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I rischi di un condono boomerang

Arriva una nuova sanatoria fiscale? Ai macigni delle perplessità sul piano etico, se ne aggiungo altre: di natura economica, ma anche tecnica. Che rendono il condono stavolta inefficace, ma non per questo meno dannoso

L’ipotesi di condono avanzata da ampi settori della maggioranza suscita perplessità di natura economica, politica, etica, ma, prima ancora, sembra difficilmente praticabile dal punto di vista tecnico.

Il motivo principale è che, paradossalmente, le eventuali entrate sono già state impegnate, dunque non potrebbero servire a coprire nuove spese. Spieghiamo il paradosso. Negli ultimi anni è invalsa la (discutibile) prassi di mettere a copertura delle manovre gli incassi previsti dal recupero dell’evasione fiscale. Si tratta di somme molto elevate, 12,6 miliardi nel 2011, 12,4 nel 2012, 10,4 nel 2013 che, complessivamente, danno conto di ben un terzo degli interventi sul 2011-2013. È evidente che un condono, quanto più efficace sarà, tanto più ridurrà il gettito dell’azione di contrasto all’evasione fiscale. Dunque, proprio il fatto di avere già scontato somme molto elevate dal recupero dell’evasione costringerebbe a defalcare dal gettito del condono somme altrettanto elevate per mancati introiti, riducendo sostanzialmente la possibilità di utilizzarlo per coprire nuove spese.

Vi sono poi altre due difficoltà tecniche di non poco conto. In primo luogo la sentenza UE del 2008 che ha bocciato il condono IVA, che costringerebbe o a ridurre sostanzialmente la portata del nuovo condono, mettendolo a rischio di fallimento, o a cercare di forzare la mano alla Ue, cosa difficilmente praticabile. In secondo luogo, non va sottovalutato l’onere amministrativo connesso al condono. Ad esempio, lo Stato si è trovato in difficoltà ad incassare le rate del condono del 2002: parecchi contribuenti hanno pagato solo la prima rata (con ciò facendone salvi gli effetti), col risultato che si è creata un’ulteriore fonte di evasione ed elusione. Lo ha segnalato più volte la Corte dei Conti, che nel 2008 stimava mancassero ancora più di 5 miliardi all’appello e ha dovuto prenderne atto il Parlamento, che nella manovra estiva ha inserito norme specifiche per il recupero delle somme non pagate.

Passando alle perplessità di natura economica, solitamente si riconosce che un condono può essere efficace se abbinato ad una profonda riforma fiscale, per chiudere il passato e rappresentare chiaramente il cambio di regime. Condivisibile o meno tale posizione, c’è il fatto che la riforma fiscale non è dietro l’angolo, malgrado le tante parole spese dal Governo. Infatti, soldi per farla non ce ne sono più, come ha evidenziato in settimana il presidente della Corte dei Conti nell’audizione al Parlamento sul disegno di legge delega per la riforma fiscale e dell’assistenza. Da un lato perché le coperture previste (insieme ai proventi della lotta all’evasione, l’aumento dell’IVA e la tassazione delle attività finanziarie) sono state già utilizzate per la copertura delle due manovre estive. Dall’altro perché le stesse due manovre hanno previsto che dalla riforma fiscale e assistenziale debbano comunque conseguire risparmi per 4 miliardi nel 2012, 16 nel 2013 e 20 dal 2014 (con la clausola che, altrimenti, verranno proporzionalmente ridotte tutte le deduzioni e detrazioni). Dunque, il contesto sarebbe quello di un condono senza riforma fiscale e, anzi, associato a un sostanziale aumento del prelievo e a una riduzione delle prestazioni offerte ai cittadini. Il segnale sarebbe fin troppo chiaro e non potrebbe che minare ulteriormente la fedeltà fiscale.

Su un fronte più politico, se l’opposizione al condono di Tremonti è parte del più generale confronto con il Presidente del Consiglio, la conversione al rigore fiscale del Ministro dell’economia, famoso proprio per la sua predisposizione ai condoni, rivela quello che ormai è un dato di fatto: i margini di manovra nel bilancio pubblico si sono esauriti: da tagli lineari ai ministeri, dipendenti pubblici, welfare, scuola, università poco si può ancora ottenere, così come da ulteriori aumenti delle aliquote fiscali. Se non si vogliono andare a toccare poste di bilancio costitutive delle basi della maggioranza, ovvero, non si vogliono tagliare drasticamente le spese militare (ad esempio non comprando più F35) o toccare i capitali “scudati” per pochi soldi, abbattere significativamente i costi della politica, toccare veramente i patrimoni, far pagare a Rai e Mediaset le frequenze liberate sul digitale (su tutto ciò vedi le proposte di sbilanciamoci.org), altro non si può fare che perseguire il recupero di base imponibile.

Un ultimo punto riguarda la sfera etica. Contro i supposti “moralisti” che si oppongono al condono pontificano in parecchi in questi giorni, ancorché i più rappresentativi opinionisti abbiano ritenuto opportuno, per una volta, non esprimersi, vista l’opposizione anche di Confindustria e di parte della maggioranza. Vale però la pena di segnalare a Francesco Forte, che su Il Foglio attacca i moralisti sulla base del fatto che solo il calcolo di convenienza deve contare, e utilizza allo scopo una classica citazione del fondatore del pensiero economico Adam Smith, che proprio Adam Smith era un filosofo morale, e che lo stesso pensiero liberale riconosce che il meccanismo di mercato non sopravvive se non c’è condivisione delle regole del gioco. Insomma, e non starebbe a questo giornale ricordarlo, il mercato non è la casa delle libertà.

13 ottobre 2011