Il Parlamento europeo decide di non porre il veto sulla proposta della Commissione che consente emissioni di NOx più che raddoppiate al 2020 per i veicoli diesel. Serve ora una forte risposta che parta dai centri urbani e spingere per la mobilità elettrica www.qualenergia.it
La scandalosa decisione del Parlamento europeo di non porre il veto sulla proposta della Commissione che consente emissioni di NOx molto superiori (più del doppio fino al 2020) rispetto ai livelli di 80 mg/km per i veicoli diesel fissati fin dal lontano 2007, impone una serie di riflessioni.
La prima riguarda i tempi. Le case automobilistiche hanno avuto 10 anni per adeguarsi. Non solo non l’hanno fatto, ma hanno tranquillamente messo in circolazione veicoli con emissioni 5 volte superiori rispetto ai limiti ammessi (la media dei veicoli venduti nel 2015).
Questo è stato possibile perché i controlli venivano eseguiti in laboratori nazionali pagati dalle industrie automobilistiche. Gli sforamenti, peraltro, erano ben noti alle autorità, come dimostra uno scambio di lettere del 2013 tra il Commissario europeo all’Ambiente Potocnik, che premeva per un rapido passaggio ai controlli su strada, e quello all’industria Tajani.
Peraltro, l’extracosto dell’adeguamento è limitato, in quanto la tecnologia per la riduzione selettiva catalitica (SCR) degli ossidi azoto mediamente incide per 100 € e raggiunge i 490 € solo in alcuni casi.
Il secondo aspetto riguarda le conseguenze sulla salute. In Europa l’inquinamento urbano, legato in parte al traffico, comporta mezzo milione di morti premature e un costo di mille miliardi € l’anno. Le tattiche dilatorie dell’industria dell’auto per evitare gli adeguamenti delle emissioni ricordano tristemente quelle adottate dall’industria del tabacco. In entrambi i casi parliamo di gravi rischi sanitari.