nel numero elevato di quanti ritengono che l’Italia debba rimanere membro dell’Unione (69,9%) e restare nell’Euro (64,2%). Dati, questi ultimi, sorprendenti (ma non troppo), che testimoniano secondo Buttaroni come lo spirito che ha animato il sogno europeo pervada ancora un’opinione pubblica che sembra semmai denunciarne la mortificazione proprio da parte delle istituzioni stesse. Se da un lato, quindi, si afferma una domanda di Europa, dall’altro, la presa di distanza dall’Europa così come è oggi, lontana dagli interessi dei cittadini, è ferma e senza appello. Un’Europa che sembra tradire le sue aspirazioni originarie nel momento in cui fa prevalere le differenze, anziché le condivisioni. Un sogno, come sosteneva il presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz in un’intervista sempre a RadioArticolo1, che sembra essersi infranto sugli scogli della crisi e sulla rigida disciplina di bilancio, ma che avrebbe bisogno di ben altro per ritrovare quella narrazione comune che vede protagonisti 500milioni di cittadini.
All’Europa, suggerisce infine Buttaroni, servirebbe un new deal per “trasformare una ritirata in un’avanzata”, come disse Franklin Delano Roosevelt nel suo discorso d’insediamento alla Presidenza degli Stati Uniti. Un discorso che diede vita a un piano di interventi che cambiò radicalmente i paradigmi di governo dell’economia, assumendo, in un momento di grande crisi, il 60% dei disoccupati e dedicandoli ad attività di sviluppo del paese: parchi, ambiente, edilizia e infrastrutture. Anche l’Europa ha bisogno di un “nuovo corso” per uscire dalle acque basse in cui è incagliata, perché l’asprezza della crisi merita risposte forti in termini di rilancio di politiche attive per il lavoro, difesa e valorizzazione del patrimonio industriale e irrobustimento del sistema di welfare.
“È giunto il momento della svolta, di sviluppare una vera e propria unità politica con l’obiettivo dell’interesse comune. Solo se i governi faranno propria questa consapevolezza si potrà invertire il processo di degenerazione economica e dare slancio e reale unità all’Europa” è la considerazione che Carlo Buttaroni ci consegna a conclusione dell’analisi della sua rilevazione.