Lo Stato dell’economia/Immune dalle inchieste internazionali, il sistema bancario nazionale è stato colpito localmente come dimostra il caso del Monte dei Paschi di Siena
Apartire dalla crisi iniziata nel 2008 si sono registrati nei paesi ricchi numerosi scandali di natura finanziaria. Si è trattato di un’ondata che non è ancora passata e che ha coinvolto buona parte della grandi banche internazionali, alcune a più riprese. In diversi casi sono stati toccati contemporaneamente molti istituti. Qualcuno è arrivato a ipotizzare l’esistenza di una vera e propria associazione a delinquere, tollerata o anche assecondata dai politici e dagli organi di controllo dei vari paesi. Questa ondata di scandali non ha sostanzialmente toccato le banche italiane, neanche le due più grandi, Unicredit e Intesa San Paolo (anche se proprio in questi giorni la prima sembra essere marginalmente coinvolta in un’inchiesta statunitense).
Gli scandali di provincia
Se negli ultimi anni il sistema bancario italiano è risultato immune dagli scandali internazionali, esso è stato invece colpito al cuore da molti affari di provincia: il Monte dei Paschi di Siena, la terza banca italiana in ordine di dimensioni, la Banca delle Marche, la Banca Popolare di Milano, la Cassa di Risparmio di Ferrara, ed infine la Carige di Genova e di Berneschi.
Si tratta in tutti i casi di istituti leader nel loro mercato di riferimento, che in teoria rappresentavano dei punti di forza dell’apparentemente virtuoso localismo imprenditoriale.
Cosa c’è in comune in questi casi?
Intanto va sottolineato che la crisi ha facilitato il venire a galla dei problemi, dal momento che essa, comportando bilanci sempre più risicati per tutti, ha permesso sempre meno di nascondere i buchi nel grasso dei profitti e dei flussi di cassa, come invece avveniva un tempo.
Per alcuni aspetti, peraltro, le banche non potevano rimanere estranee alla forte crescita del livello di corruzione che si è verificata in generale nel paese.
Un altro aspetto critico della gestione bancaria è stata la norma che già da molti anni permette alle banche di entrare nel capitale delle imprese e alle imprese di entrare nel capitale delle banche, creando spesso delle confusioni di ruolo molto dannose.
Sul piano operativo, in diversi casi i guai maggiori sono venuti dal fatto che i dirigenti hanno convogliato molte risorse in attività immobiliari e speculative che si svolgevano ben lontano dai confini del proprio campanile, invece che verso le realtà locali. A questo proposito, va ricordato che le banche si trovano di fronte ad un doppio problema: per alcuni aspetti esse appaiono troppo legate ai territori di riferimento, ma, non sapendo bene come esplorare altri lidi, trascurano il loro orticello e gestiscono male anche il nuovo.
Su un altro fronte, sembra poi essersi fatta meno lenta e più incisiva la vigilanza della Banca d’Italia. In parte il maggior zelo e la minor lentezza si possono spiegare con l’approssimarsi della presa sotto controllo delle grandi banche europee da parte della Banca Centrale Europea e con l’avvio dei nuovi parametri di capitale di Basilea III. In ogni caso, qualche mese fa erano 12 le banche commissariate da via Nazionale e si vocifera di una quarantina di istituti sotto esame. Peraltro, la Banca d’Italia da tempo richiede al governo maggiori poteri per poter rimuovere con tempestività gli amministratori di una banca, senza peraltro ricevere risposte.
I casi dimostrano che il sistema di contrappesi e di controlli interni all’interno dei vari istituti, nonostante tutta la letteratura sull’argomento, non hanno mai funzionato. Non parliamo poi del possibile controllo da parte dei media. Forse anche l’azione della magistratura, che pure nel caso della Carige vede indagato qualcuno dei suoi membri, è ora diventata più attenta.
In tutti i casi segnalati appare evidente come i gruppi dirigenti bancari propensi alla corruzione siano collusi con delle forze esterne, sia imprenditoriali che politiche.
Fa impressione, sul piano politico, il ruolo del Pd nelle vicende: partito in grado, in molte di queste realtà, di essere una forza imprescindibile nelle decisioni che riguardavano i vari istituti e che invece nulla ha visto e nulla ha sentito in nessuno dei casi. Sembra inverosimile che si sia trattato solo di culpa in vigilando.
Per altro verso, la politica in generale ha accuratamente evitato di occuparsi attivamente delle vicende incriminate, registrando inerte lo sviluppo delle vicende (quando non è stata chiamata direttamente in causa sul piano giudiziario).
I rapporti con il sistema produttivo
Gli scandali, che comportano come conseguenze la ricerca affannosa di nuovi capitali per turare le falle, nonché un ulteriore processo di concentrazione nel settore, sono soltanto uno degli aspetti delle difficoltà attuali del nostro sistema bancario.
Sul fronte dei rapporti con il mondo produttivo, i dati mostrano che nel 2013 è continuata la diminuzione, già in atto negli anni precedenti, del livello del credito erogato alle imprese (-5%) e i dati per i primi mesi del nuovo anno confermano in qualche modo tali trend, anche se appaiono forse un po’ meno drammatici.
La spinta alla riduzione viene dalle banche, ma anche dalle stesse imprese. I livelli di redditività del sistema finanziario si ridimensionano sia per la riduzione del volume del credito erogato che per la tendenziale diminuzione dei margini registrabili tra tassi attivi e tassi passivi, in relazione alla caduta generale dei tassi di interesse.
Naturalmente le banche hanno cercato di compensare i buchi aumentando più che hanno potuto i ricavi dalle commissioni, vecchia manovra del nostro sistema bancario. Ma in mancanza di idee nuove la soluzione appare rabberciata, mentre appaiono non più sostenibili i costi della struttura organizzativa.
Il recente pacchetto di interventi annunciati dalla Banca Centrale Europea (Bce) comprende, al suo interno, finanziamenti al sistema bancario per 400 miliardi di euro di durata quadriennale, a tassi molto attraenti, in qualche modo legati al fatto che le banche li passino poi almeno in parte al sistema delle imprese («funding for lending»). Sembrerebbe una misura molto importante per incoraggiare e spingere in particolare l’economia dei paesi del Sud Europa. Ma molte opinioni sulle misure prese non sono incoraggianti e valutano che esse potrebbero avere un effetto solo modesto.
Dal lato delle banche, bisogna considerare che esse stanno cercando in tutti i modi di ridurre i loro prestiti verso l’economia, in particolare quelli più rischiosi, al fine di minimizzare il livello degli aumenti di capitale necessari per adeguarsi alle nuove regole di Basilea e, per quanto riguarda gli istituti più grandi, anche per far fronte ai nuovi controlli della stessa Bce.
D’altro canto, esse sono spaventate dalla continua crescita degli insoluti e anche da questo lato sono spinte a ridurre il credito alla clientela.
Contemporaneamente, dal lato delle imprese, si è imposta di recente una spinta al deleveraging. Non si può così che registrare il fatto che molte di esse stanno soprattutto cercando di ripagare i debiti già esistenti e di finanziare gli investimenti quanto più possibile con fonti interne. In relativamente poche pensano a chiedere nuovi prestiti. Le stesse banche, del resto, sono più pressate a restituire i vecchi debiti con la Bce che a farne di nuovi. C’è una fuga generale dal debito.
Si è nella sostanza innescato un circuito perverso da cui appare difficile uscire. Comunque, anche la Banca d’Italia, come la BCE, promette ora di fare qualcosa per sostenere in particolare il sistema delle piccole e medie imprese. Vedremo.