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Il centro economico del mondo si sposta da Nord a Sud

Lo spostamento dell’asse dell’economia mondiale dal Nord al Sud appare ormai un processo in fase avanzata e non invece destinato a realizzarsi in un futuro ancora lontano

Nell’ultimo periodo si è assistito a un rallentamento più o meno pronunciato nei tassi di crescita dell’economia dei paesi emergenti. Alcuni commentatori si sono affrettati a trarne la conclusione dell’esistenza di prospettive molto negative per lo sviluppo ulteriore di tali paesi e a prevedere che la rincorsa degli stessi nei confronti dei paesi ricchi, in atto da molto tempo, si sia ormai sostanzialmente bloccata.

Certo, la percentuale di aumento dell’economia cinese è passata dal 10-11% annuo medio per più di una trentina di anni al 7,5% dell’ultimo periodo e quello dell’economia indiana dal 7-8% dei precedenti venti sino al 5% attuale, mentre è noto come in questo momento il Brasile e la Russia non se la passano molto bene. Un certo freno alla crescita si registra anche in paesi quali la Turchia, l’Indonesia e il Sudafrica; e si potrebbe continuare con l’elenco.

Ma bisogna collocare tali indubbi rallentamenti nel più ampio contesto della situazione attuale complessiva delle economie del mondo. Ci aiutano a farlo alcune statistiche rilasciate dal Fondo Monetario Internazionale nell’ambito dell’ultimo rapporto sul “World economic outlook” reso pubblico il 7 ottobre 2014 e che danno un quadro della situazione persino molto sorprendente.

L’insieme dei paesi emergenti

Bisogna fare una premessa metodologica. Tutti i dati forniti dal FMI sul pil dei vari paesi e che di seguito commenteremo sono basati sull’utilizzo nei calcoli del criterio della parità dei poteri di acquisto e non di quello dei prezzi di mercato, metodologia quest’ultima che darebbe un quadro molto più consolante per i paesi ricchi. Ora, il primo criterio misura il valore dei beni e servizi prodotti tenendo correttamente conto del fatto che un dollaro riesce a comprare più o meno beni in paesi diversi. Con tale metodo le stime del pil risultano da una parte più realistiche, fornendo i veri fattori in gioco, dall’altra, peraltro, portano a valori più approssimati. Sottolineiamo così, a questo proposito, come l’FMI abbia rilasciato cifre un po’ diverse tra di loro nell’aprile e nell’ottobre di quest’anno.

Ad ogni modo, disponevamo già di una vecchia statistica piuttosto approssimata diffusa a suo tempo dall’Economist, che affermava che nel 2011 il totale del pil dei paesi emergenti era ormai sostanzialmente pari a quello dei paesi ricchi; già questo sembrava un risultato inatteso.

Ma ora veniamo a sapere che nel 2014 il prodotto interno lordo di tali paesi è ormai pari al 57% di quello mondiale e che quindi quello dei paesi avanzati è ormai soltanto del 43% del valore complessivo. Dal momento poi che il tasso di crescita dei paesi emergenti, pur rallentando, appare ancora superiore in misura rilevante a quello dei paesi ricchi, lo scarto tenderà nei prossimi anni a crescere ulteriormente. Il Fondo stima così che nel 2019 il pil degli stessi paesi supererà il 60% del totale.

Sempre l’FMI valuta che l‘economia mondiale crescerà del 3,3% nel 2014 e del 3,8% nel 2015. Ma i paesi avanzati registreranno un aumento del pil rispettivamente del 1,8% e del 2,3% nei due anni, mentre per quelli in via di sviluppo si parla del 4,4% per il 2014 e del 5,0% per il 2015.

Ancora più sorprendente è apprendere che il pil dei paesi del G-7, già quelli più ricchi del mondo, è ormai superato dalle cifre disponibili per i primi 7 paesi emergenti, Cina, India, Russia, Brasile, Indonesia, Messico, Turchia, nell’ordine. Il prodotto interno lordo complessivo di questi ultimi paesi è ormai pari nel 2014 a 37,8 miliardi di euro, contro i 34,8 per quelli del vecchio G-7. Anche in questo caso la tendenza appare quella alla crescita dello scarto nei prossimi anni.

L’India si colloca al terzo posto nella classifica dei primi dieci paesi per dimensioni della loro economia, sia pure a distanza rilevante da Cina e Stati Uniti; Russia e Brasile si trovano rispettivamente al 6° e al 7°, l’Indonesia al 9°, superando ormai la Gran Bretagna. L’Italia è fuori dalla lista dei primi dieci e si inserisce ormai al 12° posto, superata anche dal Messico.

Apprendiamo infine, sempre dai dati dell’FMI, che dal 2007 al 2014 circa l’80% della crescita dell’economia globale è stata fornita sempre dai paesi emergenti.

La Cina

Un posto a parte merita l’esame dei dati cinesi.

Le statistiche confermano che nel 2014 l’economia di quel paese, con un pil ormai pari a 17.600 miliardi di dollari, supererà quella degli Stati Uniti che dovrebbe presentare nello stesso anno un pil pari a 17.400 miliardi; l’economia cinese era pari alla metà di quella Usa ancora nel 2005, valuta l’FMI e nel 2019 la sua dimensione sarà più grande di quella statunitense di circa il 20%.

Tali stime confermano, in qualche modo, alcune previsioni di qualche anno fa che valutavano come nel 2030 l’economia del paese asiatico dovrebbe avere un pil superiore a quello di Stati Uniti ed Europa messi insieme. Naturalmente bisogna aggiungere che queste previsioni potrebbero poi essere smentite, in un senso o nell’altro, da una di quelle giravolte della storia sempre possibili.

Ricordiamo comunque che, utilizzando invece il criterio dei prezzi di mercato, l’economia Usa avrebbe sempre un pil di 17,4 miliardi di dollari, mentre quella cinese di soli 10,4 miliardi; ma poi, in quest’ultimo caso, bisognerebbe considerare nel conto anche il grande peso dell’economia informale, che si ipotizza possa essere pari a circa il 20% di quella ufficiale.

Le cifre relative al pil fanno il paio con alcune valutazioni comparative sulla ricchezza finanziaria presente nei due grandi paesi. Secondo tali valutazioni, il risparmio cinese totale era pari alla fine del 2013 a 5 trilioni di dollari, mentre quello statunitense a soli 3 trilioni; andrebbero anche aggiunti alla conta, nel caso cinese, altri 2,8 trilioni di euro, pari come importo al totale dei capitali clandestini fuggiti negli ultimi anni dal paese (Wolf, 2014).

Su di un altro piano, vanno aggiunte anche delle valutazioni fatte di recente da alcuni esperti finanziari e secondo le quali entro dieci anni il renminbi dovrebbe soppiantare il dollaro come la più importante moneta mondiale (Kynge, 2014).

Conclusioni

le cifre e le valutazioni riportate nel testo indicano come lo spostamento dell’asse dell’economia mondiale dal Nord al Sud del globo appaia ormai un processo in fase avanzata e non sia invece, come sembrava sino a qualche tempo fa, destinato a realizzarsi in un futuro ancora abbastanza lontano; esse mostrano poi come, in tale ambito, la forza e il peso economico della Cina tenda ormai a diventare preponderante nel mondo globalizzato.

Ma apparentemente il mondo occidentale fa molta fatica a prendere atto della realtà delle cose.

Testi citati nell’articolo

Kynge J., Emerging markets eye renmimbi trading alternative to the dollar, www.ft.com, 30 settembre 2014

Wolf M., Chinese savers can scorch the world, www.ft.com, 8 aprile 2014