Un altro Perché Sì al referendum: contro la mafia che si annida nei subappalti a catena. Intervista allo storico delle mafie Enzo Ciconte su Mattarella, le deroghe di Salvini, Saviano, Meloni, i porti, Trump e le grandi opere come il fantomatico Ponte di Messina.
Non si è tramutato in scontro istituzionale per un soffio, l’operazione del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini per inserire una deroga ai controlli antimafia sulle opere previste per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina nel decreto Infrastrutture portato in Consiglio dei ministri giovedì 22 maggio. La deroga di Salvini, che equiparava le procedure per il Ponte di Messina a quelle del Ponte Morandi di Genova o delle Olimpiadi di Milano-Cortina accentrando i controlli in capo al governo, è stata sfilata dal testo in approvazione all’ultimo tuffo dopo l’intervento a gamba tesa del Quirinale. Un intervento, quello del Capo dello Stato, che non è rimasto sotto traccia, nel costante dialogo dietro le quinte tra Quirinale e governo, ma è stato reso pubblico e con enfasi, visto che è arrivato proprio nella 33° Giornata della Legalità, ricorrenza nella quale ogni anno lo Stato commemora la strage di Capaci e la morte del giudice Giovanni Falcone, della moglie, la giudice Francesca Morvillo insieme alla oro scorta. Chiediamo al professor Enzo Ciconte, docente di Storia delle mafie italiane all’Università di Pavia, di interpretare il monito del Presidente Mattarella anche alla luce delle possibili infiltrazioni della criminalità organizzata in una grande opera che ancora non ha visto la posa della prima pietra e che, almeno secondo una interpretazione prevalente del mondo accademico e ingegneristico, non vedrà mai la luce anche se continua a drenare enormi quantità di risorse pubbliche.
Professore, che segnale ha voluto dare Mattarella?
“L’intervento del Presidente della Repubblica è molto significativo e segnala due aspetti. Il primo problema posto da Mattarella riguarda i controlli antimafia, per i quali non deve essere prevista una deroga. É rilevante che questo monito arrivi proprio nel giorno della ricorrenza della strage di Capaci. E tocca ricordare anche la storia personale e politica del Presidente, che ha perso il fratello Piersanti per opera della mafia nell’Epifania del 1980. Ma è la situazione a richiamare alla mente la sua storia, e il suo monito serve a fare da barriera rispetto a tutte le spinte che cercano di smantellare il sistema dei controlli della normativa antimafia che abbiamo costruito negli anni, un sistema normativo senza il quale le aziende, specialmente nei grandi appalti, rischiano di essere penetrate dagli interessi mafiosi in un meccanismo di subappalti a cascata. Si tratta di un problema enorme e già così, con l’attuale normativa, il sistema non mette in sicurezza preventivamente le grandi opere. Servono, appunto, i controlli, che vanno fatti. Ma perché Mattarella è intervenuto? Perché la presidente del Consiglio Meloni non lo ha fatto, ha lasciato fare. Se Mattarella non lo avesse obbiettato alla deroga di Salvini quel testo del decreto Infrastrutture sarebbe stato approvato dal Consiglio dei ministri ipso facto. Solo dopo l’intervento del Capo dello Stato la presidente del Consiglio ha fatto pressione per il ritiro della deroga onde evitare un conflitto con il Colle. Mattarella è intervenuto per evitare che l’economia illegale sottomettesse l’economia legale, segnalando come il rispetto delle regole sia interesse di tutti”.
Fratelli d’Italia, il partito della premier, si è recentemente accanito contro la persona di Roberto Saviano, proprio dopo che Saviano ha scritto un lungo articolo in inglese sul Financial Times nel quale spiegava come i dazi di Trump aprano praterie al contrabbando e all’economia illegale nei porti del mondo. Anche questo non sembra un caso.
“Andiamo per ordine. Che la destra attacchi Roberto Saviano non è strano e neanche nuovo, non è la prima volta. Va segnalato che cercando di intimorire un personaggio con una così grande audience e che certo non si fa intimorire da questi attacchi, è chiaro che si vuol impedire di parlare a persone che hanno posizioni molto meno importanti, cioè il messaggio è a noi. Le argomentazioni con cui si attacca Saviano poi sono indicative e in qualche modo ridicole, gli si imputa di aver fatto carriera utilizzando la mafia nel suo impegno per contrastarla. E qui va riscontrato come Giorgia Meloni abbia operato una piroetta rispetto a come si poneva fino a pochi anni fa sia in termini di etica personale che di politica, visto che aveva sempre raccontato di essere cresciuta politicamente seguendo l’esempio di Paolo Borsellino. È evidentemente un terreno molto scivoloso, il suo. Quanto alla questione dei porti, è una questione ben più seria: i porti da che mondo è mondo sono il punto più delicato dei traffici, sia quelli legali che quelli illegali. Non è casuale che le mafie siano nate a Palermo, a Napoli, a Reggio Calabria piuttosto che a Vigevano,Varese o Reggio Emilia. Perché i porti consentono scambi delle merci e sono fondamentali anche nell’economia criminale, a cominciare dai traffici di droga e armi. Sottolineo: anche armi”.
Riguardo alla querelle indiretta tra Mattarella e Salvini sul Ponte di Messina, il presidente dell’Autorità anticorruzione Giuseppe Busia ha ricordato in una intervista su La Stampa che “i subappalti a cascata sono il terreno di più alto rischio di infiltrazioni criminale” e vanno “limitati” oltre che controllati. Il quarto quesito dei cinque referendum indetti dalla Cgil per cui si vota l’8 e il 9 giugno riguarda i diritti dei lavoratori nei subappalti. Se vincesse il Sì, la grande impresa committente sarebbe responsabile in solido con le appaltatrici per le condizioni dei lavoratori.
Potrebbe aiutare anche contro le infiltrazioni mafiose?
“Certo che sì, potrebbe aiutare eccome. Nei subappalti a catena può entrare di tutto, persone assunte senza contratto, nessuna selezione delle capacità, nessuna attenzione alla sicurezza sui luoghi di lavoro. È un mondo molto permeabile, questo, alla presenza mafiosa. C’è un problema di giustizia grande come una montagna, inoltre, che riguarda la grossa impresa committente, che riceve il maggior guadagno ma in questa catena si scarica delle responsabilità più insidiose. Perché di appalto in appalto alla fine è il più piccolo, in fondo alla catena, che si trova a non pagar bene e non prendere tutte le misure di sicurezza per ridurre i costi e fare l’offerta migliore. Credo che fare chiarezza, tornare alle regole e ai controlli che oltre a fermare le stragi sul lavoro ricostruiscano un terreno di legalità nei grandi appalti sia una delle ragioni per andare a votare l’8 e il 9 giugno e votare Sì”.