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Il ministro dei contadini

L’occupazione delle terre abbandonate, la riforma agraria con la fine della mezzadria, la ricostruzione del brigantaggio come reazione alla miseria, fino alla battaglia per il divorzio: sono molti i lasciti politici del comunista calabrese Fausto Gullo che il libro di Giuseppe Pierino ricostruisce.

E’ uscito da poco per Rubbettino il libro di Giuseppe Pierino: Fausto Gullo. Un comunista nella storia d’Italia. Morto nel 1974, di Gullo le giovani generazioni sanno poco, ma anche i più adulti hanno scarsi ricordi. Di quella generazione di comunisti i nomi che vengono alla mente sono quelli di Terracini, Giorgio Amendola, Pajetta, Alicata e ovviamente Togliatti. Di indole sobria e riservata, Gullo non aveva l’irruenza di Amendola e Pajetta, il fascino di Terracini, il dogmatismo rassicurante e sordido di Alicata. Ha fatto perciò bene Pierino – comunista calabrese e deputato del PCI negli anni ‘80, anche lui gentile e sobrio – a scriverne e a dedicargli un libro che non è una biografia tradizionale, ma per l’appunto, la storia di un dirigente comunista nella storia d’Italia.

Costantemente la storia di Gullo si intreccia con quella del nostro paese. Giovane avvocato calabrese, aderì a vent’anni al PSI (1907) e da subito al PCI, che alla nascita si chiamava PCdI (Partito Comunista d’Italia), e fu eletto deputato nel 1924, ma la sua elezione fu annullata dai fascisti. Legato al suo primo segretario Amedeo Bordiga e all’idea di “rivoluzione permanente”, se ne allontanò progressivamente fino a diventare uno dei dirigenti comunisti più vicini e ascoltati da Togliatti. Fu ministro dell’Agricoltura già dal governo Badoglio (unico ministro comunista insieme a Togliatti) e poi con Parri ed il primo governo De Gasperi. Il suo nome è legato ad importanti provvedimenti legati a quelli della riforma agraria dell’immediato dopoguerra: i noti decreti Gullo. Dal 1944 le lotte contadine (e l’occupazione delle terre abbandonate) attraversavano il meridione ed in particolare la Sicilia. L’Italia era ancora un paese prevalentemente agricolo e dominavano rapporti di proprietà, al Sud, antiquati e semi feudali. Predominava il latifondo. 

Gullo decise di dare in coltivazione i terreni incolti e abbandonati dei latifondisti a cooperative e contadini associati, che magari li avevano occupati. Rivide i rapporti contrattuali che asservivano i contadini e i braccianti ai proprietari. In corso ancora la guerra, Gullo s’inventò i “granai del popolo” per far fronte alla drammatica emergenza alimentare, costringendo gli agrari a cedere a prezzi calmierati i loro raccolti. Gullo diede vita a comitati e organismi popolari per dare potere ai contadini, ai braccianti. Ricorda Pierino che “attraverso i Comitati Comunali dell’Agricoltura si posero le basi per un controllo dal basso dell’approvvigionamento alimentare… Gullo venne acclamato Ministro dei Contadini i quali stravedevano per questo santo protettore giunto inaspettato. E a dispetto di resistenze, sabotaggi, calunnie la sua popolarità varcò l’ambito della sinistra; la sua reputazione salì alle stelle e divenne un mito…”. All’azione di Gullo, al legame che univa il dirigente comunista al movimento contadino dedicò un libro anche Anna Rossi Doria (Il ministro e i contadini, Bulzoni 1983)

L’azione di Gullo si collegava al grande movimento di lotta dei contadini contro il quale gli agrari scatenarono la malavita mafiosa. Già nel 1944 venne ucciso il segretario del PCI di Enna, mentre Andrea Raia, dirigente della Camera del Lavoro di Palermo, venne colpito alla schiena. Spadroneggiava il capo dei capi della mafia di allora Calogero Vizzini (Don Calò), i cui servi e sicari provarono a fare una strage a Villalba (Caltanissetta) durante un comizio del comunista Li Causi. Attentati e uccisioni degli attivisti del movimento contadino si susseguirono fino alla strage di Portella della Ginestra del 1 maggio del 1947.

