Due le novità in tema ambientale che arrivano con il neonato governo Draghi: il ministro Giovannini ai Trasporti e il dicastero per la Transizione ecologica. Ma prima di esprimere un giudizio compiuto occorre aspettare le azioni e le misure concrete per lo sviluppo sostenibile. Con uno sguardo al PNRR.
Il ministero per la Transizione ecologica proposto dal nuovo Governo Draghi è una buona notizia per l’Italia, perché riconosce che l’Ecologia è la grande “casa”, l’oikos, che contiene anche l’economia. Significa che l’ambiente diviene una visione trasversale che orienta le scelte per il lavoro, l’industria, il turismo, le città, le infrastrutture, la tassazione. E sottolinea che si tratta di una transizione, cioè di un percorso lungo e difficile per arrivare dall’insostenibilità di oggi a una società equa e sostenibile. E che serve accompagnare questa trasformazione con misure per sostenere i soggetti che rischiano di pagare duramente la crisi e le trasformazioni industriali ed energetiche necessarie.
Da tempo altri Paesi in Europa hanno questo ministero: Francia e Austria hanno super ministeri per la transizione ecologica, che hanno accorpato anche trasporti e infrastrutture. In Francia il ministero per Transizione ecologica gestisce ben 48,6 miliardi di euro, di cui 15,4 dedicati alla transizione ecologica vera e propria, 16 alla politica abitativa e 8 ai trasporti. Il più completo è sicuramente quello dell’Austria, con un ministero che ha competenze per l’azione climatica, l’energia, i trasporti, l’industria, l’innovazione tecnologica.
In Italia il nuovo governo Draghi ha scelto una strada intermedia, simile alla soluzione spagnola: un dicastero che comprende le attuali competenze del ministero dell’Ambiente, a cui vanno integrate quelle sull’Energia attualmente in capo al ministero dello Sviluppo economico (MISE). Un accorpamento in grado di governare la decarbonizzazione e contrastare i mutamenti climatici, se le deleghe e le risorse che verranno assegnate al nuovo dicastero saranno efficaci e robuste. Draghi aveva annunciato anche un ruolo chiave nel PNRR Next Generation Italia, ma si è persa traccia di questo ruolo.
Va ricordato che il ministero dell’Ambiente ha perso negli anni competenze e soprattutto fondi, diventando un dicastero minore non in grado di esercitare un peso e un’influenza forti negli equilibri di governo: il MATTM italiano – il ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare – disponeva di un bilancio di quasi due miliardi nel 2001 e venti anni dopo arriva a malapena a 790 milioni di euro.
Quindi, la strategia e la visione sono giuste per la costituzione della Transizione ecologica, ma poi sono le deleghe, le risorse, i poteri che determineranno l’efficacia della sua azione. Già nella sua replica al Senato, il Presidente Draghi ha sottolineato che il PNRR resterà saldamente ancorato al ministero dell’Economia e delle finanze: sarà meglio pertanto attendere deleghe e poteri per esprimere un giudizio compiuto.
Senza dimenticare che tale giudizio dipenderà dalle scelte del nuovo ministro Roberto Cingolani, chiamato dal Governo Draghi a ricoprire questo ruolo: vedremo dai fatti in quale direzione farà decollare la transizione ecologica. Diverse prese di posizione di alcuni anni fa del neoministro hanno preoccupato il mondo ambientalista, per il ruolo da lui attributo al gas nella transizione e le sue perplessità sulle rinnovabili, il fotovoltaico, l’eolico e sulle auto elettriche. Ma è bene attendere le prime mosse per giudicare in quale direzione andrà la transizione ecologica.
Come nel modello spagnolo, il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (MIT) resta un dicastero a sé stante: la buona notizia è l’arrivo al MIT del prof. Enrico Giovannini, portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), studioso e accademico di lungo corso, con forti relazioni internazionali e una reale sensibilità ambientale e sociale. Basta leggere i Rapporti annuali e specifici di ASviS per cogliere la complessità e le proposte per dare all’Italia soluzioni basate su ambiente, sviluppo, coesione, giusta transizione.
