Quest’anno, l’Indicatore di benessere economico (Bes) è stato inserito nel Def: un risultato importante perché le politiche economiche guardino al di là della sola crescita economica; una vittoria anche per Sbilanciamoci!, che porta avanti la campagna da anni. Tuttavia, una vittoria a metà: nel documento sono stati usati solo quattro indicatori: ne esistono molti altri…
Il Documento di Economia e Finanza (DEF) 2017 prevede un nuovo allegato (“Il Benessere equo e sostenibile nel processo decisionale”) che introduce nei documenti di bilancio alcuni indicatori di benessere e, per la prima volta, una proiezione dei relativi dati per i prossimi 3 anni considerando tanto la situazione a legislazione vigente (tendenziale) quanto quella in seguito alle misure previste dal DEF (programmatico).
Si tratta di un risultato importante, ottenuto grazie al lavoro di tanti che si sono spesi perché le politiche economiche guardino al di là della sola crescita economica. Ed è un risultato importante in primo luogo per Sbilanciamoci!, che formulava proposte in questo senso già dal 2010. Tali proposte hanno poi preso forma in una proposta di legge trasversale ai gruppi parlamentari (primo firmatario Giulio Marcon) poi inserita nella legge di riforma del bilancio dello stato (163/2016).
Il DEF non è nuovo alla presenza di indicatori di benessere: in particolare il Programma Nazionale di Riforme contiene gli indicatori della Strategia Europa 2020 (occupazione, povertà, innovazione e ambiente, ne abbiamo già parlato qui). Ma in questo caso, con la stima dei valori tendenziali e programmatici, il Governo è tenuto a quantificare l’impatto atteso sugli indicatori in questione delle misure previste dal DEF.
Fino qui tutto bene, ma non è che l’inizio di un percorso lungo e pieno di insidie.
La stima dei valori tendenziali e programmatici richiede che gli indicatori prescelti possano essere inseriti in un qualche modello econometrico in grado di valutare quale effetto possano avere le politiche macroeconomiche su tali indicatori. Questa condizione restringe notevolmente la platea degli indicatori eleggibili. La scelta degli indicatori è nelle mani di un Comitato ad hoc composto da rappresentanti di Istat, Banca d’Italia, Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e due esperti accademici.
In questo “primo esercizio sperimentale” presentato ieri dal Governo sono stati inseriti 4 indicatori che, tra quelli del BES, avevano la caratteristica di poter immediatamente entrare nei modelli di simulazione usati abitualmente dal MEF. Gli indicatori adottati sono:
il reddito medio disponibile aggiustato pro-capite;
un indice di diseguaglianza del reddito (il rapporto interquintilico);
il tasso di mancata partecipazione al lavoro;
le emissioni di gas climalteranti;
Si tratta di misure certamente rilevanti per la misurazione del benessere, ma ancora insufficienti.
È chiaro che – in linea di massima – non sarà possibile “modellizzare” gli aspetti soggettivi del benessere (ad es. il livello di soddisfazione per le relazioni familiari e amicali o la fiducia nei partiti) o alcuni comportamenti delle persone (i consumi di frutta e verdura, le attività di volontariato o la propensione alla brevettazione). Certamente il Governo può mettere in campo politiche che incentivino o disincentivino comportamenti o percezioni, ma altra cosa è prevederne l’andamento nei prossimi 3 anni.
Tuttavia ci sono decine di indicatori di benessere per i quali è possibile costruire modelli di previsione: è quindi lecito aspettarsi che in futuro entrino a far parte di questo monitoraggio. Esempi sparsi per i vari domini del BES potrebbero essere la speranza di vita o le cause di morte, i livelli di istruzione, gli abbandoni scolastici e l’accesso all’università, l’incidenza di lavoratori con bassa paga, gli occupati irregolari, il tasso di povertà, la ricchezza netta, la vulnerabilità finanziaria, i tassi di criminalità, la cura del paesaggio e la cementificazione del territorio, le aree a rischio idrogeologico o quelle protette, la spesa in ricerca e sviluppo, l’accessibilità dei servizi sociali o l’affollamento delle carceri.
C’è quindi bisogno di una progressiva sperimentazione in quanto a modellistica per ampliare in misura significativa il set di indicatori oggetto di osservazione. Questa la faranno – auspichiamo – il Comitato e il MEF nei prossimi mesi: ma in questo non possono, e non devono, essere lasciati soli.
A questo proposito, leggendo le considerazioni presentate dal Governo riguardo i risultati di questo esercizio emerge come sarebbe opportuno che anche altri organi mettessero in piedi modelli analoghi. Quando il MEF presenta le proprie previsioni sul Pil deve infatti confrontarsi con numerosi altri attori che fanno lo stesso e che possono mettere in guardia Parlamento e cittadini riguardo la verosimiglianza di tali stime. Il MEF produce le stime e le commenta, e di certo non può essere il solo a farlo.
In caso contrario, si viene a configurare con ogni evidenza un conflitto d’interesse.
Un esempio per tutti: nel commento al buon andamento dell’indice di disuguaglianza, il MEF richiama diverse misure di politica economica tra le quali il bonus 80 euro e l’abolizione della Tasi. Ma un esercizio di micro-simulazione fatto recentemente dall’IRPET mostra come per queste due misure la quota di risorse andate al quintile più ricco sia sensibilmente più elevata di quella andata al quintile più povero, producendo quindi nello specifico un aumento della disuguaglianza.
Che il Governo tenda a promuovere le proprie iniziative nel DEF non è certamente una novità, ma è essenziale che anche altri attori producano simulazioni analoghe in modo da garantire un dibattito democratico corretto.
È allora necessario che tali stime (come ci sono ora per le classiche variabili macroeconomiche) siano prodotte anche da un organo indipendente come l’Ufficio Parlamentare di Bilancio.
Nel caso specifico dell’indice di disuguaglianza, è possibile analizzare criticamente i commenti del governo perché anche altri attori producono le medesime simulazioni, ormai molto consolidate in ambito istituzionale e accademico.
L’allargamento del set di indicatori che auspichiamo dovrà poi estendere le simulazioni a territori finora inesplorati. La modellistica sugli indicatori di benessere deve diventare sempre più un patrimonio a disposizione di istituzioni e società civile, non possiamo lasciare che il MEF sia il solo a presidiare questo nuovo mondo.
* Le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire interamente all’autore e non all’istituzione di appartenenza