L’azione di Gullo non ebbe solo la reazione violenta dei mafiosi, ma suscitò via via malumori anche della DC e l’opposizione dei magistrati che, con la Corte di Cassazione, dichiararono incostituzionale il “blocco degli affitti”, che gli agrari volevano rimuovere. Gullo impedì anche l’indegno sfruttamento dei contadini che per coltivare un po’ di terra dovevano cedere gran parte del raccolto ai latifondisti.  Eliminò le odiose intermediazioni con  le pratiche di subaffitto e stabilì che il canone di concessione non avrebbe mai potuto superare il quinto del reddito prodotto. Prima di Gullo, avveniva esattamente l’opposto. Un altro decreto, il ministro comunista lo dedicò alla revisione dei rapporti di mezzadria e agli “usi civici”, con la ripartizione dei demani. I decreti Gullo, sull’onda dell’emergenza post-bellica, disegnarono una vera e propria riforma agraria, che poi fu riassorbita e normalizzata nel corso degli anni.

Gullo fu un convinto meridionalista (ma anche, alla luce della rivolta separatista siciliana, anti regionalista) e ricostruì il modo con cui si disegnò, dopo il 1860, l’unità d’Italia a danno dei contadini e a favore dell’unione tra i latifondisti del Sud e dei ceti dominanti del Nord. Vide nel brigantaggio del Sud il moto di rivolta, l’espressione della disperazione contadina di fronte alla fame, alla miseria intollerabile delle campagne. Curò per l’Universale Economica (nota come l’Universale del Canguro, voluta da Palmiro Togliatti per promuovere la cultura popolare) il dramma in cinque atti di Vincenzo Padula (scrittore rimosso dalla memoria letteraria italiana, ma elogiato da De Sanctis e Benedetto Croce):  Antonello. Capobrigante calabrese. Gullo nella prefazione al dramma di Padula sottolinea il “carattere sociale del brigantaggio” e ricorda come il capobrigante Antonello assuma le vesti del “ribelle ad un iniquo ordine economico e sociale che mortifica e abbrutisce  tutta la classe cui egli appartiene”.

Prima della rottura del 1948, Gullo ebbe modo di partecipare ai lavori della Costituente, difendendo le prerogative del Parlamento contro gli eccessivi poteri dell’esecutivo e le proposte di dare potere legislativo anche al Presidente della Repubblica. Passò poi per le battaglie contro la legge truffa, condannò la repressione della rivolta d’Ungheria e della repressione della rivoluzione del ‘68 in Cecoslovacchia. Fu profondamente laico, tanto che nel 1974 Pannella gli chiese di presiedere la LID (la Lega Italiana per il Divorzio) e Gullo accettò, nell’imbarazzo della leadership comunista. Allo stesso modo Gullo non condivise l’identificazione tra cattolici (al cui rapporto teneva) e la DC (che riteneva un partito ostaggio del Vaticano e della Confindustria) e il giudizio su De Gasperi (che Pierino condivide) fu molto duro, almeno dal referendum sulla Repubblica del 2 giugno del 1946. Colpisce molto nel libro di Pierino leggere la ricostruzione del ruolo ambiguo e subalterno di De Gasperi a Pio XII, dopo anni di intensa distribuzione di lodi e riconoscimenti allo statista trentino a partire dal noto lavoro di Pietro Scoppola (La proposta politica di De Gasperi Il Mulino 1977).

Tornare a studiare l’opera di Gullo è utile e ha fatto bene Pierino a ricostruirla – con grande dovizia di fonti e di informazioni – anche perché ci ricorda quanto di quella classe politica di ieri – appassionata, disinteressata e competente – oggi, nella classe politica attuale, non c’è quasi più traccia, e nemmeno il ricordo.

Giuseppe PierinoFausto Gullo. Un comunista nella storia d’Italia

Rubbettino 2021