Le piazze del 25 aprile straripavano di una diffusa, popolare domanda di pace. Di pace, non di armi. Tranne pochi casi di esibizionismo fuori luogo, la giornata ha confermato quanto giusta, ponderata e in consonanza con i sentimenti di massa, fosse stata la posizione dell’Anpi. Da Il Fatto Quotidiano.
Le piazze del 25 aprile straripavano di una diffusa, popolare domanda di pace. Di pace, non di armi. Tranne pochi casi di esibizionismo fuori luogo – i cretini che hanno contestato la Brigata ebraica, quelli che ostentavano bandiere della Nato o, sul fronte opposto, dell’ex Urss –, la giornata ha confermato quanto giusta, ponderata e in consonanza con i sentimenti di massa, fosse stata la posizione dell’Anpi, di ferma condanna dell’aggressione e di rigoroso pacifismo. Così come, su un diverso versante, complementare, ne è testimone la marcia Perugia-Assisi, con le sue decine di migliaia di partecipanti (liquidata dai giornali mainstream come fossero “diecimila”) a testimoniare fisicamente la propria voglia concreta di pace.
Diverso invece il clima con cui il mondo mediatico e politico ha preparato l’evento, in una bolla comunicativa in cui a dominare in modo totalizzante era invece la guerra, e dentro la guerra l’ossessivo tema delle armi assunte quale elemento qualificante dell’oggi e di ieri, unico discrimine tra i “giusti” e gli indegni. Le armi come icona monopolistica e assolutizzata dell’esperienza resistenziale, simbolo esclusivo della scelta partigiana. Dimenticando che i partigiani avevano imbracciato, certo, le armi, ma la loro forza vera stava nelle idee che li avevano portati in montagna e per cui combattevano. E nella lotta disarmata di tante e di tanti che aiutavano, anche senza sparare, la Resistenza a sopravvivere. È blasfemia suggerire che Ferruccio Parri non avrebbe mai preteso minacciosamente “armi, armi, armi”, avrebbe piuttosto parlato di Giustizia e di Libertà?