I populisti di destra ed establishment si ritrovano uniti da neoliberismo, nazionalismo e militarismo. Riflessioni a partire da una pubblicazione di Transform! Europe, la fondazione della Sinistra Europea, a cui Sbilanciamoci! ha contribuito.
Mentre l’Europa si avvia verso le elezioni europee sotto la letale retorica del conflitto tra europeisti e nazionalisti, tra establishment neoliberale e pericolosi populisti –altrettanto neoliberali -, le politiche securitarie contro il diritto alla mobilità e la torsione militarista segnano il continente europeo. Per cercare di pensare un futuro oltre la trappola della scelta tra status quo e regressione torna utile la recente pubblicazione “The Militarisation of the European Union. Questions for a 21st Century Left Security Concept” di transform! Europe, la fondazione della Sinistra Europea (GUE), a cui Sbilanciamoci! ha contribuito.
La fase europea fa parte di un contesto che, per quanto eterogeneo, è globale. Di questi autoritarismi nazionalisti, il simbolo più evidente e potente è Trump, e più recentemente Bolsonaro. Sul truce generale brasiliano il Financial Times , così come l’Economist, oscilla tra la gioia per la prospettiva di maggiori occasioni economiche aperte dalle riforme di Guedes e un certo scetticismo per le forme machiste e fasciste assunte da Bolsonaro. Certo è che la borsa brasiliana festeggiò il giorno delle elezioni di Bolsonaro. In generale, però, i capitali globali stanno ancora cercando di capire quale sia il grado di stabilità del paese, mentre quelli nazionali già giubilano. Il conflitto tra “globalisti” e “sovranisti” può essere letto come un conflitto tra diverse frazioni del capitale nazionale e internazionale. Un esempio di questa dinamica è dato dal fatto che, per la prima volta dal 2008, in quella potenza globale declinante che sono gli Stati Uniti, Wall Street per le elezioni di Midterm abbia dato più soldi ai democratici –nonostante Sanders – che ai repubblicani –nonostante il generoso taglio di tasse ai più ricchi-, mentre industrie più territorializzate continuano a sostenere i repubblicani.
Intanto, in Europa la spoliticizzazione indotta dal modello neoliberale di gestione del conflitto sociale ha fomentato identitarismi, politiche del decoro e deliri polizieschi (da ultimo il gravissimo caso dell’espulsione dell’attivista Madalina Gavrilescu. Da Salvini, a Kurtz – nuovo faro dei conservatori europei: la linea del razzismo esplicito si fa egemone. Il tragico sdoganamento del razzismo da parte delle principali forze politiche europee è in qualche modo incarnato dalla candidatura alla guida della Commissione Europea per il Partito Popolare Europeo (PPE) di Manfred Weber, amico di Orban che lo ha sostenuto nella corsa.
Questo processo non è certo nuovo, ma la violenza odierna, la diffusa, manifesta, accettazione della barbarie razzista, si è intensificata. L’ascesa dell’estrema destra in tutta Europa testimonia questa radicalizzazione razzista. Ma se la retorica tra neoliberali e nazionalisti può esser diversa (si pensi alla differenza tra le parole con cui Merkel affrontò gli attacchi terroristi del 2016 , in confronto ai toni dell’AFD o del nostro Salvini) e l’intensità del razzismo delle politiche dispiegate negli ultimi anni è cresciuta, il denaro dell’industria della sicurezza e della difesa rimane stabilmente nelle cabine di comando
Sullo sfondo dei giochi di guerra di Russia e USA, con il conflitto in Siria insoluto, mentre l’Arabia Saudita bombarda lo Yemen con le nostre armi, in linea con le altre potenze anche l’Europa si arma. Come spesso accade, il fine è sia quello di trovare strumenti per il consenso politico delle classi dominanti che di incremento dei profitti dell’industria bellica. La militarizzazione dell’Unione Europea non emerge così tanto come un progetto per rinsaldare un continente in crisi di identità, quanto, piuttosto, come un progetto di stimolo dell’economia bellica e tecnologica del continente, in barba ai divieti del Trattato di Lisbona sul finanziamento della Difesa . In aggiunta, un importante ruolo è giocato dalla sistemica torsione delle questioni economiche e sociali in termini di sicurezza, sia militare che poliziesca (esplicitamente concepita come tecnica, invariante al succedersi dei governi, già dal democratico Minniti nel 2009 con la sua fondazione bipartisan ICSA ). Infatti, la crescente ascesa dell’identificazione tra terroristi, persone di religione islamica e migranti fa parte del discorso che costruisce l’insicurezza sociale in termini nazionalisti e razzisti invece che in termini di diseguaglianza e precarietà.
