Nei mesi di marzo e aprile, il governo non poteva che essere difeso. Ora, il giudizio cambia: di fronte al prevedibile e previsto ritorno del contagio, il governo italiano si è trovato impreparato. Bisogna recuperare il tempo perduto.
La buona notizia della crescita del Pil del 16% (rispetto alle previsioni del 12%) nel terzo trimestre è vanificata dall’aggravamento della situazione dei contagi nelle ultime settimane: gli effetti economici e sociali, a prescindere da quelli ben più gravi (in termini di vite umane) in ambito sanitario, rischiano di essere drammatici.
Le inevitabili chiusure delle città e delle attività economiche per cercare di rallentare il contagio portano inevitabilmente a proteste di piazza, tensioni sociali, gesti di disperazione: la situazione sociale rischia di andare fuori controllo. Si può essere disperati per la conseguenza della malattia, per i parenti morti, ma anche per la perdita di lavoro e del reddito, per la vanificazione dei sacrifici di una vita, per una falegnameria, un laboratorio, un bar che chiudono.
Nei mesi di marzo e aprile, il governo non poteva che essere difeso: aveva reagito di fronte ad una emergenza così drammatica mettendo in campo – pure in modo non sempre ordinato – la prontezza e la concretezza di misure indispensabili e che hanno trovato il consenso di gran parte della società.
Ora, il giudizio cambia: di fronte al prevedibile e previsto ritorno del contagio, il governo italiano (e i governi europei) si è trovato impreparato.
Almeno tre mesi persi, senza attrezzare tempestivamente il ritorno a scuola, senza potenziare in modo adeguato la sanità (e i suoi servizi territoriali, in particolare) e soprattutto senza organizzarsi per il tracciamento dei contagi e i tamponi, con la visione indecorosa di persone in fila per 8-9 ore davanti ai drive-in e agli ospedali. E, nelle ultime settimane, i DPCM sottoposti a dosi omeopatiche (con sempre qualche misura restrittiva in più), hanno palesato la mancanza di coraggio nell’intervenire tempestivamente con misure drastiche e radicali, senza aspettare l’ultimo momento.
La responsabilità non è solo del governo. Molti presidenti delle regioni hanno fatto a scaricabarile dicendo tutto e il contrario di tutto, diversi giornali hanno soffiato sul fuoco, l’opposizione è stata solo strumentale e il piccolo caudillo di Confindustria che risponde al nome di Bonomi ha usato la pandemia – contro anche una parte della sua classe imprenditoriale – solo per pura esibizione politica ed estremistica: una vergogna.
Ora, è il momento della responsabilità. Bisogna recuperare il tempo perduto, finché è possibile. Ci sono alcune priorità fondamentali: assunzioni straordinarie di altri 20mila infermieri e medici nei prossimi due mesi, 5mila postazioni di terapia intensiva in più da qui a Natale e soprattutto l’organizzazione a livello territoriale di un sistema di tracciamento e di tamponi efficace: quello fino ad oggi praticato non è degno di un paese civile.
E poi il lavoro e l’economia. Bene il blocco dei licenziamenti fino a marzo e i vari “ristori”, ma serve qualcosa di più radicale: un reddito di base straordinario per un anno – oltre il reddito di cittadinanza e quello di emergenza con tutte le condizionalità e farraginosità che conosciamo – per tutti coloro che non hanno un lavoro, che l’hanno perso e che hanno redditi insufficienti: precari, lavoratori poveri, pensionati al minimo. E serve il lavoro. Lo Stato diventi datore di lavoro di ultima istanza: il governo vari un piano straordinario per l’occupazione per far fronte ai tanti bisogni di questo paese, che sono tanti, dall’istruzione alla salute, dai servizi sociali alla pubblica amministrazione. Il turn over è bloccato da anni nel lavoro pubblico: abbiamo delle carenze paurose in tante parti dell’amministrazione pubblica. Servono soldi, certo. Usiamo i fondi europei, indebitiamoci, ma perché dobbiamo spendere 6miliardi di euro nel 2021 per comprare nuove armi? Facciamo una moratoria: stop ai favori all’industria bellica. E poi ognuno deve fare la propria parte, anche i ricchi: si faccia subito – come ha fatto in questi giorni il governo spagnolo – una imposta patrimoniale straordinaria e si facciano pagare più tasse a chi guadagna più di 100mila euro l’anno. Chi ha di più, dia di più.
È ora di imprimere una svolta e non è detto che basti di fronte ad una pandemia così diffusa ed insidiosa. Ma ora non è il momento dei calcoli politici e dell’incertezza. È l’ora della responsabilità.