Un recente studio tedesco mostra come e perché una loro avanzata alle prossime elezioni europee di maggio metterebbe a repentaglio le politiche energetiche e climatiche dell’Unione.
I partiti di destra radicale non odiano solo i migranti, ma anche l’ambiente e le politiche climatiche. E la loro eventuale avanzata alle prossime elezioni europee – molto probabile, secondo diversi sondaggi – potrebbe mettere seriamente a rischio le politiche energetiche e climatiche dell’Unione europea, a partire dagli obiettivi previsti dall’Accordo di Parigi sul clima.
A sostenerlo è un recente dossier del think tank tedesco Adelphi, intitolato “Convenient Truths – Mapping climate agendas of right-wing populist parties in Europe”, che contiene un’analisi dettagliata dei programmi di 21 forze politiche di destra radicale in Europa. Formazioni, è bene ricordarlo, che a Bruxelles e Strasburgo non hanno un unico di riferimento, ma sono divise tra quattro gruppi parlamentari: Partito Popolare Europeo (PPE), Conservatori e riformisti (ECR), Europa per la libertà e la democrazia diretta (EFDD) e Europa delle Nazioni e della Libertà (ENF).
Secondo queste formazioni, le politiche ambientali ed energetiche contro il cambiamento climatico portate avanti dall’Unione europea sarebbero costose, socialmente ingiuste, addirittura dannose per il clima. O al limite, del tutto ininfluenti. Tre le argomentazioni ricorrenti: il negazionismo climatico, secondo cui non viene negata l’esistenza del global warming, ma il fatto che questo sia indotto dall’attività dell’uomo; lo scetticismo nei confronti delle discipline scientifiche; la retorica nazionalista che vede la sovranità nazionale minacciata dagli accordi internazionali e dall’approccio multilaterale in politica estera. Tutto ciò appellandosi a una comunità immaginaria di persone vittime di élite globali e cosmpolitiche senza scrupoli.
Il dossier suddivide i partiti presi in considerazione in tre categorie: ci sono in primis i pasdaran del negazionismo climatico: partiti che respingono esplicitamente l’evidenza che il nostro pianeta sia in pericolo a causa delle attività umane. È il caso ad esempio dei tedeschi di Alternativa per la Germania (AfD, membri di EFDD), secondo cui la CO2 è “un’indispensabile componente della vita”. Nel programma delle scorse elezioni l’AfD ha peraltro dichiarato che “l’IPCC e il governo tedesco stanno sopprimendo gli effetti positivi della CO2 sulla crescita delle piante e quindi sulla nutrizione globale”. Ed è il caso del Partito del Popolo Danese (DF, nel gruppo ECR), che alla domanda se i cambiamenti climatici siano o meno dipendenti dall’uomo, alza le spalle affermando come questa sia “una questione di fede – e la fede appartiene alla Chiesa del popolo”.
Ci sono poi le formazioni politiche di destra radicale che non hanno alcuna posizione sul tema, o che attribuiscono ad esso poca importanza. È il caso della Lega in Italia e del Rassemblement National in Francia (entrambi fondatori del gruppo ENF), così come dei polacchi di Libertà e Giustizia (PiS, membro di ECR), al governo della Polonia e fortemente a favore del carbone – tanto da averlo ribadito durante l’ultima Conferenza delle parti sul clima dell’ONU tenutasi nella regione più carbonifera d’Europa, l’Alta Slesia.
Il principale bersaglio di tutte le formazioni politiche di destra radicale è ovviamente l’Accordo di Parigi sul clima, sul banco degli imputati come nemico della sovranità nazionale. Il dossier di Adelphi dimostra come molti di questi partiti si siano astenuti o abbiano votato contro la sua ratifica all’Europarlamento, avvenuta il 4 ottobre del 2016: tra queste la Lega (“L’accordo raggiunto è stato un compromesso al ribasso per permettere alle aziende cinesi e dei Paesi in via di sviluppo di competere ingiustamente con le aziende italiane” dichiarava durante le votazioni l’eurodeputato del Carroccio Gianluca Pini).
Secondo gli austriaci del Partito delle Libertà (FPO, gruppo ENF) l’Accordo sul clima sarebbe invece solo il primo di una serie per “nascondere aiuti stranieri senza nessuna trasparenza”. E per gli olandesi del Partito per la Libertà (PVV), presenti nel gruppo parlamentare europeo di Salvini e Le Pen, “le élite in questo momento si stanno sfregando le mani visti i benefici che avranno dall’accordo, mentre i comuni cittadini saranno costretti a pagare per l’energia elettrica, l’auto e il riscaldamento”.
Ma il voto sull’Accordo di Parigi non è un caso isolato: gli eurodeputati dell’ultradestra europea si astengono o votano spesso compatti contro qualsiasi proposta verde a favore del clima. A parte alcune rare eccezioni, come la Fidesz ungherese di Viktor Orbán.
Il dossier del think tank tedesco analizza 13 decisioni importanti approvate o discusse a Strasburgo, tra cui la revisione della direttiva del sistema europeo di scambio delle quote di emissione (ETS) e quella sui boschi e la silvicoltura. Inoltre nello studio sono incluse tre proposte chiave (efficienza energetica, governance dell’Unione dell’energia, promozione delle energie rinnovabili) del pacchetto “Energia pulita per tutti gli europei”, la direttiva sulla creazione di una diplomazia climatica europea e una proposta a favore di pesanti restrizioni per le emissioni derivanti dal settore trasporti.
Il dato che balza agli occhi è come, in tutte le votazioni, la maggioranza dei parlamentari della destra radicale abbia votato sempre “contro” il clima e l’ambiente. La tedesca AfD, l’olandese PVV, l’UKIP britannico, la Lega italiana e i lepenisti francesi hanno votato contro o si sono astenuti in tutte le risoluzioni. Il PiS polacco si è sistematicamente opposto.
Ed è così che i deputati della destra nazionalista nel Parlamento europeo, che nell’attuale legislatura pesano circa il 15%, hanno contribuito con circa la metà dei voti complessivi all’opposizione nei confronti delle politiche climatiche. Una percentuale che in alcune votazioni, come in quella sulle emissioni di CO2 dei veicoli pesanti, sale notevolmente: i 43 deputati dei 16 gruppi presi in considerazione dal dossier del think tank tedesco (5 partiti dei 21 totali non sono infatti rappresentati all’europarlamento) hanno contribuito a circa il 77% dei voti “contro”.
Un problema che rischia di sfuggire di mano, considerata l’avanzata dei movimenti di ultradestra in tutto il continente – da tempo al governo in Ungheria e Polonia, e recentemente giunti al potere anche in Italia e Austria – e visti soprattutto alcuni sondaggi relativi alle elezioni europee del prossimo maggio, che prevedono una consistente avanzata dei gruppi euroscettici e nazionalisti: secondo le stime di Kantar Public, il gruppo parlamentare più estremista, ENF-Europa delle Nazioni e della Libertà, passerebbe dai 37 seggi attuali a 59, trainato dall’exploit della Lega salviniana. In tutto i populisti di destra potrebbero contare per la prossima legislatura 2019-2024 su circa 150 seggi, arrivando a controllare il 22% del Parlamento europeo.
Così, la retorica negazionista sul clima uscirebbe molto rafforzata, assieme alla narrazione xenofoba e ultranazionalista. Mettendo seriamente a rischio le vite non solo di chi attraversa il Mediterraneo per scappare da guerre, povertà e carestie, ma di noi tutti.