Top menu

Fridays For Future in piazza per le 1° elezioni climatiche

Saranno le prime elezioni climatiche della storia repubblicana. E il 23 settembre, lo stesso giorno in cui si chiude la campagna elettorale, Fridays For Future torna a scioperare in tutte le piazze d’Italia per il clima.

Il 23 settembre, lo stesso giorno in cui si chiude la (finora deprimente) campagna elettorale che ci ha accompagnato negli ultimi due mesi, Fridays For Future torna a scioperare per il clima.

Fatali coincidenze quelle che hanno fatto incontrare una data di mobilitazione scelta da mesi con l’apertura delle urne. Si tratta tuttavia di un’occasione che il movimento per il clima non ha potuto fare a meno di sfruttare. Quelle che fra pochi giorni affronteremo saranno infatti le prime elezioni climatiche della storia repubblicana. Nel marzo 2018 non si era ancora aperta l’attuale fase del movimento per il clima. Erano ancora di là da venire perfino i primi scioperi di Greta Thunberg.

 Il 25 settembre si formeranno però gli equilibri di una legislatura che coinciderà con gran parte del tempo residuo, 6 anni e 11 mesi, per l’esaurimento del carbon budget (la CO2 che possiamo ancora emettere) nello scenario che ci dia maggiori (seppur scarse) possibilità di restare sotto 1.5 °C di aumento della temperatura media globale. 

E questo avverrà di fronte ad un elettorato che ha visto mutare, e per l’inasprimento (in forma di siccità ed eventi estremi) di alcuni effetti della crisi climatica e per l’attivismo e gli scioperi del movimento per il clima, le proprie priorità. L’esito infatti di un sondaggio concluso nel luglio scorso dal think thank Ecco ci consente di rilevare quanto il cambiamento climatico sia trasversalmente percepito come un’urgenza da elettori sia di destra che di sinistra, ma anche quanto al contempo regni una sfiducia generale nei confronti dei policy makers su ambiente e clima: 2 italiani su 3 infatti ritengono poco affidabile l’operato dei leader politici in tale materia. I programmi dei partiti da essi guidati sembrano (generalmente) confermare tale comune intuizione.

Questo ha spinto il movimento Fridays For Future a scrivere un’Agenda climatica (contrapposta alla celebrata draghiana) in grado di esprimere le priorità da affrontare nell’immediato e nel più lungo periodo per contrastare la crisi climatica nel rispetto di una imprescindibile sostenibilità sociale delle misure a tal fine necessarie. Per questo interventi costosi come il trasporto pubblico gratuito e capillare e i grandi investimenti nelle energie rinnovabili (certo però meno onerosi di quelli necessari all’introduzione di quel nucleare sostenuto dal centrodestra populista), verrebbero coperti da importanti riforme del sistema fiscale ispirate al principio costituzionale (ex art.53 Cost.) della progressività, tradito negli ultimi decenni di controrivoluzione neoliberista. 

Gli scioperi per il clima e l’attivismo ad essi contestuale hanno funzionato. A ribadire e suffragare tale tesi contribuisce anche un recente studio pubblicato su Ecological Economics. Sulla base di un’analisi condotta su 57 movimenti che hanno contrastato infrastrutture legate ai combustibili fossili in 29 paesi, è emersa la rilevanza dei movimenti sociali nel contribuire a restare sotto 1.5°C di aumento della temperatura media globale. Insomma, l’attivismo e gli scioperi (e non sono poi indispensabili le ricerche scientifiche per confermarlo) funzionano: soprattutto contribuiscono a creare il consenso sociale che impedisce che quella climatica (e quindi istituzionale e politica che auspichiamo) possa essere immaginata come un’elitaria rivoluzione per procura.

Le piazze di venerdì saranno consapevoli delle sfide politiche che la crisi climatica impone di affrontare. Al contempo modo in esse crescerà la percezione che le scelte da tali sfide richieste non sono compatibili con l’attuale sistema economico e politico. Quindi l’auspicio è che in esse possano maturare delle forze in grado di generare una valida alternativa al presente modo di vivere,  attuando quella “erosione del capitalismo” teorizzata da Erik Olin Wright. Frammenti di emancipazione possono nascere fra le nicchie del sistema economico capitalistico: “utopie reali” che, sostenute da sempre più forti attori collettivi possono ambire a sostituire l’attuale ecosistema economico. Per il clima e per chi, su questo tormentato pianeta, fatica a sopravvivere con dignità.