BRIC/L’economia continua a galoppare, ma più di un problema si addensa all’orizzonte. E dentro e fuori il paese si discute dei problemi di un modello che pareva miracoloso
Premessa
La forte crescita dell’economia indiana appare indubitabile. Così, dal 1991 a oggi il pil è quadruplicato, il reddito pro-capite è più che raddoppiato, il tasso di risparmio sul pil è passato dal 23% al 34%, quello degli investimenti dal 27% al 37% (Lamont, 2011). Ma essa appare per alcuni aspetti un mistero. Il paese soffre in effetti di molti e gravi malanni: esso è, tra l’altro, infestato da una burocrazia elefantiaca, inefficiente e vorace, la corruzione vi ha raggiunto vette molto elevate, il livello delle infrastrutture del paese, dal sistema fognario alle strade alle centrali elettriche, è ridicolmente insufficiente, manca la manodopera qualificata e anche, peraltro, un’adeguata dotazione di capitali, mentre le diseguaglianze economiche e sociali tra le varie classi raggiungono vette molto elevate. Ciononostante, negli ultimi anni i tassi di crescita dell’economia del paese, invece di ridursi, sono aumentati in misura rilevante, mentre le classi dirigenti del paese sperano forse ancora di raggiungere e superare presto i livelli di aumento annuo del pil cinese.
Anche una parte almeno della stampa internazionale riflette ancora di recente questo spirito di ottimismo e di sfida; si veda, ad esempio, un articolo apparso a questo proposito relativamente di recente su Newsweek (Kotkin, Parulekar, 2011).
I sintomi del malessere
Ma ora appaiono all’orizzonte dei rilevanti sintomi di malessere che ridimensionano il sogno di una shining India. Le manifestazioni più vistose del fenomeno sembrano essere costituite dall’aumento dei tassi dell’inflazione, dallo stesso rallentamento dell’economia, dal diffuso disagio degli imprenditori nazionali e stranieri.
Per quanto riguarda questi ultimi, l’agenzia delle Nazioni unite per il commercio e lo sviluppo (Unctad) ha pubblicato di recente il suo rapporto annuale sull’andamento degli investimenti diretti all’estero nel mondo. Dallo studio emerge, tra l’altro, che tali investimenti, dopo le difficoltà del 2008 e del 2009, legate alla crisi, sono ora in ripresa; in rilevante crescita appaiono poi quelli verso i paesi in via di sviluppo, che hanno assorbito nel 2010 e per la prima volta più del 50% del totale. Nel quadro generale di tale tendenza, l’India è stato uno dei pochissimi paesi emergenti nel quale gli investimenti esteri diretti sono diminuiti nell’anno; la spinta alla riduzione sembra continuare nel 2011, almeno secondo i primi dati disponibili in proposito.
Il quadro del disagio non cambia se si interrogano gli imprenditori nazionali, come almeno appare da numerosi articoli della stampa internazionale. Essi appaiono scoraggiati da alcune tendenze negative che sembrano rafforzarsi di recente, dai livelli della corruzione alla inettitudine manifesta della attuale classe politica.
Per quanto riguarda l’andamento dell’inflazione, essa ha raggiunto nel giugno 2011 il livello del 9,44% su base annua, per poi ridursi leggermente al 9,22% a luglio e questo malgrado l’aumento per ben undici volte dei tassi di riferimento della banca centrale dal marzo 2010 a oggi. Si teme un’ulteriore aumento di tali tassi nel settembre 2011. Come ci informa ad esempio in proposito il quotidiano Le Monde (Bouissoun 2011), il fenomeno non ha origine ormai soltanto dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari, che tocca sostanzialmente tutto il mondo, ma anche da quello dei prodotti industriali, motivato da cause più strutturali proprie del paese, quali l’aumento dei salari dei lavoratori più qualificati, di cui c’è grande carenza, l’assenza grave di adeguate infrastrutture stradali, portuali, aeroportuali, nonché alcuni colli di bottiglia nella capacità produttiva del paese. Ovviamente il fenomeno inflattivo tocca poi negativamente soprattutto le classi più povere, quelle che vivono con meno di due dollari al giorno e che costituiscono ancora all’incirca i tre quarti della popolazione totale.