Anche nell’ultimo rapporto ASviS 2020 presentato poche settimane fa – intitolato “I territori e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile” e curato dal gruppo di lavoro città coordinato da Walter Vitali, direttore di urban@it – per la parte mobilità si propongono per il PNRR ben 61 miliardi di investimenti per trasporto rapido di massa, nuovi mezzi per il trasporto pubblico, elettrificazione dei trasporti, mobilità ciclistica e aree pedonali. Una visione netta con al centro la mobilità urbana di passeggeri e merci, che c’è da augurarsi venga riproposta nelle politiche del MIT e nella revisione del PNRR Next Generation Italia.
Nella sua dichiarazione programmatica in Parlamento, il Presidente Draghi ha riconosciuto che il precedente Governo Conte ha già svolto una grande di lavoro sul PNRR, un lavoro da “approfondire e completare” includendo le necessarie interlocuzioni con la Commissione Europea. Ha anche ribadito che “gli orientamenti che il Parlamento esprimerà nei prossimi giorni a commento della bozza di Programma presentata dal Governo uscente saranno di importanza fondamentale nella preparazione della sua versione finale.” E ha anticipato che le “Missioni del Programma potranno essere rimodulate e riaccorpate, ma resteranno quelle enunciate nei precedenti documenti del Governo uscente, ovvero l’innovazione, la digitalizzazione, la competitività e la cultura; la transizione ecologica; le infrastrutture per la mobilità sostenibile; la formazione e la ricerca; l’equità sociale, di genere, generazionale e territoriale; la salute e la relativa filiera produttiva.”
Molto opportuna l’impostazione secondo cui il PNRR “indicherà obiettivi per il prossimo decennio e più a lungo termine, con una tappa intermedia per l’anno finale del Next Generation EU, il 2026. Non basterà elencare progetti che si vogliono completare nei prossimi anni. Dovremo dire dove vogliamo arrivare nel 2026 e a cosa puntiamo per il 2030 e il 2050, anno in cui l’Unione Europea intende arrivare a zero emissioni nette di CO2 e gas climalteranti.” Una missione strategica chiara per il ministero per la Transizione ecologica, che però non avrà in mano le annunciate leve del PNRR, che resterà incardinato nel ministero dell’Economia e delle finanze.
Interessante nelle dichiarazioni di Draghi la “particolare attenzione” che va posta agli investimenti in manutenzione delle opere e nella tutela del territorio. Un punto di vista che non sembra gradito a molti esponenti della sua maggioranza come il segretario della Lega Matteo Salvini, che ha subito rilanciato chiedendo la realizzazione del Ponte sullo Stretto, della TAV, di nuove autostrade e grandi opere. Non sarà semplice trovare una sintesi efficace e innovativa in una così composita maggioranza di governo di unità nazionale.
Dunque la scelta di costituire un ministero della Transizione ecologica rappresenta una reale opportunità per mettere al centro la responsabilità del Governo nella sfida dei cambiamenti climatici, ma anche il grande rischio di non riuscire a orientare le scelte dei ministeri competenti per l’agricoltura, lo sviluppo economico, le finanze, dove tradizionalmente la sensibilità verso l’ambiente è debole. Del resto la vicenda di Nicolas Hulot, ministro dimissionario del super ministero francese per la transizione ecologica, è lì a confermare la difficoltà dei governi di fare politiche coraggiose ed efficaci per la sostenibilità. Quel che è certo è che il nuovo dicastero voluto da Draghi troverà un alleato naturale nel ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Enrico Giovannini.
Adesso non resta quindi che aspettare il completamento della squadra di governo con viceministri/e e sottosegretari/e, e le misure e le azioni che seguiranno, per capire se sarà davvero una svolta ambientale per il nostro paese o se sarà stata invece una semplice strategia per convincere il Movimento 5 Stelle a sostenere il nuovo esecutivo. Lo capiremo presto, alla prova della revisione rapida e annunciata del PNRR italiano.