Gli stati e le organizzazioni internazionali per frenare gli eccessi della finanza fissano regole più stringenti. Si inzia con il contenimento dei proventi dei manager e della speculazione sulle derrate alimentari
Indirizzare la finanza a obiettivi utili alla società, ridimensionando comunque il suo peso e le sue stesse dimensioni complessive e concentrando d’altra parte la sua attività nel servizio all’economia reale, richiede uno sforzo molto grande e deciso.
A tale sforzo si oppone con decisione lo stesso sistema finanziario, mentre la politica sembra poco interessata al tema e comunque incapace di portare avanti un disegno adeguato di riforma.
Dallo scoppio della crisi a oggi, in effetti, gli sforzi fatti da governi e istituzioni internazionali, nell’ambito delle rispettive competenze, sono stati, per usare un eufemismo, largamente insufficienti.
Bisogna in ogni caso ricordare che non bastano, come a volte molti sembrano credere, due-tre mosse, indirizzate soltanto verso alcune delle questioni sul tappeto, a sistemare il problema, ma che, per venirne a capo, sarebbe richiesto un piano d’attacco che copra moltissimi fronti diversi. E questo rende tutto ancora più difficile.
In un testo pubblicato su questo stesso sito qualche tempo fa (“Cosa fare della finanza e perché nessuno lo fa”, 6/11/2012) è presentato, in appendice, un elenco abbastanza esaustivo di tutte le mosse principali necessarie per cambiare in maniera decisa il quadro del settore.
Nell’ultimo periodo si intravede qua e là una certa volontà di portare avanti in maniera un po’ più convinta i lavori in alcune direzioni.
Su questo stesso sito sono stati già ricordati (si veda il testo dell’01/02/2013 dal titolo “Finanza globale, sta cambiando qualcosa?”) gli sforzi recenti fatti a livello di Unione europea verso l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, così come peraltro è stato sottolineato come il nostro governo abbia preso solo limitatissime misure in tale direzione.
Abbiamo anche ricordato qualche apertura sul fronte del controllo dei derivati, realizzatasi grazie ai tribunali, sia in Gran Bretagna sia in Italia, nonché qualche ipotesi di riforma avanzata in proposito a livello di UE.
Inoltre abbiamo fornito informazioni sul tentativo in atto, a gestione dell’Ocse, di lottare contro l’elusione fiscale delle grandi imprese multinazionali.
La remunerazione dei manager
Ora assistiamo al varo di nuove misure. Il dibattito nelle ultime settimane si concentra sulla questione delle remunerazioni ai manager bancari, su quella delle speculazione sui generi alimentari e su quella, infine, del rimpatrio negli Stati Uniti delle liquidità delle imprese multinazionali.
Per quanto riguarda il primo tema i fatti sono ormai abbastanza noti e riguardano la Svizzera da una parte, l’Unione europea dall’altra.
In Svizzera un referendum ha portato alla decisione di togliere ai consigli di amministrazione delle imprese e di dare alle assemblee degli azionisti il potere di decidere sulla remunerazione dei manager, non solo di quelli bancari; inoltre il risultato del referendum proibisce lo stanziamento di gratifiche di benvenuto e di liquidazione (i cosiddetti “paracadute d’oro”) agli stessi manager. Infine è richiesta una riconferma annuale da parte delle assemblee per le massime cariche aziendali e vengono introdotte sanzioni penali per chi non rispetta tali regole.
Intanto il parlamento europeo ha messo a punto, dopo una discussione con i rappresenti dei vari stati, una proposta per limitare i bonus dei banchieri a un importo pari al massimo a quello dello stipendio di base e al doppio dello stesso stipendio solo con un voto dell’assemblea dei soci. Inoltre le banche saranno soggette a un regime di stretta trasparenza; così esse dovranno rivelare la distribuzione dei profitti, degli aiuti pubblici e delle tasse non solo complessivamente, ma anche paese per paese.
I manager ottengono oggi delle remunerazioni certamente eccessive, stridenti in particolare con l’attuale situazione economica e finanziaria dei paesi europei; inoltre gli incentivi elevati legati ai risultati economici spingono i manager a comportamenti molto rischiosi che danneggiano il sistema.
La Gran Bretagna, che si opponeva all’accordo, è rimasta isolata e sta ora cercando di negoziare qualche mutamento al progetto, mutamento che non dovrebbe essere comunque decisivo. A Londra si teme così un certo esodo delle sedi centrali delle banche fuori dal paese e comunque una fuga di manager, cosa che, come ha osservato qualcuno, non sarebbe poi un gran male.
Va ricordato che i servizi finanziari rappresentano circa il 10% del pil britannico. La City occupa direttamente 300.000 addetti e contribuisce in maniera fondamentale e rendere la città così ricca e cosmopolita.
In un certo senso la mossa era attesa. Come molti hanno commentato, la City non può pensare di restare capitale finanziaria d’Europa collocandosi ai margini dell’Unione ed anzi minacciando di uscirne; la tendenza di lungo periodo, chiaramente già in atto, è quella a far coincidere sostanzialmente eurozona e unione europea. Gli inglesi in effetti sospettano che le norme approvate siano una manovra per indebolire la stessa City e rafforzare i centri finanziari dell’Europa continentale. D’altro canto, in Germania si approssimano le elezioni e Merkel è sotto l’accusa, avanzata dall’opposizione, di essere troppo tenera con le banche.
