Trump tenta di contrastare il sorpasso tecnologico della Cina ma anche la stampa anglosassone si è accorta che dal cyberspazio alla governance della rete è il Paese asiatico che sta per dominare il mercato.
Come è potuto succedere?
Nel mondo anglosassone resta quasi soltanto Donald Trump, comunque certamente un combattente di peso, per cercare di contrastare l’avanzata e il sorpasso scientifico e tecnologico della Cina sugli Stati Uniti. Sul piano della riflessione, a leggere almeno alcuni articoli e studi apparsi di recente sempre sulla stampa anglosassone, tale sorpasso viene invece ormai dato come inevitabile, dopo che per anni esso era stato giudicato impossibile o molto difficile.
Si è sussurrato così a lungo, negli Stati Uniti come in Europa, che i cinesi erano solo bravi a copiare le scoperte degli altri e che un sistema con un forte intervento statale e a regime autoritario era strutturalmente incapace di innovare in modo adeguato. Solo la democrazia, si aggiungeva, con la libera ricerca e con la libera discussione, poteva permettere ad un Paese di avanzare sulla strada della scienza e della tecnologia, oltre che, più in generale, su quella di un’economia avanzata. Ci si rifaceva, tra l’altro, in negativo, alla non troppo brillante esperienza sovietica in proposito. In sostanza, la Silicon Valley era impensabile senza la democrazia americana, come sottolinea non senza ironia un articolo di Le Monde di questi giorni. Ma ora le prodezze tecnologiche di Shenzhen e di Shangai destabilizzano il quadro.
Per altro verso, molti americani non riescono ancora oggi persino a capire come un’economia di tal sorta, con un intervento continuo del governo sulle imprese, possa progredire tecnologicamente, se non rubando in ogni modo, in particolare con lo spionaggio o con contratti capestro con le imprese occidentali, i segreti delle tecnologie avanzate.
Ma ora l’atmosfera e la riflessione sul tema stanno cambiando in modo abbastanza radicale.
Nessuno peraltro ricorda che per qualche millennio la Cina è stata il Paese che ha prodotto il maggior numero di innovazioni a livello globale. La forza della braudeliana “lunga durata” sembra ora affermarsi inesorabilmente ancora una volta.
Ci riferiamo così in particolare, per registrare la novità, ad un articolo comparso di recente sul britannico Financial Times (Kynge, 2018) e ad un numero speciale dello statunitense Foreign Affairs (Foreign Affairs, 2018), anch’esso uscito da poco, dedicati all’argomento. Accenniamo ancora soltanto ad un terzo articolo sul tema, un po’ più sfumato nelle conclusioni e scritto sul New York Times dal presidente del MIT di Boston (L. Rafael Reif, 2018), che lancia comunque anch’egli l’allarme sull’arrivo più o meno imminente dei barbari.
Mentre il primo testo affronta la questione del sorpasso tecnologico cinese in generale, il secondo concentra invece in specifico la sua attenzione, nei numerosi contributi presenti nel fascicolo, sul tema di internet.
Il primo testo
Il primo articolo, nell’esaminare l’attuale conflitto di Trump contro la Cina, sottolinea come certo il Paese asiatico abbia ancora bisogno di molte tecnologie occidentali per andare avanti, ma come, in presenza ora dell’ostilità statunitense, le imprese del Paese stiano fortemente riducendo il loro affidamento sulle tecnologie e sulle produzioni interne Usa nelle loro catene di rifornimento globali, sostituendole nella gran parte dei casi con altre provenienti dall’Europa, dal Giappone e dalla Corea, almeno altrettanto competitive.
In generale, la Cina presenta certo ancora dei ritardi in alcuni settori avanzati, in particolare in quelli dei semiconduttori e dell’aerospaziale, ma sarebbe una pazzia, afferma l’autore, scommettere contro la sua capacità di rapido ammodernamento. Tra l’altro, i grandi stanziamenti per gli investimenti nelle tecnologie avanzate, collegati anche, ma non solo, al progetto Made in China 2025 e l’esempio concreto di alcune grandi imprese del Paese (così, Huawei ha avviato da qualche tempo la produzione di chip d’avanguardia per il suo uso interno, smettendo di acquistare quelli Usa e di altri Paesi) mostrano che l’obiettivo del raggiungimento del livello degli Stati Uniti e poi della leadership globale sono a portata di mano.
