Da quella dei ricchi arriva la «modernità»: sarebbe il nucleare. Da Sbilanciamoci il “fare” di una miriade di iniziative concrete e “contrarie” con forme di democrazia diretta e in forme dirette e consiliari.
L’incontro che da 15 anni, per iniziativa di Sbilanciamoci e altre organizzazioni si tiene a Cernobbio in contemporanea a quello dei ricchi del mondo, è tra i pochi strumenti che ci restano per attivarci.
Ecco un altro convegno. La settimana scorsa è stata la conferenza per la pace promossa a Berlino dalla Fondazione Rosa Luxemburg, ora è l’incontro annuale che da 15 anni, per iniziativa di Sbilanciamoci e altre organizzazioni della società civile fra cui l’Arci, si tiene a Cernobbio in contemporanea a quello che ormai da anni nella stessa città riunisce i potenti del mondo convocati dallo Studio Ambrosetti.
Si tratta di convegni spesso stimolanti perché tra i pochi strumenti che abbiamo per ascoltare gli altri e dire la nostra, come un tempo accadeva quando c’erano i partiti e si comunicava per poi decidere insieme. Per attivarsi. Non voglio naturalmente fare una cronaca, ma alcune considerazioni sì. Dalla Cernobbio dei ricchi, per quanto è dato capire, è stato ridefinito il concetto di modernità che ora sarebbe il nucleare e un ritorno indietro il più veloce possibile dai progetti, e dunque dalle loro scadenze, solo poco tempo fa raccolte nel Green new deal. Da Sbilanciamoci invece un’informazione ricca sulle tantissime iniziative assunte per andare efficacemente in senso contrario, testimonianza di un nostro “fare” che si sposta sempre più sul territorio per dar vita a nuove forme di democrazia diretta locale: penso per esempio alla «pratica dell’obbiettivo», ai Consigli di fabbrica che poi diventarono anche di zona, embrioni di potere diretto, come quelli di cui parlava Rosa Luxemburg, e tanto ne scrisse Gramsci. E ora vorrei aggiungere qualche considerazione e proposta.
1. La prima riguarda quanto ci ha detto Enrico Giovannini, ex ministro del lavoro e il solo invitato anche all’incontro Ambrosetti. Ci ha detto che un tema dalle conseguenze potenzialmente terrificanti discusso nell’”altro convegno” è stato quello dell’Intelligenza Artificiale. A parte la pericolosa manipolazione dei nostri cervelli che si rende possibile, c’è un altro dato “nostro” con cui è necessario metterlo in contatto: nel corso di tutto il XX secolo il progresso tecnologico ha prodotto una riduzione dell’occupazione tradizionale del 15 %, la previsione per il XXI, quello che stiamo vivendo, sarà del 75 %! Se ne deduce che avremo una società in cui il suo 25% più potente, usando una piccolissima élite di tecno-scienziati, comanderà su un mondo popolato da un 75% di esseri umani costretti a diventare un’enorme area di servitori, badanti di vario genere, di cui faranno parte non solo i pochi istruiti ma anche tutti quelli che saranno in possesso di una laurea destinata a diventare in pochissimo tempo obsoleta. Ma, se è così, ha senso che noi continuiamo ad affrontare il tema della scuola in modo tradizionale, spingendo affinché queste lauree siano più numerose, sebbene non siano più servibili, senza invece riprendere l’intuizione che ebbe il movimento operaio italiano negli straordinari anni ’70: quello di un ripensamento generale della scuola che finalmente conducesse a un sistema in cui lungo tutto l’arco della vita lo studio si intrecciasse con il lavoro, una moltiplicazione delle 150 ore, e/o anche “4 ore di studio e 4 ore di lavoro”, per ricordare il Piano proposto da Il Manifesto?
2. Monica Di Sisto al convegno ha giustamente parlato della necessità di rendere più attiva l’iniziativa politica della società civile a livello europeo. Affinché l’Europa esista come soggetto unitario non bastano infatti, anche se sono urgenti, riforme che portino ad unificare settori importantissimi come il fisco o il sistema bancario. Ma perché questo avvenga bisogna che l’Unione europea diventi soggetto, e dunque operi unitariamente a livello della società civile. E però, perché questo avvenga, occorre prima di tutto che gli europei si conoscano fra loro, avvertano le stesse esigenze e compiano le stesse esperienze. Qui è indispensabile una autocritica complessiva di tutti noi, dall’Arci al sindacato a tutte le nostre Ong. La sola esperienza utile che in questi decenni si è fatta in questo senso è stata l’Erasmus,che ha dato almeno a una parte consistente degli studenti l’occasione di conoscere e vivere per un po’ in un altro paese europeo. Non sarebbe necessario varare un Erasmus per gli spazzini, sicché a rotazione uno dei lavoratori di questo settore, per esempio del comune di Firenze, possa andare a fare lo stesso mestiere nella città di Tolosa? E la stessa cosa vale per gli insegnanti, per gli addetti ai trasporti, per i contadini? Sì da capire meglio come affrontano tanti temi nuovi negli altri paesi, pensiamo solo a quanta centralità abbia oggi il problema della “spazzatura”, vale a dire della produttività dei rifiuti! Ogni comune , piccolo o grande, dovrebbe dedicare qualche soldo del proprio bilancio per trasformare gli inutili gemellaggi oggi esistenti (al massimo scambio di bande musicali dei rispettivi vigili urbani) in azioni sociali concrete,
3. Una quantità di norme del green deal che pure fissano precisi impegni non vengono mai applicate, non solo perché nessuno conosce le norme e le obbligazioni se non gli addetti ai lavori istituzionali, ma anche perché non sanno come farlo. Per esempio: non si deve più cementificare, è urgentissimo, la Terra non respira più. Benissimo. Eppure è altrettanto urgente ridisegnare le città per far fronte alle nuove domande: pensiamo solo alle donne e al loro bisogno di socializzare il lavoro di cura. Bisogna dunque rammendare le città. Chi lo deve fare? Gli operai edili, gli urbanisti, le femministe, i vecchi e i giovani bisognosi di nuovi spazi. Ma questo comporta ripensare una quantità di cose, a cominciare dal mestiere dell’edile, e dunque al modo di operare del suo sta facendo? No. Anche questo è urgente e non può che essere il frutto di un impegno collettivo, di soggetti socialmente diversi e pur tuttavia bisognosi di una comune soluzione.
4. Infine: se mi guardo in giro mi accorgo che in ogni Paese europeo c’è una qualche vertenza in corso per affrontare problemi su cui sono aperte anche da noi analoghe vertenze. Basti per tutte la questione che da noi è stata chiamata «il salario di cittadinanza». Possibile che non si sia riusciti ad aprire una vertenza a livello europeo, un movimento europeo unificato che renderebbe la lotta più forte? (E questo vale per ogni altra rivendicazione).
Ecco, alla Cernobbio di Sbilanciamoci a Como ogni relatore ha parlato di cose di questo genere e questo è stato l’interesse vero del convegno. Ma proprio per questo vorrei che a livello di ogni comune, ma anche di ogni quartiere, si costruissero collettivi di persone – studenti così come pensionati – che si attivino assieme per affrontarli.
Articolo pubblicato da il manifesto del 10 settembre 2024