Mobilità senza programmazione. In Italia è il territorio che si deve adeguare all’infrastruttura, non il contrario. Alcune proposte per migliorare il nostro trasporto
La politica dei trasporti e delle infrastrutture in Italia si è caratterizzata per essere slegata da ogni politica di programmazione dell’uso del territorio e di espansione delle città ed aree metropolitane. Certo non sono mancati i tentativi di riavvicinare le scelte in modo coerente sia nella programmazione locale che in quella nazionale e comunitaria – dal Piano generale dei Trasporti dell’87 a quello del 2001, ai Piani urbani del Traffico e della Mobilità negli anni ’90, alle direttive europee – ma la logica della grandi opere, dei lavori pubblici, ha trovato sempre il modo di evadere integrazione e coordinamento.
Lo strumento più rilevante a questo scopo è stata la Legge Obiettivo voluta dal governo Berlusconi nel 2001, che ha indotto anche un salto di “qualità” nel programmare infrastrutture “indifferenti” al territorio perché ha invertito ogni logica decisionale: non più integrazione, non più infrastrutture che connettono, ma è la decisione sulla localizzazione della grande opera che costituisce “variante” al Piano Regolatore vigente. Come dire che è il territorio che si deve adattare all’infrastruttura.
Un metodo di lavoro che non funziona perché quando dai grandi proclami si scende ai progetti reali i conti non tornano: il territorio è cambiato, è molto più denso, pieno di esigenze e problemi, le città escluse da ogni decisione vogliono comunque e giustamente dire la loro, ed anche i conti economici non tornano più.
Ma i progetti infrastrutturali da realizzare con le procedure accelerate della Legge Obiettivo come la autostrade sono gli stessi di 20 anni fa, sono vecchi, non tengono conto di questi cambiamenti, non contengono innovazioni né di progetto ne di servizio all’utenza. Una legge vigente di semplificazione che il governo e la maggioranza dell’Unione non ha voluto modificare, grazie anche alla netta opposizione dell’ex-ministro Di Pietro.
Un’altra distorsione: nuovi insediamenti per pagare le autostrade
Un altro passo in avanti nel predominio dell’infrastruttura sul territorio è costituita dalla nuova Legge n. 15 del 2008 della regione Lombardia, per le infrastrutture. All’articolo 10 si prevede che al concessionario di infrastrutture possano essere affidati anche interventi insediativi e territoriali nella fascia connessa con il tracciato dell’opera, al solo scopo di consentire al concessionario di ripagarsi l’opera che non regge con i soli ricavi da pedaggio.
Quindi avremo insediamenti mai pianificati con il solo scopo di fare “cassa” magari per realizzare infrastrutture sbagliate ed obsolete, che in genere vengono giustificate con il refrain “si ripagano da sole” e neanche questo è dunque vero. Potrebbe sembrare in fondo una opportuna integrazione tra insediamenti ed infrastrutture ma il fatto che l’insediamento serva a ripagare l’opera deforma il processo di pianificazione: diventerà una grande corsa a costruire capannoni e centri commerciali, invece di parlare il linguaggio del recupero, del riuso, della demolizione e ricostruzione, del risparmio di suolo.
Senza dimenticare che questo processo di cementificazione è calibrato per nuovo autostrade, invece di addensare insediamenti nei luoghi di accesso delle reti ferroviarie.
Del resto non avevamo mai dubitato che erano le concessionarie autostradali a decidere anche le scelte infrastrutturali e territoriali del nostro Paese1, con la loro capacità di incassare risorse e condizionare le scelte politiche ad ogni livello, e questa legge della regione Lombardia lo rende ancora più esplicito.
Come è nuovamente accaduto con l’emendamento approvato da Governo e maggioranza nel Decreto Legge 101/2008, che da il via libera “per legge” a tutti le nuove convenzioni con le principali concessionarie autostradali, senza valutazione di Cipe, Nars e Parlamento. Arrivando a riconoscere alla Società Autostrade per l’Italia, aumenti tariffari annuali sicuri almeno del 70% da qui al 2038: una autentica e sicura scala mobile.