Ora l’ostilità statunitense in essere renderà forse i progressi più lenti e complicati, ma niente per l’autore li arresterà.
Il secondo testo
Coma abbiamo già accennato, il secondo testo citato è più specifico, riguardando soltanto la rete, ma per altri versi esso affronta con qualche originalità temi molto importanti che sono da qualche tempo al centro dell’attenzione.
Il fatto che la rivista, che in genere rappresenta un punto di vista molto autorevole nel mondo della riflessione sulla politica estera statunitense, si arrenda ormai, con la pubblicazione di questo numero, all’avanzata della Cina, appare tanto più significativo in quanto sino a poco tempo fa essa appariva tra le voci più convinte della sostanziale immobilità delle cose e del sicuro trionfo, ancora per lungo tempo, del superiore modello Usa.
Dunque la rivista non fa altro che dichiarare che stiamo per vivere la fine del dominio statunitense sulla rete; essa aggiunge che ormai il suo avvenire sarà probabilmente scritto in Asia. Ed è la Cina, con i suoi 800 milioni di internauti, la cyber potenza in grado di imporre la sua legge, anche se la stessa rivista riconosce i progressi compiuti dall’altro grande Paese asiatico, l’India, che ne registra 480 milioni.
Scrive in effetti, la pubblicazione, nel suo articolo introduttivo: ”qualunque cosa faccia Washington, il futuro del cyberspazio sarà molto di meno americano e molto di più cinese”.
Come governare la rete
Per altro verso, il numero della rivista citato appare di qualche interesse anche perché solleva un tema parallelo a quello generale e relativo alle modalità di governance della rete, argomento che affronta, tra gli altri, anche un recente breve articolo di Evgeny Morozov (Morozov, 2018).
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, ricordiamo intanto lo scandalo scoppiato nel marzo di quest’anno con la questione Facebook-Cambridge Analytica, con la cessione e manipolazione dei dati personali di decine o forse di centinaia di milioni di persone, tra l’altro anche con lo scopo di influire sui risultati delle elezioni statunitensi.
Ora, mentre si legge che Google e Mastercard si scambiavano tranquillamente i dati rispettivi di cui erano in possesso e relativi ai loro clienti, si ha notizia che sempre Facebook ha messo a punto un sistema che verifica l’attendibilità dei suoi utenti su di una scala da zero (attendibilità minima) ad uno (attendibilità massima). Ne prende atto Morozov che, certamente peraltro non il solo, fa intravedere le rilevanti minacce che tale sistema comporterebbe per le persone.
Lo stesso Morozov, insieme ad altri, ricorda le analogie tra questo sistema e quello pubblico cinese, su questo fronte ancora più avanzato, con il cosiddetto Social Credit System in via di sperimentazione, che è solidalmente in mano al governo di Pechino e che, accanto a possibili importanti benefici, minaccia peraltro anche di sorvegliare strettamente la vita di tutti i cittadini. Più in generale, per la rivista statunitense la Cina rivendica un altro modello di governance, meno decentralizzato, più autoritario, più imperioso nella sua volontà di controllare la rete. Non commentiamo.
La rivista Foreign Affairs, dal suo canto, ricorda come invece si possano mettere a punto programmi positivi di utilizzo di internet e a questo proposito cita il caso dell’India, Paese dove, secondo un imprenditore indiano intervistato nel numero citato, le reti sono considerate come dei beni comuni e la messa in opera di un grande sistema biometrico esteso a quasi tutta la popolazione ha permesso recentemente anche di lottare contro la corruzione. La stessa rivista segnala, sempre in positivo, anche, per altri versi, il caso dell’Unione Europea, che dal maggio 2018 ha varato un dispositivo legislativo per la protezione dei dati dei cittadini, contrastando su questo piano in particolare i giganti statunitensi della rete.
Peraltro si tratta di casi che, a nostro parere, non convincono sino in fondo. Per quanto riguarda in particolare le nuove regole dell’Unione Europea, anche se sono comunque da salutare positivamente come un passo in avanti, esse non cambiano molto nel fondo le regole del gioco.
Testi citati nell’articolo
–Foreign Affairs, World Wide Web, settembre-ottobre 2018
-Kynge J., The US cannot halt China’s march to global tech supremacy, www.ft.com, 23 agosto 2018
-Morozov E., Se Facebook ci da i punti, La Repubblica, 23 agosto 2018
-Reif L. R., China’s challenge is America opportunity, www.nytimes.com, 8 agosto 2018