Alitalia, alta velocità, concessionarie autostradali, nucleare e Ponte sullo Stretto: come il governo Berlusconi giova al progresso degli oligopoli degli amici
Se si vuole far chiarezza nell’analizzare le politiche e gli atti nei “primi cento giorni” del terzo governo Berlusconi forse va la pena porsi la semplice domanda: cui prodest, a chi giova? A chi giovano i provvedimenti assunti nel settore dei trasporti o in quello energetico con il rilancio del nucleare, volendo affrontare il problema da un punto di vista ambientalista, ma attento anche allo spreco delle risorse economico-finanziarie?
La risposta è presto data: il terzo Governo Berlusconi sta facendo politiche dissipative dei fondi pubblici in una logica assistenzialistica, che di fatto favorisce il consolidamento dell’assetto oligopolista e delle istanze protezionistiche dei grandi gruppi aziendali. Chissà come si riuscirà a far quadrare così i conti dello Stato grazie al controllo della spesa corrente, garantendo nel contempo i piccoli azionisti e fornendo servizi adeguati ed equi agli utenti?
Con riguardo alla vicenda Alitalia, i partiti di centro destra, dopo aver contribuito in campagna elettorale a far fallire la trattativa per il controllo della compagna di bandiera da parte del maggior operatore mondiale del settore, Air France Klm, hanno benedetto una “cordata italiana” fortemente sospetta. Dalla quale i soli a trarre vantaggio saranno i 16 soci della NewCo “Compagnia aerea italiana”, tra i quali figurano, tra gli altri, il gruppo Benetton con Atlantia-Autostrade per l’Italia, Gavio, Ligresti, Marcegaglia e Tronchetti Provera. A loro è stata data facoltà di acquisire con un miliardo di euro la nuova azienda, sgravata dai pesantissimi debiti (l’indebitamento al luglio 2007 è di 1,172 miliardi di euro) e dai costi per la liquidazione o la messa in mobilità del personale, scaricati in toto su una bad company pubblica. Per poi magari cedere la NewCo con sicuri ritorni solo a loro esclusivo vantaggio ad un vero operatore del settore quale Lufthansa, o di nuovo, Air France Klm. Vittime sacrificali dell’operazione i dipendenti, visto che gli esuberi previsti dal “Progetto Fenice” elaborato da Intesa San Paolo (prima della trattativa con i sindacati) erano tra le 4 e le 6 volte superiori a quelli previsti nell’offerta Air France Klm (5-7.000 invece che 1600-1700). Ma anche i piccoli azionisti, ancora una volta sballottati in una vicenda dai contorni molto poco chiari, in cui hanno tutto da perdere, che però viene “garantita” dallo Stato.
Anche nel caso dell’alta velocità ferroviaria con il decreto di luglio legato alla manovra economico finanziaria triennale si resuscitano, per la terza volta in 6 anni (la prima era stata durante il secondo Governo Berlusconi), le concessioni dei general contractor per le tratte ancora non iniziate (Milano-Genova, Milano-Verona e Milano-Padova). Concessioni che le Autorità Antitrust e l’Autorità sui contratti pubblici avevano chiesto di revocare, e il centrosinistra nella XIII e XV legislatura aveva cancellato per legge, visti i costi insostenibili imposti da soggetti scelti dagli inizi degli anni novanta senza gare. Risultato: la Milano-Verona verrà a costare al Paese 5,6 miliardi di euro nel 2007 a fronte di 2.200 milioni di lire nel 1991, cioè il 550% in più; la Verona-Padova 3,3 miliardi di euro nel 2007 a fronte di 1.700 milioni di lire nel 1991, cioè il 400% in più; la Genova-Milano, 5,1 miliardi di euro nel 2007 per la metà del percorso – tratta Genova-Novi Ligure – a fronte dei 3.100 milioni di lire per l’intera tratta Ge-Mi nel 1991, cioè il 350% in più (che diventa il 700% in più se si considera l’intero percorso). Beneficiari di progetti per 14 miliardi di euro di investimenti pubblici previsti nell’Allegato Infrastrutture al Dpef 2009-2013: per la Milano-Verona il general contractor Cepav 2 (Eni), per la Verona-Padova Iricav 2 (controllato da Astaldi), per la Milano-Genova il CoCiv (controllato da Impregilo).