L’industria indiana minaccia di perdere parecchia della sua competitività, di fronte all’aumento rilevante di tutti i costi, da quelli dell’energia a quelli del denaro.
Infine, guardiamo cosa sta succedendo ai processi di sviluppo economico. Nell’ultimo periodo, le classi dirigenti indiane pensavano proprio di riuscire a raggiungere e a superare molto presto i tassi di crescita cinesi – si parlava di un10-11% almeno di aumento annuo del pil ottenibile a breve termine- e una parte almeno della stampa economica specializzata, a cominciare dall’Economist, conveniva sulla ragionevolezza di tale ipotesi.
Ma ora le previsioni si fanno meno ottimistiche (Lamont, 2011). Ambienti governativi e della banca centrale indiana suggeriscono che la crescita del pil per l’anno fiscale corrente – 2011/2012 – dovrebbe situarsi intorno all’ 8-8,5% invece della precedente stima che faceva riferimento al 9%. Ma altre previsioni appaiono più negative; così il Credit Suisse parla del 7,5% e la Citigtoup del 7,6%, mentre molti economisti temono che esso possa scendere anche sotto il 7% e pensano, più in generale, che nei prossimi anni un livello del 7% possa costituire la punta massima raggiungibile. Comunque nel primo trimestre del 2011 la crescita è stata del 7,8% su base annua e nel secondo del 7,7%, contro più del 9% nel periodo tre il 2005 e il 2007.
Naturalmente nei paesi sviluppati tale tasso di sviluppo sarebbe ritenuto ancora come miracoloso, ma in India questo significa che per raddoppiare il reddito del paese non ci vorranno più sette anni, come si sperava sino a qualche mese fa, ma molto di più e che il fenomeno della estrema povertà della maggior parte della popolazione si prolungherà ancora per molto tempo.
La corruzione
A proposito di questo fenomeno, che preoccupa sempre di più tutto il paese, un interessante discussione si è svolta in luglio sulle colonne del Financial Times (Guha, 2011; Chellaney, 2011).
Uno storico indiano, Ramachandra Guha, ricordando i recenti scandali politico-finanziari che hanno dominato le cronache interne negli ultimi mesi, sottolinea come essi rivelino la maniera con cui la classe politica del paese, di tutti i colori politici, razze,religioni, provenienza geografica, compresi molti tra i più importanti personaggi politici dell’Unione, abbia usato il potere ad essa conferito dagli elettori soltanto per arricchirsi. La corruzione non è certo una novità in India, sottolinea l’autore, ma la dimensione e l’ubiquità del fenomeno appaiono purtroppo ora come senza precedenti. Essa ha portato all’incapacità dello stato di ridurre le ineguaglianze, di gestire i conflitti sociali, di portare avanti, più in generale, gli affari del paese in maniera adeguata. Così l’India non appare certo oggi in una posizione tale da poter diventare, come si sperava, una superpotenza e i tassi di crescita dell’economia non potranno inevitabilmente che soffrirne; porre rimedio a tale stato di cose è ora la sfida principale che ha di fronte il paese.
A Guha cerca di rispondere il politologo Brahma Cellaney. Egli afferma che certamente la corruzione in India appare un fenomeno diffuso, ma contesta che essa possa bloccare le ambizioni di Nuova Delhi a diventare una grande potenza planetaria. Gli Stati uniti, afferma Cellaney, sono riusciti a suo tempo a raggiungere tale status nonostante l’affermazione sulla scena del fenomeno dei cosiddetti robber barrons ed oggi la stessa Cina dimostra che un livello di corruzione molto elevato non riesce di per se ad impedire l’ascensione di un paese sino ai vertici del potere mondiale. Ma l’autore non è peraltro, a sua volta, ottimista. Per lo studioso la grande minaccia che può far dirottare il processo di sviluppo indiano è costituita dal fatto che la politica è ferma, paralizzata; ci troviamo di fronte, afferma l’autore, ad una leadership vecchia, timorosa di prendere qualsiasi rischio, del tutto incapace di portare avanti un’iniziativa tale da spingere verso un percorso adeguato di crescita.
