Austan Goolsbee per Obama, John Taylor per McCain. Colloquio tra gli advisor economici dei due candidati, prima della grande tempesta
John Taylor, advisor economico di John McCain e professore a Stanford. Austan Goolsbee, senior adviser della campagna di Obama, economista a Chicago. I due economisti si sono confrontati alla Minnesota University, a ridosso delle convention, quando la grande crisi finanziaria lanciava già tutti i suoi minacciosi segnali ma non era ancora esplosa. Vale la pena leggere cosa hanno detto: qualcuno di loro farà la politica economica della prossima amministrazione Usa.
Quel che segue è un resoconto sintetico di un dibattito sui programmi economici dei candidati alla presidenza degli Usa, svoltosi a ridosso delle convention dei due partiti alla Minnesota University.
La discussione si apre con un classico: le tasse. Un paio di settimane prima della fusione termonucleare del sistema bancario statunitense, John Taylor – advisor di John McCain – esordiva così: “In tempi di crisi economica non vedo come alzare le tasse possa servire. Continuare a tagliarle e rinnovare i tagli operati dalla presidenza in carica genererà investimenti, crescita, lavoro”. Un ricetta divenuta tradizionale, quella che conosciamo da almeno tre decenni e portata all’estremo dall’amministrazione Bush.
Austan Goolsbee, advisor di Obama, ha dovuto come prima cosa insistere che il piano Obama non è un piano di aumenti indiscriminati delle tasse. Sulle tv americane gli spot di McCain ripetono questa versione dei fatti in maniera ossessiva. “La campagna McCain dipinge le nostre proposte in maniera caricaturale. Il nostro non è un piano di aumento delle tasse. E non raccontano cosa sono stati gli ultimi otto anni. L’idea che abbassando le tasse alle corporation e ai più abbienti si crea lavoro – quella di Bush nel 2000-2001 – non ha funzionato. Non ha creato lavoro nella crescita e anche quest’ultima è stata più lenta di quanto avrebbe potuto essere con tasse più eque (ovvero con più soldi nelle tasche del consumatore medio). La crescita sotto Bush ha creato meno posti di lavoro che in altre fasi. Tra le risposte alla crisi di Clinton e Bush, quella che ha funzionato è la prima”. (Il periodo di Clinton, vissuto in America come un’età dell’oro per l’economia, viene assunto dagli Obamians come fase positiva. Non avveniva così durante le primarie). “I tagli alle tasse, poi, non sono mai stati finanziati. E sono stati usati trucchi contabili per non far apparire il deficit tanto alto (come pure è alto anche ufficialmente). Oggi McCain propone la stessa cosa”.
“Il nostro non è un piano di aumento delle tasse, anzi. Pagheranno di più le coppie che guadagnano più di 250mila l’anno. Non raggiungeremo i livelli degli anni 90. Obama, poi, ridurrà il deficit, McCain lo farà crescere di 340 miliardi l’anno. Il piano repubblicano dimentica l’americano medio, la famiglia normale a cui sono aumentate le spese e diminuiti i redditi. Nel nostro programma 2/3 dei tagli sono indirizzati a chi guadagna meno di 60mila l’anno, nel piano di McCain solo il 6% va a questi. E poi, a proposito di aumento delle tasse, la tassa sulle persone che hanno un’assicurazione sanitaria per finanziare il credito fiscale promesso ai non assicurati è un aumento per centinaia di milioni di americani, che peserebbe quanto eliminare i tagli alle tasse di Bush”. Golsbee sostiene insomma che il taglio di McCain è iniquo, inefficace dal punto di vista economico, disastroso sul fronte del deficit e mascherato con tasse sul fronte sanitario.
Joel Slemrod (un osservatore neutrale, della Business school dell’University of Michigan) ricorda che entrambi i piani manterrebbero parti dei tagli voluti da Bush (R&D, minimum tax) la differenza è che McCain introdurrebbe altri tagli per le corporation (corporate tax), perdendo così 100 miliardi di entrate. Non ci sarà dunque nessuna riforma fiscale clamorosa e “nessuno dei due parla di come affrontare il problema di sanità e pensioni che presto ci troveremo davanti (sapendo che il pubblico non vuole tasse)”.
Slemrod fa una notazione interessante sulla efficacia dei tagli generalizzati alle tasse come strumento di far crescere gli investimenti. “Che effetti avranno sulla crescita i tagli proposti da McCain? Quando si fanno sgravi fiscali a un settore piuttosto che a un altro, la cosa funziona, investimenti in quel settore arrivano. Se si abbassano le tasse a tutti i settori, non c’è effetto. L’unico effetto è l’aumento del deficit”. Ad esempio: se abbasso le tasse sulle tecnologie ambientali, arriveranno investimenti per produrle, perché chi investe avrà un margine di guadagno maggiore, se le abbasso a quelle ambientali e a quelle inquinanti non ci sarà uno spostamento di capitali da una all’altra, tutto potrebbe restare fermo.
