Il panorama è devastato ma si tratta ancora di indagarne le interconnessioni, i meccanismi. Così l’ultimo libro di Vincenzo Comito, in libreria dal 7 luglio 2023, indaga il sistema lungo tre assi fondamentali: i chip, l’auto e l’agroindustria.
Vincenzo Comito conosce bene le grandi imprese. Vi ha lavorato a lungo e ha insegnato e scritto quel che ne sapeva e quel che aveva via via imparato e osservato perché gli studenti, i lettori, i sindacalisti, tutto il pubblico sapessero anche loro quel che c’era e quel che ci sarebbe stato: le grandi imprese, i loro percorsi, le novità. L’ultimo saggio di Comito (“Come cambia l’industria/ I chip, l’auto, la carne”, Futura Editrice in uscita dal 7 luglio 2023) ha anche altri vari aspetti notevoli: in primo luogo è facile da leggere. Non vi sono concetti complicati, riflessioni specialistiche dedicate a un pubblico di professori, pochi esperti fortunati. L’autore scrive per tutti; ogni persona che voglia capire, può farlo, può imparare quel poco o molto che ancora non sapeva. Tutto questo con una precisione esemplare e grande rigore scientifico. Un secondo aspetto è che l’autore mette a nostra disposizione ed elenca testi e letture disponibili a tutti o quasi tutti; per lo più infatti non si tratta di informazioni chiuse nei segreti ripostigli degli addetti ai lavori, o degli ammessi ai lavori, ma raccolte per comuni lettori di giornali e riviste, talvolta un po’ selezionati, forse difficili da raggiungere, ma pur sempre disponibili al pubblico. Tutto sta, possiamo intendere, a saperli leggere, questi articoli, a capire quello che si legge, a ricordarlo e metterlo in confronto con quelle altre informazioni “di tutti i giorni” che a un lettore svogliato potrebbero sembrare curiose e facili da dimenticare. Leggere e capire quel che si legge, non è da tutti, saperlo poi spiegare, generosamente, oppure mettere in comune le proprie conoscenze – se si preferisce una concezione meno proprietaria, ma collettiva della verità e del sapere – è davvero di pochi. Se si aggiunge anche chiarezza espositiva….
L’argomento dello scritto di Vincenzo Comito è una critica dello sviluppo. Una critica pratica, se si ammette il controsenso. Per spiegare la modernità e il domani dell’economia industriale l’autore prende in considerazione tre branche industriali significative: i chip, l’auto, la carne. Egli dice a chi lo sta a sentire: questa – e poco altro – è la nostra storia di oggi e per quanto si sa, di sempre; forse l’ultima storia di noi umani, dati i problemi ambientali senza soluzione visibile e la guerra che incombe.
I chip, in primo luogo. Essi rappresentano il traino della nuova società e quindi dell’industria che l’accompagna, o la guida. Ci vengono presentati aspetti poco conosciuti, imprese giganti di storia recentissima pressoché ignote ai non addetti ai lavori e soprattutto i due motivi principali: la miniaturizzazione dei chip che appare come un’esigenza industriale ed economica continua e incoercibile e d’altra parte lo slittamento del potere, dall’Ovest di Europa ricca e Stati Uniti, all’Est dell’Asia estrema: Cina, certo, ma anche Taiwan e Corea del Sud. Impariamo a conoscere imprese potentissime e il loro rapporto – da pari a pari – con i governi che comandano con migliaia di armi e milioni di soldati. “A livello di tipologie produttive, la parte più importante del mercato è costituita dai circuiti integrati, a sua volta suddivisibili in circuiti logici, memorie (le due fasce più importanti del settore), circuiti analogici, microcircuiti; ci sono poi i sensori, i prodotti di optoelettronica, i semiconduttori discreti” (pag.36) . E ancora: “Seguendo uno schema di Le Monde del 9 febbraio 2022, da noi un poco arricchito, possiamo dire che è facile che un nuovo chip venga progettato negli Stati Uniti, su di un’architettura della britannica Arm, che le materie prime vengano dalla Cina, che la produzione relativa sia effettuata a Taiwan o nella Corea del Sud, su macchine della olandese Asml, che la stessa produzione venga poi assemblata in Malaysia, con i gas speciali necessari inviati dal Giappone; essa sarà poi collocata soprattutto in Cina o in Asia, continente che controlla il 70% del mercato mondiale, con la Cina da sola, almeno secondo alcune fonti, intorno al 60%. Un miracolo della globalizzazione”. (pag.39)
