Siamo a Terra/Le grandi imprese dei vecchi settori «fossili» hanno constatato che rinnovabili ed efficienza cominciano a diventare dei seri concorrenti
Nel dibattito italiano intorno al semestre europeo si parla poco o nulla di quella che sarà la decisione più importante che l’Italia dovrà gestire nel corso dei prossimi mesi.
Parliamo del Pacchetto Energia e Clima 2030: il successore del famoso pacchetto 20/20/20, che nel 2007 dette l’avvio a una straordinaria crescita di nuovi attori nel campo della produzione energetica e iniziò a dare concretezza al sogno di un mondo senza fossili – oltre a ridurre le emissioni e a produrre centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro e imprese. Le grandi imprese dei vecchi settori «fossili» hanno visto che rinnovabili ed efficienza cominciavano a diventare dei seri concorrenti e non solo dei simpatici giochetti per ricchi «radical-chic»: dopo lo scoppio della crisi, è partita la controffensiva, facilitata dal fatto che la «rivoluzione energetica» non è ancora irreversibile.
In un primo tempo, c’è stata la campagna contro gli incentivi alle rinnovabili, approfittando degli eccessi che in alcuni paesi come Spagna e Italia si sono verificati; più recentemente si è cercato di fare passare l’idea che per assicurare un approvvigionamento a buon prezzo contro tutti i Putin di questo mondo, fosse necessario tornare al fossile e lasciar perdere costose utopie fatte di sole e vento: costruire nuovi rigassificatori per importare il gas americano, investire miliardi in tecnologie dubbie come il fracking (per estrarre gas di scisto), trivellare il Mediterraneo e fare resuscitare il Ccs (separazione e confinamento della CO2), altra tecnologia costosissima e non ancora a punto che dovrebbe servire a rendere «pulito» il carbone.
È questa la posta in gioco che si nasconde nei numeretti del Pacchetto Clima Energia 2030, presentati dalla Commissione nel gennaio scorso, proposta profondamente emendata dal Parlamento europeo2 e che attende ora la decisione del Consiglio europeo di ottobre: la lotta per le risorse e gli investimenti pubblici e privati fra energie rinnovabili ed efficienza da un lato, e nucleare, vecchi e nuovi «fossili» dall’altro.
Sarà semplice capire da che parte andrà l’Europa a ottobre, al momento della decisione sul Pacchetto Clima ed energia 2030: se ci sarà l’accordo su tre obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni di CO2 (almeno il 40%), di percentuali di consumo da rinnovabili (almeno il 40%) e di efficienza energetica (almeno il 40%), allora sapremo che l’Ue è seriamente in pista per guidare da una posizione di avanguardia il negoziato sul Clima previsto alla Cop di Parigi nel 2015. Se a ottobre si punterà invece su un mero target di riduzione del 40% delle emissioni e dei numeri assolutamente insufficienti e/o non vincolanti per le rinnovabili e l’efficienza energetica, dovremo riprendere la battaglia per l’energia verde quando si aprirà il processo legislativo che dovrà applicare concretamente il Pacchetto Clima Energia 2030 e tornerà in gioco in Parlamento europeo; ma è indubbio che sarà davvero difficile trovare nel 2015 un successore al Protocollo di Kyoto con un Pacchetto Clima Energia debole e ambiguo.
Il tempo stringe e il governo Renzi non può rimanere passivo rispetto a questa sfida, prima di tutto per la nostra stessa economia; deve «cambiare strada» anche rispetto alle sue scelte energetiche, che per ora sono in perfetta continuità con tutti i vari governi da Berlusconi in poi, quando uscire dai fossili rappresenterebbe una scelta strategica vincente.
La Presidenza italiana deve perciò scommettere non su un accordo qualsiasi ma, come fece Angela Merkel nel 2007, su un accordo di alto livello e davvero in grado di farci rimanere coerenti con la scelta di «de-carbonizzare» l’economia europea e rilanciarla verso nuove attività economiche sostenibili.