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Il partito unico della ricchezza intoccabile

In Italia la ricchezza privata cresce del 50% in dieci anni, mentre crescono povertà e disuguaglianze. Ma non si può toccare, nemmeno quando si trasmette per eredità. Le tasse, la politica e i partiti si devono inchinare al totem della “Roba”.

Il Sole 24 Ore di sabato 27 agosto ha pubblicato in prima pagina – come altri quotidiani con minore evidenza – un articolo relativo a uno studio della Fabi, importante sindacato bancario (Moyra Longo, “Per gli italiani 5 mila miliardi di ricchezza finanziaria”). Nell’ultimo decennio, concluso alla fine del 2021, l’italica ricchezza privata sarebbe cresciuta di quasi 1.700 miliardi di euro, pari al 50%. Longo ci spiega che è aumentata soprattutto la liquidità: il contante è cresciuto di 509 miliardi, fino a pervenire a 1.609 miliardi, mentre l’insieme dei conti correnti resta del 31 per cento della ricchezza totale e le obbligazioni perdono di rilevanza per il 67 per cento.

Il Sole dà modo a Longo di precisare meglio; con esperta cautela giornalistica o semplicemente per esigenze d’impaginazione, è però nella continuazione dell’articolo, a pagina 15 che Longo ha la possibilità di sottolineare la scarto tra chi in Italia è ricco e tiene i miliardi sotto il letto (Longo lo scrive con più eleganza) e chi fatica a mettere insieme pranzo e cena. “Il primo dato che emerge è quantitativo: in un decennio…di austerità e sacrifici…in cui la povertà è aumentata (come certificato dall’Istat), la ricchezza degli italiani è nel complesso cresciuta…Segno che la società è sempre più polarizzata e spaccata in due, tra chi fatica ad arrivare a fine mese e chi invece aumenta le ricchezze”.

La continuazione dell’articolo sul Rapporto Fabi (dal titolo, “Italiani: meno Bot, più azioni e tanto cash”) compare in basso, nella prima delle pagine dedicate dal quotidiano economico a Finanza & mercati. In alto campeggia l’articolo principale del giorno su quell’argomento, dedicato alla Porsche (Alberto Annicchiarico, “Porsche, l’Ipo è più vicina. Valutazione tra 65 e 85 miliardi”). Per alta moralità giornalistica, o per distrazione dei grafici (come i lettori preferiscono), appare possibile una lettura tendenziosa della pagina: tutto il cash italico finisce in Porsche. 

Occorre riflettere e siamo dell’idea che lettori e lettrici lo faranno, ciascuno a proprio modo. Comprare azioni Porsche, o automobili complete (di quella o di marche analoghe per prestigio e valore) oppure tenere il contante in attesa di migliori evenienze? Aiutare casa madre Volkswagen nel suo sforzo enorme di rinnovamento – il passaggio all’elettrico – è per questo che essa venderebbe Porsche, oppure disinteressarsi dei problemi ambientali e puntare ancora sul prestigio di un’auto di lusso? Sembra una questione minore, ma è uno dei dilemmi del secolo. 

Ambiente o vita sfarzosa? Non dite che la risposta è ovvia: perché è su temi di questo genere che si svolge la campagna elettorale in Italia. La discussione generale nei primi giorni di contrapposizione di partiti e candidati è però un fastidioso parlar d’altro. Pur trascurando, di comune accordo, temi difficili come l’ambiente, la pandemia, la guerra, non si dà spazio, ancora per comune decisione, al tema più forte, da anni evitato in Italia: quello della ricchezza e di chi debba possederla e quanta e come. Per questo la pagina quindici del Sole, nel giorno prima indicato è basilare: lo sono il rapporto Fabi e la campagna di Volkswagen per l’avvenire e la proprietà di Porsche, guidata dai signori Wolfgang Porsche e Hans Michel Piech, dopo la defenestrazione del precedente capo di Volkswagen, Herbert Diess, con l’accordo e il disaccordo del potere pubblico, presente in Volkswagen. 

