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Il richiamo dell’élite

Qualche giorno fa Draghi ha risposto alla proposta (malfatta e all’acqua di rose) del PD di aumentare modestamente la tassa sulle successioni sopra il milione di euro in questo modo: “Non è il momento di prendere, ma di dare”. Gli italiani che hanno un patrimonio di almeno 1 milione di euro sono poco più del […]

Alla fine del 2020 un vecchio studente del liceo Massimo (dove si è formata gran parte dell’élite romana) ci ha detto di Draghi, suo vecchio sodale e amico nell’istituto dei gesuiti: “Lui si sente dell’establisment, ma non di quello italiano, di quello internazionale. Non conosce l’Italia, i piccoli imprenditori, i lavoratori e forse non ama nemmeno gli italiani. Conosce l’élite, è quello il suo mondo”. In modo geniale un comico italiano, Neri Marcorè, lo ha imitato facendolo parlare improvvisamente come Gianni Agnelli, con la sua allure, il suo snobismo, la sua pronuncia blesa, la erre savoiarda.

Qualche giorno fa Draghi ha risposto alla proposta (malfatta e all’acqua di rose) del PD di aumentare modestamente la tassa sulle successioni sopra il milione di euro in questo modo: “Non è il momento di prendere, ma di dare”. Gli italiani che hanno un patrimonio di almeno 1 milione di euro sono poco più del 3% della popolazione complessiva. Si tratta di persone che durante la pandemia non hanno sofferto molto e hanno visto aumentare il divario (a loro favore) con il resto della popolazione che si è impoverita. Se prendiamo quelli che hanno un patrimonio superiore ai 5 milioni, sono 111mila persone, lo 0,23% della popolazione. Questa parte del paese si è già preso molto e ha poco dato al paese. L’arricchimento dello 0,1%, ma anche solo dell’1% degli italiani è stato esponenziale in questi anni: si possono godere l’assenza di una imposta patrimoniale, avere un’imposta di successione ad una aliquota ridicola del 4% (con un’esenzione di un milione per ogni erede) e le tasse sui profitti delle imprese sono passate in 20 anni dal 37% al 24%. Non si tratta di prendere, dice Draghi. Ma quelli che hanno preso (dalle tasche degli italiani) in questi anni sono i ricchi.

Vari quotidiani (il Riformista, l’Avanti, il Foglio) hanno definito Draghi in modo azzardato come un socialista liberale. Di socialista Draghi ha ben poco; e un movimento liberal-socialista l’Italia l’ha avuto e c’erano Aldo Capitini, Guido Calogero e Norberto Bobbio che poco hanno a che fare con il banchiere che ha studiato dai gesuiti. Ma a ben guardare Draghi ha poco a che fare con il liberale Einaudi per il quale l’imposta patrimoniale (un’imposta più democratica delle altre, diceva l’ex governatore di Banca d’Italia) è un serio strumento di ricostruzione economica del paese. 

Draghi è un tecnocrate liberista, ma non è certo Monti e l’Italia del 2021 non è quella del 2011. Sul piano vaccinale e il recovery plan il governo sta raccogliendo risultati rimarchevoli, ma gran parte del lavoro era stato fatto prima: da marzo sono arrivati i vaccini e il PNRR all’80% è quello di Conte. Le politiche dei prossimi mesi dovranno per forza essere espansive, favorendo gli investimenti; non solo in Italia, ma in Europa. Nonostante ciò molti varchi liberisti si stanno aprendo: deregulation sugli appalti, grandi opere inutili, rinuncia alla politica industriale. Come ha ricordato Landini: “Il governo ascolta troppo le imprese”. Tra un mese, dal primo luglio, le aziende potranno riprendere a licenziare. Quando si parla di tasse, di imprese, di mercato il richiamo dell’establishment si fa sempre sentire.

La posta straordinaria sul patrimonio può essere sul serio un efficace strumento della ricostruzione economica del paese