Crescono le percorrenze e cambia la domanda di trasporto
La definizione di progetti infrastrutturali vecchi ed obsoleti deriva anche dal confronto con i cambiamenti intervenuti nella domanda di mobilità negli ultimi 30 anni. Domanda che è cresciuta costantemente con il cambiare dei comportamenti e del lavoro, determinata dall’espansione urbana fuori dalle grandi città, alimentata dalla rigidità della casa in proprietà e dall’assenza di un mercato accessibile dell’affitto. Lo stesso uso delle autostrade esistenti nate per la grande distanzia si è modificato, servendo un traffico sempre più locale e breve di pendolarismo quotidiano.
Un analogo ragionamento è possibile fare per il trasporto delle merci, con l’espansione della fabbrica diffusa e decentrata, con la chiusura o trasformazione dei grandi poli industriali, con la realizzazione di centri commerciali e di sistemi di distribuzione sempre più intensi e basati sul “just in time”, dove ormai le nostre strade ed autostrade sono il vero magazzino delle imprese di produzione, distribuzione e commercializzazione.
Sono gli stessi numeri che lo dimostrano, come il prezioso studio curato dall’ing. Andrea Debernardi per il Wwf “Metropoli tranquille”2 che analizza le modifiche strutturali della domanda di trasporto nel Nord Italia e fornisce risposte innovative ai problemi che vengono posti. Lo studio documenta l’incremento delle percorrenze nell’Italia settentrionale passate dai circa 8.500 km del 1980 agli oltre 16.000 km del 2000. Di questi km che ogni anno in media ogni cittadino percorre ben 14.000 sono in automobile e sono cresciuti non tanto il numero degli spostamenti quanto piuttosto la percorrenza media di ogni percorso.
Analogo ragionamento vale per il trasporto delle merci. Negli ultimi vent’anni l’aumento delle percorrenze espressa come tkm trasportate ogni anno per ciascun residente dell’Italia settentrionali, è costantemente cresciuta, passando dalle circa 4.500 tkm/ab/anno del 1980, alle quasi 8.000 tkm/ab/anno del 2000.
Da sottolineare che nello stesso periodo la quantità di merce trasportata è cresciuta del 20%, mentre l’incremento delle percorrenze è cresciuto più del triplo. Quindi l’incremento delle percorrenze passeggeri in vent’anni è stato praticamente del 100% mentre quello delle merci di oltre il 70% in più mentre il valore aggiunto determinato dal Pil è stato nello stesso periodo del 40% nel Nord Italia. Se ne conclude che c’è un incremento costante dell’intensità di trasporto che supera largamente quello del valore aggiunto, che richiede sempre più chilometri, sempre più energia, sempre più costi ambientali e territoriali, per produrre, lavorare e vivere.
Inoltre l’aumento delle percorrenze cresce (in genere tre-quattro volte) di più del numero degli spostamenti sia per la domanda di mobilità dei passeggeri che delle merci. Questo è sicuramente il risultato delle trasformazioni urbane e produttive, dell’espansione urbana e dell’edilizia a bassa densità, delle innovazioni logistiche ed il frazionamento delle fasi di fabbricazione dei beni di consumo, è l’effetto dello “sprawl” urbano e della città dispersa, dello “stravaccamento” di edilizia e capannoni, che oltre ad aumentare a dismisura il consumo di suolo, aumenta e fa crescere la domanda di mobilità.
Perché cresce il pendolarismo autostradale
Questa domanda di mobilità crescente e locale ha modificato anche l’uso delle autostrade, come dimostrano gli stessi dati della società Autostrade per l’Italia3.
Lo studio riferito all’anno 2007 documenta che sulla rete autostradale il percorso medio è stato di 75 km per i veicoli leggeri (le automobili) e di 99,7 km per quello pesante (le merci).
Ma queste sono le medie ed andando ad analizzare in profondità le percorrenze emerge che il 60,3 degli spostamenti leggeri ed il 48,1% di quelli pesanti avvengono su tragitti inferiori ai 50 km. Inoltre tra le due componenti, rispettivamente, oltre 1/3 dei veicoli leggeri e circa 1/4 di quelli pesanti non superano i 25 km. Ed a conferma di questo si indicano gli spostamenti oltre i 300 km rappresentano meno del 4% dei transiti leggeri e poco più del 6% di quelli pesanti.
Nello studio inoltre si afferma che le brevi distanze dei veicoli leggeri avvengono soprattutto intorno alle aree urbane, che insieme alla costanza del fenomeno, confermano il carattere di pendolarità nell’uso delle autostrade.
