Le stime dell’Unione europea sulla nostra situazione economica sono molto negative e preannunciano l’apertura di una procedura d’infrazione: aumenta la disoccupazione, cresce il debito pubblico, calano i consumi, ristagna il Pil. È urgente invertire la rotta, adottando ricette radicalmente diverse rispetto a quelle del governo.
Le stime dell’Unione europea sulla situazione economica italiana apparse ieri peggiorano le previsioni del Governo contenute nel Documento di Economia e Finanza. La disoccupazione aumenta nei prossimi due anni, cresce il debito pubblico sforando il 135%, calano i consumi interni e il Pil ristagna. Il rapporto deficit-Pil arriva al 3,5%, e serviranno almeno 30 miliardi di euro per la prossima manovra di bilancio in modo tale da congelare lo scatto dell’aumento dell’IVA.
Il quadro che ci viene offerto da Bruxelles è a tinte fosche e ci aspetta un altro richiamo ufficiale, probabilmente una procedura d’infrazione.
Il contesto generale non è semplice: rallentano quasi tutti i Paesi europei (ma la Germania nel 2020 tornerà a crescere quasi del doppio rispetto all’Italia), la guerra dei dazi pone problemi a tutti e il ciclo economico globale evidenzia incertezze e incognite per i prossimi mesi. Ma – come sempre – l’Italia va molto peggio degli altri. La fragilità strutturale del nostro Paese ci espone a conseguenze ben peggiori rispetto agli altri membri dell’Unione europea.
Il Governo italiano – tra una promessa elettorale e l’altra – procede a tentoni, senza una strategia chiara. Eppure le scelte da fare dovrebbero essere scontate: un piano straordinario di investimenti pubblici per sostenere le imprese e l’occupazione; una politica dei redditi (non basta il reddito di cittadinanza) capace di far crescere i salari e far ripartire la domanda interna; una politica fiscale in grado di mettere più soldi nelle tasche dei redditi medio-bassi e di colpire le grandi ricchezze e i patrimoni milionari.
Invece di fare propaganda sulla flat tax e di spendere miliardi per la TAV e gli F-35, il Governo dovrebbe investire i soldi che ci sono per il lavoro e gli interventi pubblici: va anche bene fare un po’ di deficit in più, non per tagliare le tasse ai ricchi, ma per rimettere a posto le scuole e gli ospedali, fare la lotta al dissesto idrogeologico e sostenere le energie rinnovabili.
Risalire la china non è facile. Come ha detto la campagna Sbilanciamoci!, bisogna invertire rotta: investimenti pubblici, non sgravi indiscriminati; giustizia fiscale non flat tax; aumenti salariali non lavoro precario; riduzione delle spese militari, non tagli all’istruzione. Serve una politica espansiva, di sostegno alla domanda interna e ai consumi. Per fare questo bisogna rimettere al centro l’intervento pubblico e un uso intelligente, ma significativo, della spesa pubblica. Una strada finora non percorsa, ma è l’unica possibile per far ripartire il Paese.