Venendo alle prossime, estremamente drammatiche, elezioni europee, bisogna affermare con gran forza che il conflitto tra nazionalisti e globalisti è perdente in partenza. Anzitutto perché le unità di analisi sono totalmente prive di senso. Il globale necessita del nazionale e viceversa. Sempre. La ricchezza europea nasce e si sviluppa su scala globale, dal colonialismo che fonda la modernità europea all’attuale dispiegarsi della global commodity chain, che pone al suo centro lo sfruttamento della differenza di genere, classe e razza . L’irregimentazione della forza lavoro migrante passa per il governo dei confini così come dispiegato dalle precedenti “elite” neoliberali . All’interno di un’intensificazione della violenza razzista, così come emerge dall’aumento dei crimini d’odio (per rimanere all’Italia si legga il rapporto di Cronache di ordinario razzismo), la battaglia sui confini riguarda sia una dimensione retorica che una pratica. I nuovi razzisti articolano questi due assi attraverso un linguaggio “anti-sistema” che sdogana i peggiori mostri coloniali e razzisti della storia europea. Così da un lato, i nazionalisti difendono gli attuali assetti di potere – dalla flat tax in Italia e Ungheria all’esplicita vicinanza al padronato di Kurtz in Austria – con la mobilitazione di tutta la sofferenza sociale verso gli stranieri invece che verso chi detiene il potere economico, dall’altro impiegano una nuova forma, più violenta, di precarizzazione della forza lavoro migrante. Contro questo cupo presente, speriamo che la lettura di questo libretto possa essere utile, per contrastare i germi nazionalisti che proliferano anche tra le fila della sinistra radicale.
Di seguito la prefazione e il link all’ultimo panel di Trasform!Europe:
Prefazione a “The Militarisation of the European Union. Questions for a 21st Century Left Security Concept” di Roland Kulke
Sabato 20 ottobre 2018, Trump ha annunciato di volersi ritirare dal trattato “Intermediate-Range Nuclear Forces ” del 1987. Il trattato fu firmato da Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov e interruppe la corsa agli armamenti di terra a corto e medio raggio (tra i 500 e i 5.500 km). Cinque giorni dopo, alla mezzanotte del 25 ottobre 2018, 50.000 soldati della NATO hanno avviato la fase di combattimento della più grande simulazione di guerra fatta dalla Guerra Fredda in avanti. I numeri della mobilitazione sono impressionanti: 10.000 veicoli e 250 velivoli. L’intera portaerei Harry S. Truman era coinvolta, fornendo un incredibile potenziale distruttivo alle 65 navi già dispiegate. L’azione NATO seguiva alle “minacce” della Russia, che, solo un mese prima, nel settembre 2018, aveva invitato la Cina a prendere parte, in aggiunta ai 300.000 soldati russi impiegati, alla più grande simulazione di guerra della Russia dalla fine della Guerra Fredda in poi.
La Russia e gli Stati Uniti, con la loro militarizzazione, pericolosamente e insensatamente possono distruggersi reciprocamente . A fronte di questo comportamento delle due principali potenze globali che circondano geograficamente l’Europa , cosa fa il vincitore del premio Nobel per la pace, l’Unione Europea (UE)? Forse, che la UE sia impegnata ad utilizzare la propria forza diplomatica per avviare un nuovo ciclo di disarmo? No. Fa esattamente il contrario.
Il presidente della Commissione Europea, Juncker, membro del Partito Popolare Europeo (PPE), ha utilizzato l’esito del referendum sulla Brexit per chiedere immediatamente la militarizzazione della UE. Dal voto sulla Brexit, l’unico progetto politico perseguito dalle élite neoliberali – sia della UE che dei suoi stati membri – è la militarizzazione multidimensionale della UE. Nel suo “Discorso sullo stato dell’Unione”, il 12 settembre 2018, Juncker ha discusso di un solo nuovo progetto per la UE: quello di prepararsi come attore globale nella “hard politics”. Le nostre élite europee stanno usando la UE per una nuova militarizzazione delle nostre società. E rompono apertamente le regole del trattato di Lisbona – in particolare l’articolo 41, comma 2 – che proibisce esplicitamente che anche un solo centesimo dei fondi UE sia utilizzato per finanziare il settore della difesa.
In questo contesto, transform! europe ha riunito un collettivo di autori per scrivere un piccolo opuscolo volto a stimolare la discussione tra partiti e movimenti di sinistra europei sull’attuale militarizzazione dell’Unione Europea. Poiché questo argomento è così vario, non abbiamo mirato a sviluppare una narrazione coerente. Dopo intense discussioni all’interno del nostro gruppo, abbiamo distribuito compiti diversi a ciascuno di noi, in modo tale da permettere ai diversi autori di concentrarsi su diversi aspetti dell’analisi della militarizzazione della società europea. Pertanto, caro lettore, qui e là, troverai qualche sovrapposizione tra i diversi capitoli, oltre a diversi punti di vista sul fenomeno che stiamo discutendo. Potresti anche trovare opinioni che non condividi. Per favore, prendi questo come un invito a discutere con noi, con altri compagni e con gli amici.
Nel nome del collettivo degli scrittori, ti auguro una lettura interessante e stimolante.
(traduzione di Bruno Montesano)