Quel che ha convinto l’elettorato greco è stata l’autocritica di Tsipras che non ha negato i gravi errori commessi e si è assunto la piena responsabilità personale in quanto capo del governo. I greci hanno riconosciuto al governo di aver condotto – per la prima volta – una dura trattativa usando tutte le armi della […]
I primi a essere sorpresi del grande successo elettorale sono stati alla fine gli stessi dirigenti di Syriza. Ovviamente pochissimi in Grecia davano credito ai sondaggi che davano per certo un testa a testa con il partito di centrodestra Nuova Democrazia e hanno dato ancora meno credito ai pochi, come l’Università di Macedonia, che azzardavano addirittura la vittoria dei conservatori. Ma le proporzioni della vittoria si stimavano contenute, non superiori al 4%, stima ampiamente smentita da quel 7,5% definitivo. In sostanza, è risultato che il costo della scissione con i dissidenti di Unità Popolare è costata a Syriza solo un punto in percentuale. Più serio il costo, versato non solo dal partito di Tsipras ma da tutto il sistema politico, pagato attraverso l’astensione.
Eppure, il motivo stesso che ha gonfiato le vele di un partito fino a qualche anno fa minore come Syriza era la sua ferma opposizione alla politica di austerità. Era prevedibile, in particolare da parte dei dissidenti di Syriza, che buona parte di quell’elettorato anti-austerità avrebbe avuto una reazione di rigetto di fronte al “doloroso compromesso” raggiunto, con la pistola alla tempia, tra la Grecia e i creditori al Consiglio Europeo del 12 luglio. In effetti, buona parte degli elettori di gennaio non risparmiano al governo di sinistra accuse di avere nutrito speranze illusorie, di inesperienza, di scarsa capacità nel negoziare e soprattutto una mancanza di progettazione strategica nei rapporti con l’Unione Europea e l’eurozona.
Questa severa critica però si è stemperata di fronte alla convincente autocritica dello stesso premier, che non ha negato i gravi errori commessi e si è assunto la piena responsabilità personale in quanto capo del governo. Inoltre, i greci hanno riconosciuto al governo di aver condotto – per la prima volta – una dura trattativa fino all’ultimo momento, usando tutte le armi della democrazia, al primo posto quel forte 62% ottenuto al referendum. Contrariamente ad alcune valutazioni circolanti in Italia, specialmente nell’area che sostiene l’uscita dall’eurozona, l’elettorato greco attribuisce la responsabilità politica del fallimento del negoziato all’intransigenza della leadership europea e plaude alla decisione del premier di cercare di salvare il salvabile, senza arrivare a una rottura che sarebbe stata pagata duramente dal paese. In poche parole, i greci riconoscono le buone intenzioni del premier e giustificano, almeno in parte, la sua svolta. L’uscita dall’eurozona è un’opzione che non convince.
È importante anche considerare che le alternative politiche offerte agli elettori in questo scontro non erano tante. Quello che chiedevano era una soluzione di governo, non una qualche purezza ideologica nè la retorica della sinistra promossa dai dissidenti. Anche se fossero riusciti a superare la soglia del 3% ed entrare in Parlamento, comunque la funzione di Unità Popolare sarebbe stata limitata: il voto in loro favore avrebbe assunto una funzione di protesta non in grado di cambiare le cose.
Bisogna considerare che la grandissima parte degli elettori di Syriza sono elettori di centro o di centrosinistra, provenienti dal Pasok, mentre non mancano anche ex elettori di Nuova Democrazia, per nulla interessati alle argomentazioni di Unità Popolare. Il partito dei dissidenti ha infatti attirato elettori unicamente dalla riserva tradizionale di Syriza, che, come si sa, non ha mai superato il 5%.