Una indagine mirata sui Pendolari d’Italia4 elaborata dal Censis, documenta l’esplosione del fenomeno pendolarismo negli ultimi anni, legata sospratutto ai “processi di diffusione abitativa che hanno cambiato profondamente le concentrazioni in molte aree del Paese”. Sono circa 13 milioni i pendolari in Italia e nel periodo dal 2001 al 2007 sono cresciuti del 35,8% ( si tratta di quasi 3,5 milioni di persone in più in soli sette anni. I pendolari sono soprattutto impiegati ed insegnanti (43%), studenti (23%) ed operai (17,5%).
Nel commuting quotidiano predomina l’auto privata, usata dal 72,2% dei pendolari, autobus e corriere si attestano al 13,4% mentre il treno assorbe appena il 7,6%. Complessivamente dal 1991 al 2001 emerge un calo della quota di mercato assorbita dai mezzi pubblici (-2,3% del treno e -3,2% dell’autobus) mentre aumenta la quota che utilizza l’automobile ( +8,6%).
Altro dato significativo che emerge dallo studio sui pendolari è la risposta relativa all’offerta di trasporti ferroviari: ben il 46% degli intervistati non usa il treno perché “ non ci sono treni per gli spostamenti che devo effettuare”, un altro 20,8% perché “la stazione è troppo distante da casa mia”,il 13,3% perché deve fare troppi trasbordi, il 13,8% perché i “collegamenti sono saltuari e non coincidono con i miei orari.
Il 6,2% afferma di dover fare altri spostamenti nel corso della giornata e solo il 5,1% afferma di non usare il treno perché gli piace guidare la propria auto!
Se ne deduce che è l’offerta di trasporto ferroviari e collettivi che è carente ed inadeguata ad una domanda di tipo metropolitano e diffusa sul territorio5, nonostante che sia un segmento di trasporto in crescita. Lo stesso studio Censis sottolinea la distanza tra la dotazione di linee ferroviarie suburbane delle principali conurbazioni europee rispetto all’Italia: oltre 3000 km di rete a Berlino, 1.500 km a Francoforte, 1.400 km a Parigi, a fronte dei 188 km di Roma, dei 180 km di Milano, i 117 di Torino, i 67 km di Napoli.
Proprio in questi giorni Londra6 ha approvato il nuovo “business plan” 2008/2018 di Transport for London, con massicci investimenti per potenziare il trasporto pubblico (ed in particolare il trasporto su ferro), che dovrà aumentare del 30% i passeggeri trasportati.
In Italia c’è molto da fare, per usare meglio le reti che abbiamo, per aprire la rete con nuove stazioni e fermate, per integrare le diverse modalità di trasporto (orari, tariffe, parcheggi), per realizzare nuove reti verso poli da servire (purtroppo in genere a bassa densità!), comprando 1000 treni per i pendolari da usare anche sulle linee liberate dalla nuova rete ad Alta Velocità.
Questo testo è una sintesi di un intervento preparato per il convegno su Consumo di suolo e cementificazione del territorio: le proposte degli ambientalisti. Organizzato dal Gruppo Verde al Parlamento Europeo ed Ecologisti Democratici – Brescia, 14 novembre 2008
Scarica il testo completo:
1Giorgio Ragazzi, “I signori delle autostrade”, Il Mulino 2008
2 WWF Italia. Metropoli tranquille, una politica dei trasporti ragionevole per il Nord Italia. A cura dell’ing. Andrea Debernardi. Edizione febbraio 2006.
3 Le percorrenze sulla rete Autostrade per l’Italia. Studio che analizza i comportamenti di viaggio in autostrada, anno 2007. A cura di Autostrade per l’Italia. (maggio 2008)
4 Censis-Ministero dei Trasporti. Pendolari d’Italia. Scenari e strategie. Edizioni Franco Angeli, 2008
5 W. Tocci, I.Insolera, D.Morandi. Avanti c’è posto. Storie e progetti del trasporto pubblico a Roma. Donzelli Editore 2008. Un libro da non perdere che mette insieme questione urbanistica, reti tramviare per il trasporto collettivo e riqualificazione urbana.
6 vedi articolo “Mayor outlines 10-year plan for massive transport expansion”( 6 novembre) sul sito www.tfl.gov.uk