Esiste poi il problema della valutazione degli effetti delle misure. Il Pil conta tutti, ma il problema, per un Paese è “Quale benessere, per chi e fatto come”. sostiene Slemrod. Non basta crescere, serve capire dove va la crescita (un argomento secco contro McCain). Non servono guerre di classe, ma serve tenere conto delle differenze di reddito.
Leonard Burman di Urban institute e Tax policy centre, centro che ha calcolato in un rapporto gli effetti di ciascuna misura sui diversi scaglioni di reddito, sostiene che “la tassa di McCain sulla salute è uguale per tutti i redditi, non ha senso. Perché non spendere, anziché detassare? Perché è poco popolare, ma è la stessa cosa (per Obama il taglio e a seconda dei redditi, perciò ha più senso)”. Il rapporto del Tpc è molto chiaro: con McCain i molto ricchi vedono un taglio secco, i redditi medi di poco e i poveri quasi non si vedono ridotte le tasse; con il piano Obama chi guadagna più di 600mila vede un aumento tra l’8,7 e l11,5% delle tasse, tra 260mila e 66mila resta uguale o diminuisce di poco, poi cala di più.
“Più in generale sulla questione fiscale, presto, con l’invecchiamento dei baby boomers, ci troveremo a spendere il 18% del Pil in sanità e pensioni. Questo significa, che con l’attuale livello di tassazione e disponibilità di spesa, non avremo soldi per infrastrutture. Se continuiamo ad affrontare la questione dando un calcio al barattolo per spostarlo un poco più avanti, facendoci prestare soldi e spendendoli, rischiamo uno scenario argentino”. (In pochi giorni una parte dello scenario si è avverata). “Ritengo che continuare a concentrarsi solo ed esclusivamente sulle income tax sia un errore: l’esempio della carbon tax è un buon esempio per ragionare Per come la vedo, entrambi i candidati rischiano di creare un aumento del deficit. Con una differenza: se vince McCain avrà a che fare con un Congresso a maggioranza democratica. E dunque sarà più difficile per lui ottenere tagli di spesa consistenti in contrasto con le idee dell’opposizione”.
Burman dà anche un colpo alla botte di McCain: “Una notazione sul taglio delle corporate taxes: non serve a generare crescita o investimenti, ma per come sono regolate le corporations e i mercati globali, che possono decidere di mettere la loro sede dove vogliono, avere tasse basse può portarne un poco a casa, facendo aumentare le entrate”. A un giornalista che chiede: “Da come parlate non sembra che siamo a un bivio in materia di politica fiscale”, Golsbee (Obama) risponde che non è così. “Il periodo di crescita appena conclusosi è quello in cui le famiglie a reddito medio hanno perso 15mila dollari l’anno. Non era mai successo. Il nostro piano si occupa della middle class, rimette soldi nelle loro tasche. E questo è un passaggio cruciale rispetto agli ultimi otto anni”.
Burman: “Attenzione, con entrambi i piani cresce il debito. Secondo i nostri calcoli con Obama si perdono 2.9 bilioni (non miliardi) in dieci anni, con McCain 4.9. Nessuno dice come copre il buco. Senza un piano il pericolo è l’Argentina”.
Alla domanda “come pagate?” Goolsbee risponde “Intanto voglio dire che i dati del Budget office non sono realistici, le spese previste se tutto rimane com’è, cresceranno più di quanto si dice. Con il nostro piano, rispetto a come siamo messi le spese diminuiscono. Il nostro tax program ridurrebbe il deficit. Mentre il piano McCain fa sparire con trucchi contabili tre bilioni di dollari. Le spese in meno saranno: l’Iraq, i sussidi per i farmaci forniti da Medicare via i privati, i sussidi ai latifondisti, una riforma dei prestiti agli studenti basata sul reddito e una riduzione degli earmarks al livello del 1994”. (Gli earmarks sono le leggi di spesa approvate dal Congresso, oltre al bilancio federale proposto dall’amministrazione. Sono il luogo delle spese locali fatte approvare da deputati e senatori, anche quando inutili. Spesso il senatore dem e rep votano assieme, se si dividono lo Stato. Gli earmarks sono la tipica cosa contro la quale parlano chiunque, a meno che non si stia parlando del tuo Stato. Lo stesso vale per il pubblico, “io sono contro, ma a favore quando i soldi li spendono a casa mia”.)
La risposta di John Taylor (McCain): “Dobbiamo tagliare il deficit. Con il nostro piano le entrate crescono perché le entrate dalle imprese salgono del 5 per cento l’anno. Quindi anche tagliando le entrate restano uguali. E poi sul controllo della spesa McCain è il senatore che sempre si è battuto contro le spese inutili”. Questo è vero, McCain è un vero fiscal conservative contro l’intervento dello Stato in economia, il tutto però è vago, senza cifre vere. E con la catastrofe finanziaria di questi giorni e il piano Paulson che rilancia in maniera distorta l’intervento pubblico in economia, sembra anche improbabile.
Il problema del deficit resta comunque molto grande per entrambi e nessuno risponde davvero su come coprirà i buchi. Il lascito di Bush sarà spaventoso e per Obama sarà difficile poter spendere. E questo è un problema, perché gli elettori questo chiederanno.