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In ricordo di Stefano Lenzi, ragazzo degli anni ’70

Il liceo Mamiani nei turbolenti anni Settanta a Roma, i golpe in Cile e in Grecia, poi il ritorno da Genova e l’amicizia ritrovata, il suo rigore d’indagine sui dossier scottanti delle battaglie ambientaliste. Il ricordo di un amico caro.

Ho conosciuto Stefano nell’autunno del 1972, entrambi matricole al Mamiani, liceo classico romano nel quartiere Mazzini. Lui 14 e io 13 anni e mezzo. Magro e sorridente, era un bel ragazzo che aveva fatto le medie lì vicino, nello stesso quartiere e quindi conosceva molti altri neoiscritti. Io invece venivo da più lontano, da Trionfale, e non conoscevo quasi nessuno.

Come quasi tutti i “mamianini” aveva una solida estrazione borghese, rigorosa e sobria. Entrambi fummo presto folgorati dalla passione politica che di fatto qualificava il nostro liceo. Già da giovanissimi ci impegnammo nel grande partito di massa della sinistra, che si riprometteva di cambiare la società e il mondo intero senza nessuna indulgenza personalistica né scorciatoie di vantaggio. Certo, a quell’età il Partito era piuttosto pesante e faticoso, con quello straordinario, ossessivo senso di responsabilità che di fatto teneva a distanza i propri giovani dalle contaminazioni con i fermenti giovanili di quegli anni. Stefano aveva già allora tratti di calvinismo che lo rendevano spesso quasi impermeabile. 

Nel biennio ginnasiale non eravamo nella stessa classe, ma imparammo da subito a collaborare nella comune scelta politica con slancio, generosità e affetto reciproci. Nel triennio successivo del Liceo mi trasferii nella sua classe, dove peraltro avevo molti amici per vari motivi, anche sportivi (giocavo a pallone e giochicchiavo a pallavolo) e di provenienza giovanile (su tutti Luca, scomparso qualche anno fa e anche lui come me figlio Rai). Quella classe della sezione E diventò presto fulcro della scuola soprattutto per la presenza di Stefano, che con gradualità inesorabile diventò un capetto (forse il capetto) della scuola, anche a scapito dell’originaria allegria. Con la direzione di Stefano la Fgci al Mamiani assunse dimensioni ragguardevoli, forse uniche nella città di Roma, mantenendo comunque un atteggiamento molto aperto verso le altre realtà politiche progressiste, diffuse e presenti nella scuola: utilizzando il proprio forte protagonismo, Stefano spingeva sempre verso l’unità e la collaborazione con tutti gli altri soggetti che si collocavano dalla stessa parte, controcorrente in quegli anni di settarismo e fanatismo diffusi.    

Stefano era una sorta di sacerdote laico nella scuola, sempre presente a tutte le iniziative, dove faceva il leader ma anche la manovalanza, nella distribuzione del materiale, la vendita del giornale, l’affissione dei tazebao scritti da lui il giorno prima. In quegli anni “vivaci” mantenne sempre intatta la sua mitezza, senza mai ridurre la sua dedizione.

Curioso come pochi di tutti i fermenti e movimenti giovanili che attraversavano Roma e l’Italia di quegli anni, Stefano restava sempre piuttosto allineato con la scelta del compromesso storico, considerato necessario in quel contesto di equilibri internazionali con rischi di derive autoritarie (vds il Cile o qualche anno prima la Grecia). Per non parlare delle pericolose avventure per la democrazia italiana prodotte dalle stragi e dal terrorismo.

A latere di questo impegno che definirei totalizzante, c’era un corrente impegno scolastico che gli consentiva un’evoluzione costante nel suo cursus, senza intoppi. Ricordo pomeriggi interi passati a studiare a casa sua in Piazza Mazzini, a volte con un tenue sottofondo di canzoni di Guccini che lui amava. 

Eppoi, c’erano i suoi amori, di cui parlava poco, non troppi e talora fatti di alterne vicende, che esplodevano soprattutto d’estate, quando andava in vacanza a nord di Sassari, dalle parti di Stintino.

Dopo la maturità (estate ’77) ci siamo un po’ persi di vista, ma lui ha continuato il suo percorso di rilievo, dapprima collaborando all’Unità eppoi, ormai distante dalla politica attiva, impegnandosi nell’associazionismo e anche sviluppando un’importante esperienza nel mondo professionale delle relazioni pubbliche. Eppoi l’approdo al Wwf, la sua passione, dove sin dall’inizio si è dedicato ai dossier più delicati mediante istruttorie dense e profonde e, soprattutto, ricche di analisi e di proposte. Per non parlare delle istruttorie certosine che faceva ogni anno sulle Leggi finanziarie, fornendo contributi nevralgici al Wwf e all’intero ambientalismo.

Lo rividi a inizio anni ’90, a seguito del disastro della Haven (la petroliera affondata nel ’91 al largo di Genova): lui era una spina nel fianco delle strutture governative dedicate. Viveva a Genova con la compagna Monica e due figli. Non ci siamo più persi di vista, con le alterne vicende di un rapporto di amicizia profondo e sempre molto schietto, qualche volta forse troppo.

Il suo rigore e le sue capacità, uniti a livelli di competenza ed esperienza davvero unici, hanno reso un grande servizio a tutti, ai Comitati locali, alle Associazioni, ai cittadini, dei quali sapeva declinare e codificare le esigenze da portare ai più alti livelli istituzionali, sempre convinto che le battaglie potessero avere maggiori possibilità se fondate sull’unità e la leale collaborazione tra le diverse associazioni ambientaliste e civiche: in questo è rimasto uguale a se stesso e alle sue origini.  

Ciao, amico mio.