La creazione di un gigante dell’auto avrebbe favorito un’Europa. Ma oltre ai ritardi tecnologici, all’inazione italiana ammantata di iperliberismo, al nazionalismo autodistruttivo francese, ci sono due attori occulti: Stati Uniti e Germania.
La vicenda FCA-Renault presenta molti aspetti, alcuni dei quali, probabilmente non dei meno importanti, si sono forse risolti dietro le scene.
Qualcuno, come il ministro dell’economia francese, Bruno Le Maire, ora auspica, o fa finta di auspicare, che FCA e Renault si rimettano di nuovo al tavolo delle trattative, cosa che dal punto di vista economico avrebbe una sua logica, ma che ci sembra un’ipotesi inverosimile, almeno nel breve termine, mentre l’auspicio sembra forse solo servire a mascherare i grossolani fallimenti dello stesso ministro.
Comunque, le due imprese protagoniste della vicenda hanno a suo tempo sottovalutato, come ha affermato ad esempio il professor Giuseppe Berta (Franchi, 2019), gli aspetti geopolitici dell’intesa, che oggi sono nel mondo in generale più importanti di quelli dell’economia e della sua logica. Gli Stati sono tornati, per molti versi, a dettare le loro condizioni.
A tale proposito appare opportuno in effetti ricordare che, accanto alle quattro imprese del settore in qualche modo coinvolte nell’affare, ci sono altri attori presenti sulla scena del dramma, gli Stati. Essi sono ufficialmente tre, ma dietro le quinte si intravedono almeno altri due protagonisti parecchio ingombranti.
Ricordiamo in ogni caso che il tutto si svolge mentre le case dell’auto cercano faticosamente di adattarsi ad un settore che appare sotto assedio (Ewing, 2019), tra guerre commerciali, spostamento dell’asse geografico del settore, preoccupazioni climatiche, innovazione tecnologica, nuovi modi di utilizzo delle vetture.
Gli attori palesi
-L’Italia
Per quanto riguarda il nostro paese è molto semplice riferire quanto è accaduto. Il governo italiano e i suoi rappresentanti, con un comportamento del tutto opposto a quello francese, stando almeno alle dichiarazioni ufficiali non hanno sostanzialmente espresso alcuna volontà, non hanno emesso alcuna dichiarazione ufficiale su di una questione che riguardava quella che è ancora oggi la più grande impresa industriale operante in Italia, che poi, con tutto il settore della componentistica e dei servizi che si trascina dietro, impiega centinaia di migliaia di persone. Nelle dichiarazioni di Di Maio si intravede solo un distaccato snobismo ultraliberista senza alcuna visione.
-La Francia
Ben differente appare appunto l’atteggiamento dello Stato francese, che ha da subito posto alla FCA una serie di condizioni e, man mano che esse venivano esaudite, ne metteva in campo sempre delle nuove, sino a che l’elastico si è rotto, lasciando sia la FCA che la loro Renault in una situazione quanto mai precaria, quella di veri e propri zombies, in un mercato che sta diventando sempre più difficile da tenere.
Vista la questione a posteriori, non ci sarebbe forse stato peraltro da sorprendersi oltremisura del comportamento dei nostri cugini, ricordando in effetti le infinite vicende del caso Fincantieri-STX. Prima i francesi si sono rifiutati di dare il controllo del loro cantiere agli italiani, poi lo hanno fatto a condizioni molto dure e a nostro parere umilianti e, per di più, quando l’accordo sembrava raggiunto, hanno fatto ricorso, parallelamente alla Germania, contro lo stesso all’antitrust europeo.
Si tratta di una vicenda per molti versi inaudita, nel corso della quale i pubblici poteri italiani non hanno sostanzialmente profferito verbo, lasciando che se la sbrigasse sostanzialmente da solo il management della stessa Fincantieri.
Per altro verso, mentre Macron proclama la sua fede nell’Europa, egli si dimostra in realtà un sovranista autodistruttivo; ancora, fatto indicativo del caos che ora regna a Parigi, mentre il ministro Le Maire corre a Tokio a calmare i giapponesi, offrendo anche una sia pur vaga promessa di riduzione dell’impegno azionario dello Stato nel capitale di Renault (presenza azionaria che i giapponesi vedono in maniera negativa), il presidente della stessa società, Senard, boccia la riorganizzazione interna che gli stessi manager della Nissan stavano portando avanti; peraltro la stessa riorganizzazione tagliava fuori quasi del tutto i francesi dalla gestione. I locali comunque l’hanno presa molto male per l’ennesima volta (Béziat, Mesmer, 2019).
