In Grecia il governo di Nea Demokratia attua una riforma del lavoro che toglie la giornata di 8 ore e agevola la gigeconomy. Ma i ciclofattorini del food delivery ottengono di rimanere dipendenti con l’appoggio dei consumatori teen. Intervista al segretario di Syriza.
Un fiume di riders con gilet e borsoni rossi ha attraversato le vie di Atene a fine settembre. Hanno sfilato trionfanti e pacifici lungo le stesse strade che nove anni fa sono state messe a ferro e fuoco nelle manifestazioni contro le misure capestro di austerity volute dalla Trojka. I rider greci hanno vinto la loro battaglia contro la multinazionale tedesca Delivery Hero che intendeva trasformarli in lavoratori autonomi. La loro è stata la prima battaglia con “happy end” finale della sinistra greca dopo la pandemia. Una vittoria tanto più sorprendente in quanto ha riguardato un settore come quello delle consegne a domicilio dove non esiste un radicamento del sindacato tradizionale – il GSSE – , dove invece prevalgono condizioni di lavoro precarie e molti lavoratori sono immigrati.
I rider anche in Grecia sono diventati molto popolari durante il lockdown e la loro battaglia ha trovato – come in Italia nel “No delivery day” di fine marzo – una nuova forma e una inedita alleanza con i consumatori, seguendo caratteristiche di conflitto più proprie di un movimento sociale rispetto a quelle tradizionali del mondo del lavoro. Come riconosce anche Dimitris Tzanakopoulos, ex portavoce (o meglio ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) del governo guidato da Alexis Tsipras, ora deputato e segretario del Comitato centrale di Syriza, che rivendica la vittoria.
La vicenda dei rider greci consente tra l’altro di ottenere uno spaccato dei cambiamenti nella società e nella sinistra greca a due anni dal ritorno al potere del partito di destra di Nea Demokratia con il governo di Kyriakos Mitsotakis.
Poche settimane prima della lettera con cui la multinazionale del delivery, tramite la app greca E Food, annunciava a tutti i riders alle sue dipendenze il licenziamento e la loro trasformazione in lavoratori indipendenti, in Grecia è entrata in vigore una nuova legislazione del lavoro, una riforma varata dal ministro del Lavoro Kostis Hatzidakis che pur non riguardando specificatamente il settore del delivery, ha costituito la cornice della protesta. Anche perché per la prima volta la nuova legge incorpora una carta del lavoro digitale, non solo su piattaforma ma anche il cosiddetto “smart working” o telelavoro da casa. In particolare secondo la ministra ombra del Lavoro di Syriza, Mariliza Xenogiannakopoulou, all’articolo 69 “presume che i contratti di lavoro dei fornitori di servizi su piattaforma non siano lavoro dipendente. Cioè, stabilisce una presunzione che i distributori siano liberi professionisti e quindi non siano coperti dal diritto del lavoro per i loro diritti”.
La legge 4808/2021, denominata più agilmente “Labour Protection Act”, nel recepire la Direttiva europea sui licenziamenti collettivi del 2019 introduce tutta una serie di deregolamentazioni insieme a qualche timido avanzamento come il congedo parentale per i genitori con figli malati di Covid o l’inserimento delle molestie sessuali tra le discriminanti ancora valide per impugnare per giusta causa un licenziamento o ancora l’introduzione di sostegni statali ai lavoratori di aziende che con il Covid hanno subito una decurtazione della produzione qualora le imprese decidano di non licenziare. I punti cruciali della riforma, i più criticati dall’opposizione, riguardano in ogni caso la non impugnabilità dei licenziamenti previa comunicazione alle organizzazioni sindacali e una liberalizzazione quasi totale dello straordinario, cioè l’allungamento dell’orario di lavoro senza maggiorazione fino a 10 ore al giorno e l’estensione dello straordinario legale a 150 ore l’anno.
Per la prima volta, poi, si opera una distinzione tra dipendente e appaltatore indipendente, una figura di lavoratore che si va a definire come “partner” se “in grado di fornire servizi su una piattaforma competitiva” attraverso la quale “si possono affidare a terzi i servizi svolti”.
È in questa forma di “imprenditori di se stessi” che i circa 3 mila riders impiegati da E Food, la più gettonata piattaforma di delivery food di tutta la Grecia, hanno rifiutato di trasformarsi. Si sono opposti ai licenziamenti attraverso la mobilitazione del piccolo sindacato di area anarchica Sveod (Σ.Β.Ε.Ο.Δ.) che ha una storia ventennale di radicamento nel quartiere universitario di Atene, Exarchia, forte della visibilità delle lotte anni Ottanta dei pony express sotto le fantomatiche bandiere dei “Caballeros”. Solo in un secondo tempo la lotta dei ciclofattorini ateniesi si è estesa ed ha trovato l’appoggio del sindacato di categoria Poett (Federazione panellenica dei lavoratori dell’alimentazione e del turismo).