Naturalmente non mancano le vie per aggirare almeno in parte le nuove regole, per esempio aumentando in maniera sostanziale la parte fissa delle retribuzioni; ma tale soluzione non manca di inconvenienti. Gli studi legali londinesi hanno comunque molto lavoro in queste settimane.
La speculazione sui prodotti agricoli
La gran parte delle organizzazioni non governative che si sono occupate dei temi finanziari negli ultimi anni hanno concentrato gli sforzi soprattutto sui fronti della Tobin tax, dei paradisi fiscali, delle remunerazioni dei manager, dei derivati, delle speculazioni bancarie sulle materie prime. I risultati ottenuti sinora sui vari fronti sono piuttosto variabili. Sul tema delle materie prime la loro azione sembra marcare un importante successo.
Ricordiamo intanto che è stata soprattutto la Oxfam, ONG inglese che, sulla base anche di alcuni studi, ha accusato le banche che trattano sui mercati finanziari, direttamente o attraverso i propri fondi, prodotti alimentari di base, di “speculare sulla fame”.
Ecco che ora diversi istituti europei stanno chiudendo le proprie attività nel settore. Così in Francia BNP Paribas e Crédit Agricole, in Germania Landesbank Berlin, Landesbank Baden Württemberg e Commerzbank, in Austria l’Osterreischiche Volksbanken, mentre si dovrebbe apprestare a fare altrettanto anche l’inglese Barclays.
Diversi altri istituti contestano invece che il loro intervento sui mercati che trattano i generi alimentari porti a un aumento dei prezzi, come sostiene invece la Oxfam; così la Deutsche Bank e la Allianz in Germania hanno deciso di continuare a operare nel settore. Ma anche l’ONG inglese appare intenzionata a portare avanti la sua campagna, producendo in futuro anche nuovi studi.
Le liquidità delle imprese americane
Le grandi multinazionali statunitensi hanno accumulato all’estero grandi liquidità, che alcuni stimano vicine ai 1.000 miliardi di dollari.
Da molto tempo esse vorrebbero rimpatriare tali somme, ma le disposizioni fiscali del paese consentono di non tassare gli utili solo sino a quando essi sono tenuti all’estero e di assoggettarli invece alla normale aliquota del 35% quando vengono riportati negli Usa.
Le imprese fanno pressione sul governo perché venga ridotto in misura rilevante il prelievo. In cambio, esse promettono di reinvestire la gran parte delle somme per il bene dell’economia americana. Ma tutti ricordano che già una decina di anni fa alle imprese fu permesso di rimpatriare gli utili pagando un’aliquota del 5,25%; quasi tutta la somma fu poi spesa per il riacquisto di azioni proprie e la distribuzione di dividendi straordinari e di premi ai dirigenti. Questa volta il governo non accetterà lo scambio ineguale.
Conclusioni
Alla fine ne esce rafforzata la sensazione sottolineata in un precedente articolo, quella che qualche elemento di riforma del sistema finanziario avanzi ora in qualche modo, ma molto lentamente e in binari strettamente controllati. La difficile situazione economica e finanziaria di vari stati europei, oltre che degli Usa, spinge l’opinione pubblica a essere più esigente, mentre i governi europei e i funzionari di Bruxelles sembrano relativamente pronti a dare loro qualche moderata soddisfazione.
In ogni caso, per raffreddare le eventuali speranze che possono essere sorte rispetto a un miglioramento sostanziale della situazione nel campo del sistema finanziario, ricordiamo anche qualche notizia che va in direzione opposta.
Negli Stati Uniti è stata varata la legge Dodd-Frank che regola in una certa misura il settore. Ma la riforma stenta ad andare avanti.
Un pezzo fondamentale di essa, la cosiddetta Volcker rule, prevede la separazione tra attività bancarie ordinarie e attività speculative. Ora tale normativa dovrebbe entrare in funzione entro il primo gennaio del prossimo anno; ma la sua applicazione è stata rimandata e lo stesso Paul Volcker non sa bene quando essa sarà veramente avviata. Intanto da più parti si chiede un annacquamento della stessa.
Nel frattempo si pensa anche a un rinvio nell’entrata in funzione nel paese delle regole di Basilea3 che prevedono più elevati livelli di mezzi propri e più stringenti regole di liquidità per le banche. Anche in questo caso si chiedono delle modifiche in senso peggiorativo.
Nel frattempo un hedge fund statunitense è costretto dalla SEC a pagare una multa di 600 milioni di dollari per mettere a tacere un’accusa di insider trading, mentre la banca JPMorgan è accusata da una commissione del Senato di aver nascosto al mercato delle informazioni importanti sulle grandi perdite incorse di recente dall’istituto sul mercato dei derivati. Infine, per non dimenticare l’Europa, i giornali tedeschi informano che alcune banche del paese e diversi loro clienti importanti avrebbero frodato il fisco per diversi miliardi di euro con operazioni molto spericolate.
Non c’è dunque molto, alla fine, di cui rallegrarsi.