I risultati delle elezioni presidenziali sembrano avere terremotato la scena politica francese. In vista delle legislative, a sinistra correranno tre sigle: socialisti (rappresentati da Benoît Hamon), PCF e Insoumis. E anche la destra del Fronte National si presenta con una rottura
Il passaggio dei poteri fra il presidente uscente Hollande e quello entrante, Macron, è stato segnato da una accentuata intenzione di discontinuità: l’ex primo ministro di Hollande, Manuel Valls (scaricato peraltro dallo stesso Hollande per nominare a suo posto Macron) è stato gentilmente rimandato in lista d’attesa mentre aveva pensato di essere ricevuto con entusiasmo o almeno con tutti gli onori nella nuova compagine.
Manuel Valls, come Macron del resto, non veniva dal Partito socialista francese e in quanto ex-capo del governo, pensava che il movimento del nuovo presidente lo avrebbe accolto con zelo. A questo fine aveva sottolineato la sua scelta (fino dal primo turno) non solo come personale, ma come esito di un processo storico: il partito socialista -aveva detto- “è morto e sepolto”. Aveva dunque annunciato di essere pronto a correre con La République en marche, nuovo nome del movimento di Macron, e nella sua stessa circoscrizione: Évry di cui era stato anche sindaco. “Grazie, ma si metta in fila” è stata la riposta di En Marche: “non ci risulta che lei abbia presentato tutti i documenti richiesti agli altri”. Valls non deve aver incassato allegramente, pero ha cercato di non darne segno. Più freddo del partito del presidente è stato il Partito socialista che ieri teneva una sua assise nazionale ieri a Parigi: o si è socialista o si è di un’altra sigla, le due non possono andare assieme -aveva assestato il segretario PS- e i commenti degli altri notabili o militanti sono stati ancora più acerbi. Soltanto domani En Marche darà a Valls una risposta definitiva, tanto più che prima della sua messa a disposizione aveva già affidato il dipartimento di Évry a un’altra candidata.
Se il Partito socialista è stato provvisoriamente congedato con un “prego si metta in fila”, il presidente Hollande è riuscito invece a insistere sulla continuità fra la sua presidenza e quella di Macron, cui ha ricordato -come anche con i gesti di ieri- che è stato lui a promuoverlo a posto di Valls nel suo recente governo. In particolare ha sottolineato una battuta fortemente anti-colonialista che Macron aveva fatto a febbraio viaggiando in Algeria: aveva detto che la Francia con il suo colonialismo si era resa colpevole di un crimine di guerra. La battuta aveva sollevato gli strepiti del Fronte Nazionale. Hollande ha tenuto a rilanciare il concetto, che del resto aveva già sollevato Jacques Chirac a suo tempo (si ricorderà che invece Mitterand aveva scelto la linea di discolpare la Francia di tutto quel che di negativo poteva presentare il suo passato, compreso il governo collaborazionista di Pétain, definito “una parentesi”.
Se con i socialisti tira aria di tempesta, a Sinistra non va meglio. Jean-Luc Mélenchon ha rifiutato di correre alle legislative assieme al PCF, il quale tenta, con buon senso, ma a quanto pare inutilmente, di proporre almeno dei candidati comuni. A Sinistra correranno tre sigle: socialisti (rappresentati da Benoît Hamon), PCF e Insoumis.
Più morbida è la reazione della destra classica, rappresentata dai Républicains. Essi, che sbarcando Fillon si sono dati come leader il giovane François Baroin, non hanno annunciato come il Fronte Nazionale una opposizione assoluta: il problema sarà chiarito nel corso delle elezioni.
Da parte sua, il Fronte Nazionale si presenta anch’esso con una rottura: la giovane Marion Maréchal-Le Pen lascia tutti gli incarichi di partito, anche se provvisoriamente. Sembra che si tratti di una mancanza d’accordo con la celebre zia Marine Le Pen e il suo factotum Florient Philippot, la detta zia ha dato una versione amichevole, augurandosi come molti altri una ripresa dell’impegno di Marion nel partito. Jean-Marie Le Pen invece ha lanciato contro di essa tuoni e fulmini per “diserzione”, probabilmente si tratta invece di mettere un periodo di tregua prima di annunciare una certa svolta politica, ma non certo di attenuazione dei toni. È interessante che il FN considera quella di Marine Le Pen una sconfitta, che in francese suona particolarmente pesante, “défaite”; pesa insomma che non sia riuscita a diventare presidente mentre ha duplicato i voti di suo padre. 11 milioni all’estrema destra che tutt’ora ha in parlamento in tutto due deputati, non sembra una vera sconfitta.
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