-Il Giappone
In generale i giapponesi non hanno mai veramente digerito che una grande impresa del loro paese fosse controllata dallo straniero ed hanno accettato a suo tempo l’arrivo dei francesi solo perché la Nissan si trovava con l’acqua alla gola ( ricordiamo che la Renault ha il 43% del capitale della società, che diversi anni fa salvò dal fallimento; essa ora gode di buona salute, migliore di quella della casa francese: è più grande e fa maggiori profitti).
La defenestrazione di Ghosn qualche tempo fa è avvenuta attraverso accuse infamanti (il caso ha peraltro molti risvolti oscuri), portate avanti contemporaneamente dai poteri pubblici e dal management della società; dopo di che, la Nissan ha rifiutato con sdegno la proposta di fusione avanzata dai francesi. Ora i nostri cugini non hanno informato i giapponesi dell’accordo con FCA sino all’ultimo minuto ed anche questo va nel cahier des grievances di Nissan. Certamente i francesi, prima dell’accordo poi fallito con FCA, si trovavano in una situazione molto precaria nei confronti degli asiatici, mentre con tale accordo essi sarebbero tornati però in una posizione di forza. Ma a questo punto i giapponesi si sono rivoltati contro, contribuendo in qualche modo a far saltare l’affare.
In ogni caso, i rapporti tra le due parti sono ora al punto più basso, anche se i giapponesi tendono ora un ramoscello d’ulivo (Lewis, Keohane, 2019), non si sa quanto sincero. Ricordiamo incidentalmente che, pur con il 43% del capitale dell’azienda giapponese, la Renault vi decide molto poco; il fatto è che, come auspicava a suo tempo Cuccia per le grandi imprese italiane, anche in Giappone le azioni apparentemente non si contano, ma si pesano.
Si rischia anche una rottura dell’alleanza.
E quelli occulti: Stati Uniti e Germania
-Gli Stati Uniti
Tra gli attori in qualche modo occulti, ma forse non tanto, ci sono ovviamente gli Stati Uniti. Non sono note dichiarazioni ufficiali in merito alla vicenda che stiamo analizzando, ma Trump da una parte con le sue minacce periodiche contro il Messico (un paese chiave nella produzione di auto e in cui operano con degli stabilimenti sia FCA che Renault), nonché con quelle verso l’industria dell’auto europea, dall’altra con il diritto autoproclamato di intervenire di forza su eventuali accordi che riguardino in qualche modo gli Stati Uniti, può aver giocato un ruolo importante nella questione, come molti hanno sottolineato.
-La Germania
Quasi nessuno ha invece fatto riferimento, in relazione alla vicenda, ad un altro attore che gioca un ruolo fondamentale nell’industria dell’auto, la Germania.
Il paese sembra trovarsi ad un momento cruciale. Già sostanzialmente padroni del settore, dei suoi profitti e delle sue tecnologie di punta, i tedeschi si trovano ora sotto attacco, perché, tra l’altro, hanno sottovalutato e comunque reagito in ritardo alla rivoluzione tecnologica in atto, mentre il settore del digitale è ormai minacciosamente dominio di cinesi e americani. Basti ricordare che in questi giorni un manager della Huawei ricorda che essi stanno per entrare nel settore dei veicoli a guida autonoma e che comunque circa il 70% del valore di un’auto di questo tipo verrà dai sistemi di intelligenza artificiale inseriti all’interno. Addio al valore aggiunto dei veicoli Mercedes, BMW ed Audi; la catena del valore del settore si prepara ad avere altri protagonisti (Kynge ed altri, 2019).
I tedeschi da una parte si trovano di fronte ad un Trump imprevedibile, che può mettere in seria difficoltà le loro attività nell’emisfero occidentale, mentre dall’altra una parte molto rilevante delle loro vendite e la gran parte dei profitti nel settore vengono dalla Cina, paese che sta intanto facendo grossi passi avanti nell’acquisire il dominio del business.
