A Gaza l’84% delle strutture sanitarie è distrutto, così il 75% di quelle idriche. I lanci aerei sono inefficaci e pericolosi mentre depositi interi di cibo e medicine si deteriorano al sole. La ridefinizione dello spettro genocidario, rintracciabile nelle pagine del rapporto di Physicians for Human Rights.
Inesorabile continua l’inferno a Gaza. La fame si divora la popolazione, vorace, sotto gli occhi del mondo. Si innalza il livello internazionale di allerta per le conseguenze della prolungata mancanza di cibo e di assistenza umanitaria – le Nazioni Unite indicano che nella Striscia si sconta «il peggior scenario da fame» nella classifica dei rischi (IPC). E con la malattia della fame divampano patologie non più gestibili nelle condizioni attuali.
Secondo l’Unicef, a Gaza è stato distrutto l’84% di tutte le strutture sanitarie e il 75% di quelle idriche.
Ma non viene dal cielo la speranza. I lanci aerei degli aiuti sono «notoriamente inefficaci e pericolosi», dice il coordinatore di MSF nella Striscia Jean Guy Vataux, ancor più con due milioni di persone intrappolate in un’area minuscola, dove qualsiasi distribuzione dall’alto implica rischi enormi. A una manciata di chilometri dai luoghi della carestia i camion, carichi di cibo e medicine. Questa la perversione dell’assedio di Israele.
Cresce, inesorabile anch’essa, la conta dei morti. Uno stillicidio per difetto. Le autorità sanitarie d Gaza confermano oltre 60 mila persone uccise dall’inizio dell’offensiva israeliana – 62 palestinesi, di cui 19 operatori umanitari, sono stati ammazzati dall’alba di ieri, malgrado le fantomatiche “pause umanitarie”. Ma tutto è sottosopra nell’inferno di Gaza. Anche le parole hanno preso un ghigno insopportabile. Umanitario: un lessema quasi deprecabile se si pensa alla Striscia.
Il rapporto di Physicians for Human Rights (PHR) ha descritto con minuziosa cura il genocidio a Gaza usando la lente sanitaria.
Da sempre le dottrine internazionali privilegiano un’interpretazione del genocidio attraverso il prisma delle morti di massa – cadaveri, massacri, fosse comuni. Ma, come succede a Gaza, lo sterminio ha preso forma in quasi due anni attraverso un continuum di violenza più ampio e lento, sofisticato, a tratti non riconoscibile. L’annichilimento di un sistema sanitario non è una questione umanitaria, un danno incidentale o collaterale. È molto di più.
Con l’approccio teorico Genospectra la studiosa Story Embert leGaïe ha sviluppato un innovativo teorema di decostruzione e ridefinizione dello spettro genocidario, rintracciabile nelle pagine del rapporto di Physicians for Human Rights.
Story Embert leGaïe introduce il concetto di iatrocidio – dal greco iatros (persona che guarisce) e cidio (uccisione) – per descrivere la distruzione di infrastrutture sanitarie e lo smantellamento dei sistemi di conoscenza medica collettiva come una premeditata strategia di cancellazione genocidaria.
Il patrimonio cui attinge è formidabile: dalla visione di Michel Foucault sullo stato moderno come apparato biopolitico alle intuizioni del filosofo Achille Mbembe sulla vocazione necropolitica e il brutalismo dell’Occidente, per approdare alla violenza strutturale di Johan Galtung e alle analisi sulle patologie del potere del medico e antropologo Paul Farmer.
Lo iatrocidio è operazione in cui convergono violenza fisica, strutturale, economica, psicologica, in una sequenza di atti di devastazione biosociale irreversibile. La distruzione materiale degli edifici di cura – gli ospedali, i centri per il trauma, i locali per la maternità, le ambulanze e cliniche mobili – è la forma più spettacolare dello iatrocidio, una selezione algoritmica che punta al sistema immunitario di una comunità. Anche quando gli edifici restano in piedi, il sabotaggio delle altre infrastrutture – i sistemi fognari, di gestione delle acque, i sistemi elettrici – li rendono letali.
Un ospedale senza elettricità è una trappola. Una clinica senza acqua un sito infettivo. Una sala operatoria senza anestesia una camera di tortura. Poi ci sono gli episodi di criminalizzazione, le sparizioni forzate e le uccisioni del personale sanitario.
Il blocco o sabotaggio dei medicinali. La definitiva distruzione degli ecosistemi di ricerca medica e sanitaria (università, laboratori, etc.), incluse le pratiche locali di cura. Ciò che non viene sterminato è reso biologicamente insostenibile.
Nella teoria di Genospectra, lo iatricidio non è solo un atto di guerra, ma una strategia di logoramento demografico, una lenta liquidazione dei saperi, un dileguamento del futuro. Esercita il suo potere per omissione e sottrazione – l’interruzione delle forniture umanitarie, la sparizione del personale sanitario, l’estinzione delle nuove generazioni – non solo con le tradizionali modalità della forza militare.
L’orizzonte di questo collasso organizzato è la negazione intenzionale di ogni forma di sopravvivenza, la paralisi sistematica della vita tramite la criminalizzazione della cura, la negazione stessa del respiro. Una modalità di biopolitica della guerra volta a estirpare ogni capacità umana di sopravvivere, guarire, vivere. Ciò che non viene sterminato è reso biologicamente insostenibile.
A questa logica sottende l’opera della Gaza Humanitarian Foundation, la farina avvelenata, le mille persone uccise mentre cercavano cibo, la pratica del doppio colpo. E il divieto di entrare in mare imposto a una popolazione priva di qualunque altro accesso all’acqua per lavarsi.
Nella logica sadica dello iatricidio, le pratiche della salute diventano contrabbando, l’impegno per curare e salvare vite una forma di resistenza da sgominare.
Articolo pubblicato anche da il manifesto del 30 luglio 2025