No alla condivisione del debito, no all’emissione di eurobond e no a un allentamento dei piani di austerità. Sulle politiche europee, le elezioni tedesche non hanno portato nessuna novità. Ma facendo come vuole la Merkel si rischia di affossare prima o poi la stessa idea di Europa
In queste settimane la Merkel è impegnata abbastanza duramente su molti fronti. Da una parte su quello interno continuano, anche se sembrano ormai andare verso la conclusione, gli impegnativi colloqui con l’Spd per la formazione del prossimo governo di coalizione. Su quello estero la cancelliera si trova a dover gestire una situazione in cui sia l’Unione europea, a bassa voce, che gli Stati uniti, con molta forza, hanno posto la questione della politica economica tedesca, mentre sempre con gli Stati uniti è ancora aperta la questione dello spionaggio elettronico.
Per quanto riguarda con maggior dettaglio la prima questione, i colloqui Cdu-Spd sembrano sostanzialmente arrivati in fondo. Gli accordi raggiunti conterrebbero una parte positiva, un’altra molto negativa.
Per quanto riguarda la prima, si sarebbe intanto giunti ad un consenso sul varo di un salario minimo a livello nazionale (a questo punto resterebbe quasi solo l’Italia, nel nostro continente, a non prevedere tale meccanismo), ciò che potrebbe anche contribuire a innalzare le retribuzioni di una fascia importante dei lavoratori che operano sul mercato del lavoro tedesco. Oggi, tra l’altro, circa 8 milioni di tedeschi sono occupati in quelli che vengono chiamati minijob, con salari da fame, che si aggirano tra i 400 e i 500 euro.
Inoltre, si sarebbe deciso un aumento di qualche rilievo della spesa pubblica, da utilizzare per dei programmi di intervento che riguarderebbero in particolare le pensioni, l’istruzione, le infrastrutture. Da notare che, ad esempio, il paese avrebbe bisogno di grandi investimenti per rinnovare un apparato infrastrutturale in parte decrepito, ma sino ad oggi la volontà di presentare bilanci pubblici “virtuosi” ha impedito di percorrere tale strada.
Si tratta di provvedimenti che da tempo, del resto, la sinistra tedesca ed europea chiedeva al governo, anche se gli importi previsti per l’aumento della spesa pubblica non sono poi tutto quello che serviva. Comunque qualche effetto positivo sulle esportazioni dei paesi del Sud europa potrebbe esserci.
Per quanto riguarda la parte negativa, sul fronte dell’euro si lascerebbero, come sembra, le cose come stanno oggi, cioè malissimo. Non sarebbe prevista nessuna condivisione del debito, nessuna emissione di eurobond, nessun allentamento nei piani di austerità; ogni paese dovrà, come prima, fare da sé.
In relazione poi ai rilievi della Commissione europea e degli Stati uniti, che chiedono al paese di frenare la politica delle esportazioni (il saldo positivo della bilancia commerciale del paese ha ormai raggiunto il 7% del pil), che danneggia tutti gli altri paesi e di spingere invece sulla domanda interna, il governo tedesco ha risposto molto duramente, negando l’esistenza stessa del problema e vantando i meriti della politica tedesca. Peraltro, ora l’accordo con l’Spd, se confermato, aprirebbe uno spiraglio su tali questioni.
Comunque i rilievi statunitensi appaiono del tutto pretestuosi, venendo da un paese che non si è mai curato degli effetti delle proprie politiche sulle economie del resto del mondo e le cui decisioni influenzano molto più profondamente l’economia internazionale.
I socialdemocratici parlano vagamente a questo punto del varo di un’Europa sociale; chi vivrà vedrà.
Il problema fondamentale oggi della Germania è che in Europa non si può fare nulla senza di essa, visto il suo prevalente peso economico e politico, ma facendo come vuole la Merkel si affossa prima o poi la stessa Europa. Da un altro punto di vista, i tedeschi si sono trovati quasi all’improvviso ad essere i padroni dell’eurozona, ma non erano preparati in alcun modo al compito e, del resto, non sembrano avere neanche grande voglia di esercitare tale ruolo. Così pensano soltanto ai propri apparenti interessi immediati e non si preoccupano molto del resto.
Si può provare a questo punto a fare l’elenco anche approssimato dei vantaggi che la Germania trae dalla sua appartenenza all’euro. L’elenco è abbastanza lungo.
Intanto, la comunanza nella zona euro dell’elefante tedesco con tanti paesi economicamente deboli fa si che il rapporto euro-dollaro rimanga a livelli molto vantaggiosi per le esportazioni teutoniche. Tale rapporto viaggia oggi intorno al valore di 1,35, ma senza la presenza nell’Unione dei paesi del Sud suropa esso si collocherebbe, secondo le stime, intorno a 1,80-190.
Nei paesi dell’eurozona la Germania trova inoltre, da una parte, un vasto mercato captive senza alcuna barriera, mentre, dall’altra, ha individuato anche una serie di stati sub-fornitori a buon mercato di merci e di lavoratori; in particolare un buon numero di paesi dell’Europa ex-sovietica si vanno trasformando in degli stati “tributari”.
Bisogna poi considerare che, nell’attuale situazione di crisi e di incertezza, gli investitori trovano un porto sicuro nei titoli pubblici tedeschi, che così offrono al governo il vantaggio di rendimenti molto bassi. L’attuale debito pubblico della Germania viaggia intorno ai 2100 miliardi di euro ed è stato calcolato che il vantaggio dei bassi interessi passivi si aggira intorno ai 21 miliardi di euro all’anno, esattamente una cifra pari al contributo tedesco al bilancio europeo.
È vero poi che la Germania, come del resto gli altri paesi dell’eurozona, hanno prestato, negli ultimi anni, rilevanti somme ai paesi in difficoltà; ma sino ad oggi il paese non ha perso nulla nell’operazione ed anzi la politica dei salvataggi è servita alla fine a far recuperare dei crediti di difficile incasso alle banche tedesche ed anche francesi, che avevano prestato denaro a piene mani e incautamente ai paesi del Sud europa. Inoltre i prestiti rendono un rilevante 5% all’anno.
Alla fine le elezioni tedesche sembrano aver portato delle novità solo ridotte e restiamo come prima tra l’incudine e il martello, tra un crollo improvviso dell’euro, che spazzerebbe via tutto e invece una lenta agonia dei paesi del Sud che potrebbe durare anche parecchi anni.