C’è da aggiungere che l’evoluzione di Tsipras, il recupero di un rapporto con la leadership europea, la salvaguardia dei risparmi di chi non ha voluto spostarli all’estero e la rottura con la parte più ideologica del suo partito, ha aperto a Syriza l’accesso a nuovi elettori. Cittadini che sentono il bisogno di un radicale cambiamento politico ma che a gennaio avevano esitato a scegliere la Sinistra Radicale, soprattutto perchè insospettiti dalle accuse della destra che ci fosse un’”agenda segreta” di uscita dall’eurozona. Una volta chiarito nei fatti che Tsipras non è disposto a recedere dalla scelta europeista, hanno deciso di fare il grande passo, facilitati anche dalle gravi contraddizioni che affliggono il centrodestra greco. Il risultato elettorale ha dimostrato infatti che Nuova Democrazia dispone di uno zoccolo duro, al di sotto del quale non può scendere. Ma ha anche dimostrato che ha grosse difficoltà a recuperare. In pratica, mentre l’elettorato di destra si trova compatto a respingere qualsiasi sbandamento verso sinistra, ha grandi difficoltà a darsi una identità politica. Il presidente transitorio Vangelis Meimarakis è sicuramente altra cosa rispetto all’estremista di destra Samaras, ma nel condurre la campagna elettorale ha fatto lo stesso errore del suo predecessore: nel cercare di arginare la fuga di elettori verso i nazisti, spesso ha sposato la retorica di questi ultimi, specialmente di fronte al gravissimo problema dei profughi. Finendo così, proprio come Samaras, per legittimarli, nascondendo le linee divisorie tra destra democratica e sostenitori del Terzo Reich. Dopo la sconfitta, Meimarakis ha aperto subito la procedura per l’elezione del nuovo leader e già si sono fatti avanti i primi contendenti: Kyriakos Mitsotakis, il giovane rampollo dell’omonima dinastia politica, e il governatore del Peloponneso Petros Tatoulis, che però Samaras aveva espulso dal partito. Ce ne saranno altri, ma rimane la profonda crisi di un partito sulle cui spalle pesa enormemente la responsabilità della crisi e della sua gestione fino alla fine del 2014.
Per la grande massa degli elettori di Syriza neanche il ritorno alle case madri, il Pasok e Nuova Democrazia, era una scelta possibile. Accusano, non a torto, i governi precedenti guidati da questi due partiti per i disastro in cui si trova il paese. Sanno che il terzo memorandum firmato da Tsipras prevede nuove misure recessive ma sanno anche che con Tsipras c’è ancora una speranza.
La campagna elettorale del presidente di Syriza si basava sulla contrapposizione con il vecchio sistema politico e si è dimostrata vincente. Nella società greca vige oramai un profondo sentimento di repulsione verso il vecchio establishment . Lo si è visto proprio al referendum: il No non si rivolgeva solo alle proposte di Juncker ma era soprattutto rivolto verso le élite dominanti, che si erano schierate compatte in favore del Sì. Ecco perchè ora gli elettori hanno voluto premiare Tsipras nella promessa di combattere l’oligarchia e il suo sistema di potere, basato sul controllo dei mezzi di informazione e sulla totale impunità.
Tsipras ha fatto dei passi indietro ma non è diventato un sostenitore delle politiche di austerità. Il “doloroso compromesso” che ha dovuto firmare lascia sicuramente scoperto il fronte della lotta intransigente all’austerità, una bandiera oramai in mano a forze marginali al sistema politico, come i comunisti del KKE e i nazisti di Alba Dorata, ambedue favorevoli all’uscita dall’Unione Europea.
Questo fatto dà a Tsipras un ampio margine di manovra per portare avanti le pesanti misure imposte dalla troika, senza incontrare grandi mobilitazioni popolari, almeno nell’immediato. Il tempo, questa volta, gioca in favore del premier: a ottobre comincia il negoziato sul debito, che, contando il nuovo prestito di 86 miliardi, sta per raggiungere il 200% del PIL. Entro la fine dell’anno, inoltre, ci sarà il versamento di quei 35 miliardi promessi dal piano Juncker per l’economia reale. Con un minimo di accortezza negli investimenti, potrebbero fare la differenza.
Nella composizione del nuovo governo Tsipras non ha voluto o potuto evitare di escludere i ministri di provenienza Syriza che non avevano dato grandi prove di capacità nello scorso governo. Ma ha fatto di nuovo la scelta di puntare fortemente ai tecnocrati di “area”, per la maggior parte di provenienza Pasok, come la nuova vice ministra per lo sviluppo economico e quello dell’agricoltura. Mentre nei ministeri chiave rimangono i collaudati Tsakalotos nelle finanze e Stathakis allo sviluppo.
L’apertura agli ex socialisti non è dovuta solo all’esperienza di governo accumulata in tanti anni di governo degli ex esponenti del Pasok. Tsipras cerca di aprire un dialogo anche con i socialisti europei, da tempo preoccupati dalla marcia del Pasok verso l’inesistenza. La nuova leader del partito Fofi Gennimatà è inesperta e non dispone di una grande personalità politica. Rimane teleguidata dall’ex leader Venizelos, del tutto appiattito sulle posizioni liberiste di Schauble e personalmente accusato di corruzione durante il periodo in cui era ministro della Difesa. Fofi ha difficoltà a sganciarsi dalla sua pesante tutela e durante la campagna elettorale ha paradossalmente rivendicato una continuità con il peggior Pasok, a iniziare dall’ex premier Simitis, proprio quello che ha gestito l’adesione della Grecia all’eurozona truccando i conti. Malgrado questo, il Pasok è riuscito non solo a conservare ma anche a aumentare di poco i suoi consensi. Tsipras ritiene utile recuperare i socialisti greci a una politica di sinistra ma la strada sembra ancora molto lontana.