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Il numero unico e il castello di carte

RenzItaly/Un anno di renzismo ha lasciato il segno, in negativo: Parlamento esautorato, controriforma del lavoro, nessun cambio di marcia rispetto alle politiche di austerità europee. In assoluta continuità con i precedenti governi Monti e Letta

In Italia la sinistra è solitamente una minoranza e deve fare delle alleanze per governare. Gli ultimi governi di Romano Prodi, tra il 2006 e il 2008 sono la drammatica prova. Essi hanno mostrato come le alleanze partitiche siano difficili da reggere, e in genere insufficienti, anche per interventi di potentati esterni, nonché improvvisazioni, veri e propri tradimenti, ambizioni, rivalità personali. Da decenni, per risolvere l’imbarazzante questione, la sinistra, tramontata la speranza di raggiungere una futura presa del potere o almeno la prospettiva una buona tenuta governativa con l’appoggio internazionale, ha cercato di allearsi con altre forze disponibili in campo: pubblico impiego, soprattutto insegnanti ed enti locali, sistema giudiziario, credito. Il grido di vittoria: “Abbiamo una banca!” rintrona ancora. Mancavano due anni alla caduta di Lehman Brothers e all’apertura della crisi bancaria internazionale. Non era dunque una sinistra così litigiosa e disinformata a offrire spazi a un giovane pieno di ambizioni. Occorreva girarle intorno, o bypassarla, come dicono non solo gli appassionati di calcio.

Per farla breve, il problema di Matteo Renzi, una volta arrivato al governo, (“Renzismo in arrivo”, Sbilanciamoci.info, 21 febbraio 2014) è stato quello di puntellare questo castello di carte; la soluzione quella di attribuirsi il mazzo intero (“Renzismo alla prova”, Sbilanciamoci.info, 4 luglio 2014), soprattutto con la ripetuta minaccia di farlo crollare, rivolta ai possibili antagonisti. Con rapide mosse, il nostro Numero Uno cambia la natura della politica, si intesta l’eredità del berlusconismo, pratica un populismo dall’alto e vince le elezioni europee. La tattica è spiegata con grande acume da Marco Revelli nel suo articolo qui a fianco.

I quadri storici del partito democratico, sopravvissuti a non meno di quattro successivi terremoti, sono per sempre “rottamati” per riprendere una gentile immagine. Se ne salva uno che appare innocuo agli occhi del Numero Uno. Portarlo al Quirinale in modo imprevedibile – il top della politica renziana – serve per colpire l’invadente “ala destra” della coalizione di fatto e zittire i mugugni di sinistra. Rottamando e premiando, il Numero Unico ottiene il consenso di tutti coloro che sono rimasti ai margini. Anche se i suoi risultati economici, come mostra Leopoldo Nascia e il suo grafico, sono indistinguibili da quelli dei governi che l’hanno preceduto: la depressione non accenna a finire, ma l’importante è parlare d’altro, accelerare con gli annunci del “nuovo” che avanza, spiegati da Carlo Donolo più avanti.

Senza la pretesa di scoprire i trucchi di un gioco troppo ben riuscito è da segnalare la nascita del partito unico – ne parla Francesco Ciafaloni – una volta fatta a pezzi e assorbita “Scelta civica”. Il partito unico, la tanto attesa “destra moderna”, liberal-liberista, vicinissima alla finanza e confindustriale in economia, è finalmente in grado di assestare colpi decisivi ai lavoratori organizzati; come dimostrano la caduta dell’articolo 18, la legislazione intera di Giuliano Poletti, gli ottanta euro, e più in generale la politica dei voucher, il Jobs act delle ultime settimane. Inoltre cosa è questa critica al semestre italiano? L’Italia è un grande paese; tutti devono inchinarsi e ammettere che Lady Pesc è nostrana. Quanto poi alla politica economica, la scelta di classe non è forse stata confermata a livello europeo? La Grecia ha avuto perfino la sua cravatta. Se la leghi al collo e poi ne faccia ciò che vuole.