Noi non sappiamo veramente chi tra i due studiosi sia più vicino alla verità, ma temiamo che alla fine sia la corruzione che l’incapacità politica costituiscano un vincolo forte al prosieguo del miracolo indiano. A ogni modo, Manmohan Singh, il primo ministro indiano, nel suo discorso annuale del giorno dell’indipendenza, ha promesso di combattere con rinnovate energie le pratiche disoneste, che stanno, tra l’altro, erodendo la base elettorale del suo partito, ma il paese appare scettico.
Come è noto, un santone indiano, Hanna Hazare, è riuscito, attraverso uno sciopero della fame, a mobilitare il paese contro tale fenomeno, chiedendo drastiche misure legislative in proposito; ma lo sbocco di tale campagna, sostenuta con decisione da una classe media che vuole più potere, potrebbe portare a delle soluzioni politiche autoritarie (Komireddi, 2011).
Conclusioni
Il raggiungimento e il mantenimento di un tasso di crescita minima annua del pil intorno all’8-9% costituisce un obiettivo fondamentale per portare avanti in maniera adeguata il paese sia nel caso dell’India che della Cina.
Nel caso del Pese di Mezzo tale tasso di sviluppo, risolti od in via di risoluzione i problemi di base, da quello della fame a quello della dotazione di infrastrutture adeguate, è richiesto dalla necessità di far ora fronte alle esigenze ulteriori, economiche e sociali, dei suoi cittadini e a mantenere il consenso di una classe media sempre più importante. In India esso sarebbe richiesto invece proprio dalla soluzione di problemi di base che la Cina è riuscita ad affrontare e portare in gran parte a soluzione.
Teniamo conto, come sottolinea l’Economist (The Economist, 2011, a), che ormai ogni anno il paese registra venticinque milioni di abitanti in più; così ogni anno che passa senza progressi sostanziali nella lotta alla fame, nell’innalzamento del livello dell’istruzione, nel provvedere un tetto ai diseredati, nella lotta alla disoccupazione, comporta immani tragedie.
A proposito in particolare del tema dell’istruzione, uno studio recente (Lamont, 2011) ricorda, tra l’altro, che dopo cinque anni di scuola circa la metà dei bambini indiani si situano ad un livello di conoscenze inferiore a quello che essi avrebbero dovuto raggiungere dopo soli due anni; la metà di questi ragazzi non sa leggere, mentre solo il 20% di essi sa contare sino a cento. Amartya Sen commenta che tali dati mettono in dubbio la sostenibilità di lungo termine degli attuali tassi di crescita dell’economia.
Per altro verso, il paese ha quindici volte tanto abbonati al telefono che contribuenti e nei prossimi anni è più probabile che la gran parte degli indiani siano connessi a dei sistemi elettronici sofisticati che a una fogna (The Economist, 2011,b).
Ora si sta diffondendo il dubbio che l’India riesca, senza riforme radicali, a reggere il passo rispetto al montare dei problemi.
Testi citati nell’articolo
Bouissou J., En Inde, l’inflation galopante commence à peser lourdement sur l’activité économique, Le monde, 20 luglio 2011
Chellaney B., India’s biggest problem is its old and tired leadership, www.ft.com, 19 luglio 2011
Guha R., India is too corrupt to become a superpower, www.ft.com, 19 luglio 2011
Komireddi K., India’s assault on democracy, www.newstatesman.com, 30 agosto 2011
Kotkin J., Parulekar S., India conquers the world, www.newsweek.com, 25 luglio 2011
Lamont J., Indian schools: failing, www.ft.com, 17 gennaio 2011
Lamont J., India: how low can growth go?, www.ft.com, 2 agosto 2011
Lamont J., Economic vulnerability maes Singh’s record, www.ft.com, 14 agosto 2011
The Economist, One more push, 23 luglio 2011, a
The Economist, The half-finished revolution, 23 luglio 2011, b
Yardley J., In India, Development trumps dysfunction, The New York Times – la Repubblica (supplemento di La Repubblica), 4 luglio 2011