Ma ciò che ha determinato il rapido dietrofront della multinazionale è stato il boicottaggio di solidarietà attuato in massa dai consumatori attraverso l’adesione alla campagna lanciata sui social media da un collettivo di cyberattivisti che si chiama Radicalit e raccoglie ricercatori e lavoratori delle aziende telefoniche e digitali e dei call center sensibili ai richiami di Yanis Varoufakis e al suo Diem25. È infatti datato 15 settembre, otto giorni prima dello sciopero dei sindacati di base, il comunicato con cui il collettivo Radicalit lancia l’hashtag su Twitter e Instagram #cancel_efood. L’hashtag, rilanciato dai volantini sindacali ad Atene e Salonicco, in breve tempo è diventato virale riuscendo a conquistare anche la platea decisiva dei teenagers, grandi consumatori di pita e gyros a domicilio. Decine di migliaia di clienti si sono disconnessi dalla app sul telefonino, tanto che la sua quotazione sul motore di ricerca Google in pochi giorni crolla da 4,5 a 1 stella. Un enorme danno finanziario oltre che d’immagine.
Il 21 settembre, due giorni prima dello sciopero e la sfilata dei rider per le vie di Atene, in Parlamento Yanis Varoufakis ha pronunciato un lungo discorso nel quale ha rivendicato la battaglia contro i licenziamenti di E Food, presentandola come antesignana di una nuova resistenza contro l’arrivo di quello che definisce “un tecnofeudalesimo” che rischia di instaurarsi con lo sbarco anche in Grecia delle maggiori piattaforme della gigeconomy (Amazon e Uber non si sono ancora installate neanche ad Atene). Nelle sue parole ciò che si insedierà presto anche in Grecia insieme al capitalismo su piattaforma sarà un sistema che vuole portare la condizione del lavoro ad un distopico “Tempi Moderni di Chaplin moltiplicato al massimo”, nel quale “il valore non sono la terra o la fabbrica ma i big data”. Per l’economista fuoriuscito da Syriza la riforma del lavoro del governo Mitsotakis “è tagliata e cucita addosso alle necessità delle piattaforme”. E l’unica risposta possibile “è l’autorganizzazione dei lavoratori anche al di fuori dei sindacati ufficiali”.
L’obiettivo di contrastare il “Jobs act alla greca” è comune con Syriza. Il segretario di Syriza, Tzanakopoulos, lo individua come priorità insieme alla riconquista della contrattazione collettiva in uno dei primi incontri pubblici dopo l’emergenza Covid nella città di Nafplio, a metà ottobre. Nel comizio nella principale città dell’Argolide, Tzanakopoulos attacca frontalmente “questo governo che si definisce dei migliori ma è soltanto un esecutivo di oligarchi incapaci che governano sotto dettatura”. La dimostrazione è nei “fondi del Pnrr che, vedrete, andranno a finire solo nelle tasche di dieci-quindici grandi aziende, alle quali le piccole dovranno solo accodarsi”, senza interventi reali a favore di un miglioramento della sanità, del welfare – “che non è solo l’erogazione di servizi ma un altro modello di sviluppo” – e della lotta ai cambiamenti climatici. Difficile – ammette il segretario conversando a margine dell’incontro – è ricostruire l’unità della sinistra ellenica.
La strada per tornare al governo tra due anni è ancora in salita. Varoufakis non ha risposto positivamente alle aperture di Syriza e lo stesso Tzanakopoulos ammette che non è chiaro se Syriza mantenga una presa sull’elettorato pari al 33 per cento conquistato nel 2019 con due milioni di voti. Si teme che possa aver perso parte dei suoi sostenitori soprattutto nelle classi medie, tornate a votare Nea Demokratia dopo la fine del Memorandum. Non è escluso che il partitino di Varoufakis recuperi consensi nel voto d’opinione ma, chiarisce, non ha radici nella classe operaia e nei sindacati.
Quanto alla scarsa risposta di mobilitazione sociale contro una riforma del lavoro che giudica regressiva, il giovane segretario spiega: “I sindacati in Grecia hanno problemi strutturali. Lo scontro con il governo è stato portato avanti dai sindacati di primo e secondo livello territoriale e dalla sinistra politica. Ma GSEE, il sindacato di terzo livello (confederale Ndr) in realtà ha sostenuto le scelte del governo. In Grecia – continua – non abbiamo la stessa tradizione sindacale di altri paesi come l’Italia. Sì, abbiamo avuto partiti socialisti molto forti e un forte sindacalismo, nel passato. In questo momento però i sindacati non rappresentano la maggioranza dei lavoratori. GSEE rappresenta il 5% dei lavoratori. Quindi lo scontro è stato piuttosto politico”.
Stante le divisioni a sinistra e lo strascico dello strappo di Varoufakis con Tsipras all’epoca del Memorandum, la vittoriosa battaglia dei riders è stata finora l’unico, inaspettato, momento di confluenza tra le principali anime della sinistra greca.
Dimitris Tzanakopoulos a Nafplio