Qui i temi roventi diventano tre: le famiglie fondatrici, anche omonime, puntano al denaro e alla potenza e vorrebbero, con una capriola difficile da spiegare, ma solo da ammirare, rientrare al controllo dell’intera Volkswagen, annessi e connessi; i direttori di Volkswagen vorrebbero, nei tempi prescritti da Bruxelles, passare all’auto elettrica, con gli investimenti e il rinvio dei profitti inevitabile; buon terzo lo Stato, cioè il Land della Bassa Sassonia,  comproprietario del tutto dal tempo dei tempi, vorrebbe poter dire la sua. Si vedrà.

Il tema della ricchezza è da noi nel nostro Bel Paese, rimosso e trascurato. Nessun partito decisivo è in grado di proporre una qualche forma di tassa patrimoniale: il Partito democratico che ha sussurrato una frasetta sulle successioni dei cittadini più ricchi, si è spaventato per la reazione rabbiosa ed è stato costretto al silenzio. Probabilmente in tema di ricchezza, in Italia, l’accesso all’eredità altrui è un tema delicatissimo, forse il più delicato di tutti. “Quello che lascio agli eredi, quali che siano, riguarda solo me. Nel bene e nel male, con il lavoro che ho fatto, con il reddito che ho guadagnato, con la rendita che ho risparmiato, con le peripezie che ho affrontato, con gli imbrogli che mi è toccato fare, quanto ho messo da parte, è solo mio; è guai a chi lo sfiora. Roba mia, si giura in Italia, tutti d’accordo. “Che nessuno tenti di portarmela via”. 

D’altro canto tutti, uomini e donne, vorrebbero essere nelle stesse condizioni dei più ricchi e spesso li invidiano a tutta forza: il desiderio prevalente, la spinta politica è l’aver qualcosa da possedere e poi lasciare, aver qualche cosa da ripartire e poter così contare finalmente nel rispetto dei conoscenti e degli eredi, quel rispetto magari desiderato giorno per giorno in vita. Più in generale, l’arrivare a possedere dei beni, meglio se tanti, è la molla dell’esistenza per tante persone; per chiunque manchi di un’alternativa.  Il poco o molto da conquistare (e da conservare) è un’intensa spinta sociale e di conseguenza politica, in assenza di altri interessi. “Se non ho molto e non mi fido degli altri, ho timore del pubblico, delle scelte dall’alto, ambientali, sanitarie, educative… Difenderò quello che ho con le unghie e con i denti. … Se ho qualcosa da parte, anche poco, sarò preso sul serio; se ho poco o niente, per vivere (cioè uscire dall’altrui disprezzo che mi circonda), mi occorre almeno la speranza di farcela anch’io, di diventare come tutti”.

D’altronde, come è possibile fidarsi della mano pubblica in un’epoca di scarsità e di sospetto? L’opinione diffusa è che tra la “povera gente” vi siano stati in passato e vi siano tuttora innumerevoli imbroglioni. Tutti insieme, quelli del reddito di cittadinanza, non hanno forse truffato allo Stato – a noi – migliaia di euro? Non piace (e si trascura) riflettere sul fatto che si tratti, comunque, di una somma assai inferiore al pagamento dell’eventuale tassa di successione sul patrimonio di un pugno dei defunti maggiorenti (quelli con oltre cinque milioni); quello che conta è il principio, non una volgare questione di denaro. 

La Proprietà è il bene vitale, un Totem, cui si rende omaggio, cercando di farla sempre più grande per sé e inattaccabile, come un principio generale.

Toccherà poi al vincitore/vincitrice delle prossime elezioni. Se deciderà di rivelare l’intenzione di intaccare in qualche modo, durante il suo mandato, il principio della proprietà, questo enorme castello di voglie, egoismi e credenze prepolitiche. Se lo facesse, potrebbe anche vantarsi di essere il personaggio di maggiore levatura, dai tempi di Cavour e Garibaldi, in secoli di politica italiana. Non lo farà; la paura di trovarsi contro, coalizzati, i rappresentanti, tutti i rappresentanti, del partito unico della roba lo/la terrà comunque lontano/lontana da passi falsi.