Per non parlare, sempre perché ricompreso nell’Allegato Infrastrutture redatto dai tecnici del ministro dei trasporti e delle infrastrutture Matteoli, del rilancio del ponte sullo Stretto di Messina, il cui costo due anni fa veniva stimato molto prudenzialmente in 6 miliardi, il 20% delle risorse pubbliche richieste nel triennio 2009-2011, di euro (prima che il prezzo di materie prime quali l’acciaio subisse un aumento su base annua sino al 100%). Nonostante che sia un’opera già in partenza molto costosa, il prezzo posto a base di gara è stato di 4,3 miliardi di euro e la gara è stata vinta con un maxiribasso, da molti considerato anomalo, di circa 500 milioni di euro, dall’Associazione temporanea di imprese, capeggiata (nemmeno a dirlo) da Impregilo
Infine, in uno dei primissimi provvedimenti approvati dal governo (il DL 59/2008) è stata inserita una disposizione che rinnova per legge le convenzioni tra Anas e le concessionarie autostradali, per il beneficio in particolare di Atlantia-Autostrade per l’Italia (che controlla l’82% dell’intera rete nazionale a pedaggio italiana), ma anche del gruppo Gavio, contro il parere del Nars – nucleo tecnico del Cipe – e dopo che nella passata legislatura si era tentato di proporre una convenzione unica che finalmente consentisse di controllare gli investimenti dei concessionari e quindi far dipendere dalla verifica di questi l’aumento o no dei pedaggi. Risultato: Atlantia-Austostrade per l’Italia ha fatto nella sostanza saltare il meccanismo della convenzione unica a vantaggio di tutti i concessionari e proponendo a suo esclusivo vantaggio un meccanismo di aggiornamento automatico delle tariffe, eliminando i controlli periodici quinquennali, che le consente di aumentare i pedaggi, senza che nessuno possa sindacare nulla. Anche in questo caso piove sul bagnato visto che, come si legge nel suo bilancio: al 31 dicembre 2006 il gruppo Atlantia ha un capitale investito consolidato di circa 16,63 miliardi di euro, con un patrimonio netto di 3,86 miliardi di euro, un fatturato consolidato di circa 2,7 miliardi di euro ed un utile netto consolidato di 672,4 milioni di euro. E qualcuno ha fatto notare che l’Europa potrebbe storcere il naso di fronte per il conflitto di interessi che potrebbe emergere dalla partecipazione di una società concessionaria pubblica quali Atlantia-Autostrade per l’Italia alla cordata di imprenditori interessati all’Alitalia.
Infine, nel caso del rilancio del nucleare è stato calcolato che se nel nostro Paese si puntasse da qui al 2030 a costruire un parco di 10 centrali in Italia, per un totale di 10-15 mila Mw di potenza installata, questa partita avrebbe un costo tra i 30 e i 50 miliardi di euro di investimenti, in gran parte pubblici. Tale programma andrebbe a beneficio delle grandi aziende di fatto ancora sotto il controllo pubblico come Enel o, protette e interamente finanziate dallo Stato per gestire la partita nucleare civile e militare, quali Sogin SpA. Aziende che si vedrebbero assegnate ingentissime risorse sottratte alla ricerca sulle fonti energetiche alternative (visto che il nucleare assorbe il 90% delle risorse dedicate alla ricerca) e al loro sviluppo. In una situazione in cui il contributo al fabbisogno energetico delle energie rinnovabili in Italia è al minimo storico: il rapporto tra produzione elettrica da fonti rinnovabili e produzione totale è sceso al 15,7% (il livello più basso degli ultimi 15 anni).
Per avere un quadro di insieme sull’impegno della grandi aziende nostrane sul nucleare, vale la pena di ricordare che è da tempo che la politica industriale di Enel è indirizzata in tal senso. Con la campagna acquisti condotta oltre frontiera, il nucleare ha raggiunto oltre l’11% dell’energia prodotta dall’Enel in tutto il mondo, che potrà diventare il 12% a seguito dell’acquisizione della spagnola Endesa e agli impegni assunti in Francia con il progetto Epr e grazie agli accordi operativi in atto in Slovacchia e Romania. E anche Sogin SpA (ieri società dell’Enel e dal 2000) società di proprietà del ministero dell’economia e delle finanze) vanta al suo attivo impegni assunti in Armenia, Kazakstan, Romania, Russia e Siberia per l’assistenza e il decommissioning di centrali nucleari e sta gestendo l’ambizioso e discusso accordo tra Italia e Russia firmato il 5 novembre 2003, nell’ambito della Global Partnership sottoscritta nel vertice G8 di Kananaskis, per la messa in sicurezza della flotta e delle basi dei sottomarini nucleari ex sovietici.
In conclusione, emerge dai primi provvedimenti del governo un bel manuale Cencelli dei benefici ai soliti pochi grandi gruppi aziendali che, in situazioni, ultraprotette, stanno cercando di cogliere l’attimo di operazioni avventuristiche o sbagliate, garantite e/o finanziate interamente dallo Stato. Gli strateghi dei grandi gruppi ringraziano. I cittadini, i consumatori e i piccoli azionisti piangono.