In questa situazione appare plausibile un intervento tedesco sui cugini francesi, con i quali sembrano da qualche tempo cercare di stringere, peraltro con un successo discutibile (si tratta di due soggetti caratterialmente difficili), un’alleanza globale.
In questo quadro, in effetti, la Germania avrebbe digerito molto male la creazione di un altro gruppo europeo in grado in qualche modo di resistere sul mercato alle case locali, mentre probabilmente essi cercano invece di ridurre, al limite, gli altri paesi del continente ad un mero ruolo di componentisti, subordinati alle loro esigenze produttive.
L’introvabile politica industriale europea
La creazione di un gigante dell’auto avrebbe favorito un’Europa che rischia e gravemente un ridimensionamento economico e politico importante. Il caso può in effetti essere inquadrato nel più ampio contesto dell’economia continentale.
Dopo che per decenni la Germania, con la sostanziale acquiescenza della Francia, ha demolito in sede UE qualsiasi idea di politica industriale a livello dei singoli paesi e di quello comunitario, ora, messa all’angolo, sembra, con i suoi politici, risvegliarsi a tale esigenza.
Così essa, sempre con la collaborazione della Francia, sembra ora volere una politica industriale a livello continentale che riesca, tra l’altro, a contrastare la perdita di punti nella competizione economica globale di cui le imprese europee soffrono in maniera crescente; ma il guaio è che la vuole veder operare soprattutto a suo favore.
Alcuni dei casi più recenti di questi tentativi di collaborazione mostrano tutti i limiti della situazione e dell’operato dei due paesi, da soli ed in compagnia.
Oltre a quello FCA-Renault, il caso Fincantieri-STX ( in cui la Francia ha agito, con un gioco sporco, da sconsiderato nazionalista), quello Siemens-Alstom (un tentativo di fusione franco-tedesco basato su dati truccati), quello della costruzione del nuovo caccia europeo ( vicenda in cui alla fine l’Italia e la Gran Bretagna, escluse dall’intesa franco-tedesca, si sono inventate un disperato progetto alternativo), quello dell’iniziativa nelle batterie e quello per l’intelligenza artificiale (lodevoli in principio, ma tardivi e per i quali le risorse stanziate appaiono insufficienti, mentre le due iniziative sono monopolizzate dal solito duo franco-tedesco), sono tutti episodi che indicano come la strada degli accordi sia difficilmente praticabile.
E questo per molti motivi, dalla pretesa tedesca e francese di fare appunto tutto loro, relegando gli altri a ruoli al massimo di valletti, alla peraltro elevata litigiosità sostanziale anche tra i due, all’esiguità delle risorse messe di frequente in campo, alla lotta competitiva di americani e cinesi, ai ritardi nel lancio delle iniziative, tutti fattori che mettono in seria difficoltà l’intero progetto.
Passi per i settori delle nuove tecnologie, nei quali la partita sembra ormai irrimediabilmente persa, ma anche in quelli più maturi non si riesce in pratica a varare un solo progetto senza ostacoli di tutti i generi molto difficili da superare.
A questo punto si possono fare due considerazioni finali.
La prima, quella di un auspicio perché i paesi latini formino un’alleanza per contrastare la preponderanza tedesca, cosa peraltro impossibile con l’attuale nostro governo. La seconda è quella che probabilmente in realtà al nostro continente, anche sul fronte economico, non resta forse ormai che cercare di siglare degli accordi con Cina e Stati Uniti perché, in cambio di qualche contropartita, ci lascino ancora rivestire un ruolo in qualche modo dignitoso nel mondo, cosa peraltro anch’essa difficile da ottenere.
Testi citati nell’articolo
-Béziat E’., Mesmer P., Le torchon brule entre Renault et Nissan, Le Monde, 12 giugno 2019
-Ewing J., Automakers try to adapt in industry under siege, The New York Times International, 8-9 giugno 2019
-Franchi Massimo, Non poteva funzionare, Nissan non si è fatta fregare, Il Manifesto, 7 giugno 2019
-Kynge J. ed altri, Huawei looks to self-driving cars in bid to broaden AI focus, www.ft.com, 12 giugno 2019
-Lewis L., Keohane D., Nissan’s CEO Hiroto Saikawa seeks to make peace with Renault, www.ft.com, 10 giugno 2019