La seconda sezione studia l’auto, che con il petrolio ha fatto da base all’attuale storia del mondo. Dell’auto si esamina il passaggio alla propulsione elettrica con una corsa alla modernità che esclude nei fatti talune grandi imprese del passato remoto, cioè di dieci o venti anni fa. Per spiegarsi meglio, l’autore mette sotto esame il caso di Stellantis, in altre parole della Fiat, o dell’Italia. “l’Italia, che, a un certo punto, alcuni decenni fa, era diventata il secondo produttore del continente dietro la Germania, è ormai scivolata al settimo posto, dietro quasi a tutti, Germania, Spagna, Francia, Repubblica Ceca, Gran Bretagna e persino Slovacchia”. (pa. 116). La caduta è in primo luogo un’opzione finanziaria, con una scelta diversa dalla noiosa produzione di auto da parte della proprietà, gli eredi Agnelli, che ora hanno cambiato nome. Poi il predominio dell’alleato francese nella società complessiva con prevalere di interessi staccati dal benessere dell’Italia con le sue imprese minori di componentistica. L’accelerazione delle fabbriche di auto nel resto del mondo è soprattutto nel passaggio all’elettrico entro il 2035, un programma al tempo stesso inseguito e temuto, ostacolato dagli esponenti di vari paesi membri della Comunità europea, ciascuno dei quali insegue politiche economiche, impianti vecchi e nuovi, occupati e disoccupati, comunità mosse da elezioni imminenti, da alleanze possibili. Stellantis – dice con parole severe l’autore che qui prende le misure dei padroni e discute con il sindacato – non si è quasi accorta di quel che stava avvenendo nel mondo dell’auto. Come già Cesare Marchionne, per quanto lo riguardava – il lato Fca, Fiat della combinazione – anche i nuovi capi sono sembrati più interessati ad altro (leggi: dividendi) che non all’auto elettrica, alle nuove batterie, al litio, alla conquista degli enormi mercati asiatici aperti, alla fantastica concorrenza cinese. L’auto ha dovuto affrontare molti cambiamenti nel corso di un secolo abbondante e ne ha guidati altrettanti. Ora si trova a una scelta ulteriore, finale, impossibile da affrontare in uno stanco consiglio d’amministrazione plurilingue e disinformato.
L’ultima sezione del libro ha per titolo di riferimento la “carne” ma per precisione è l’intero sistema agricolo che è preso in esame da quell’angolo visuale. L’autore ne tratta con il consueto e saggio disincanto, anche se ci sembra di cogliere una leggera e ironica sorpresa. L’agricoltura, nata prima di tutto il resto nella storia, ora arriva al punto di negare sé stessa, diventa a sua volta industria, rinuncia ai campi e all’allevamento e chiude – o potrebbe chiudere – così la vicenda umana. Cresce la domanda, certo, ma quale domanda? In pochi anni c’è un miliardo di persone in più al mondo e tutti quanti vogliamo mangiare di più e meglio: stare meglio. Si è formato ancora un contrasto insanabile tra paesi ricchi che chiedono monoculture agricole o offrono in cambio denaro delle proprie banche e, di fronte, centinaia di milioni, miliardi forse, di contadini poveri che vivrebbero, se potessero, del loro lavoro e anche dei prodotti dell’orto. I primi sono nettamente i più forti, con i loro denari. E producono “un gran consumo di risorse idriche e di input chimici” (pag.133). L’autore insiste: si registra così “un gran livello d’inquinamento sotto forma di emissioni di gas serra e fertilizzanti, poi ancora scarsità d’acqua, spreco del cibo, degradazione dei suoli… (pag.135).
“Il cambiamento climatico ha tra l’altro spostato la frontiera di dove il cibo può crescere”. Si può notare che la produzione di cibo ha nel cambiamento climatico una causa importante ma al tempo stesso il cibo prodotto secondo i dettami del profitto è anche causa di un ulteriore aumento di gas serra e di tutto il resto. Sul prodotto-cibo la modernità ha ormai prevalso. Vi sono però aspetti significativi anche per quanto riguarda i processi per ricavare cibo, carne in particolare o suoi succedanei. Come si ricava la “carne vegetale”? Il tema è trattato alla pag. 153. Poco oltre si spiegano i casi della carne in laboratorio o carne coltivata (pag.155) e poco dopo si ricordano i casi di “insetti, alghe, agricoltura verticale, sintesi dell’amido…” (pag.159) come altrettanti processi per fare una carne buona o quantomeno mangiabile a tutti gli effetti.
Con sobrietà, con attenzione, il nostro autore, Vincenzo Comito, mette in tavola la carne che ha trovato. Non dice neppure che gli sembra indigesta. Si aspetta solo che siamo noi a dirlo.