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Cosa significa reintrodurre i voucher

I voucher, una brutta parola, vengono reintrodotti dal governo Meloni. Unici dettagli conosciuti finora si riferiscono a una estensione dell’applicazione di questa forma di prestazione di lavoro a gettone iper precario, abolita nel 2017 perché la Cgil aveva già raccolto 1 milione di firme per un referendum.

Il governo del presidente del Consiglio Signor Giorgia Meloni è orwelliano, nel senso che introduce più che riforme e provvedimenti ex novo, aggiustamenti peggiorativi di una realtà già triste, stando però molto attento all’uso di parole per egemonizzare culturalmente l’opinione pubblica. “Signor presidente” ne è stato il primo esempio, volto a marginalizzare le battaglie per l’emancipazione femminile che stavano conquistando persino l’Accademia della Crusca, poi “rave” per criminalizzare la movida giovanile e magari introdurre surrettiziamente norme liberticide e intercettazioni generalizzate. Un’altra parola, che sdogana con una connotazione positiva di ritorno all’ordine e alla flessibilità sempre buona e giusta, ora è “voucher”. 

La prima legge di bilancio del governo della destra più nera non poteva esimersi da intervenire nel mercato del lavoro toccando uno strumento simbolo come i “buoni lavoro”, inventati dalla Riforma Biagi del 2003 e introdotti per la prima volta nel 2008 dal governo Berlusconi. Quindi aboliti, ma solo formalmente, anzi nominalisticamente, dal governo Gentiloni nel 2017 per evitare il referendum che la Cgil stava per portare a segno. Ma solo per trasformarli, sotto altro nome e con più limiti, in Libretto di Famiglia per colf e badanti e Contratti di prestazione occasionale previsti dal Decreto Dignità per aziende del turismo, agricoltura e persino enti locali. 

I voucher, che hanno visto un boom tra il 2013 e il 2015 contribuendo a creare un plafond di lavoro povero e iperprecario che ha poi dovuto, per forza, essere almeno in parte aiutato con il Reddito di cittadinanza, sono rimasti, nell’idea prevalente, una brutta parola. Sinonimo – appunto – di sfruttamento estremo legalizzato per le basse mansioni, infima contribuzione, mancanza di tutele minime dalla malattia al riposo, lavoro a gettone o a prestazione senza orario, evasione fiscale. Il plafond sul quale si è potuto cementare nei servizi il lavoro finto autonomo, sempre a gettone, ad esempio dei rider. “Ringrazia, Ciuchino-Pinocchio, che ti do questa mela”. 

Nel 2017, quando anche la Corte Costituzionale diceva che  “l’evoluzione dell’istituto, nel trascendere i caratteri di occasionalità dell’esigenza lavorativa cui era originariamente chiamato ad assolvere, lo ha reso alternativo a tipologie regolate da altri istituti giuslavoristici e quindi non necessario” e la parola “voucher” era diventata molto negativa, anche Matteo Salvini non ebbe nulla in contrario ad abolirla. Salvo reintrodurne molte delle modalità nel 2018 con il governo gialloverde Conte I, sempre al fine di “aiutare soggetti a rischio di esclusione sociale” come da dettato della riforma Biagi del mercato del lavoro. Si trattava sempre delle stesse categorie: pensionati al minimo, studenti, ex carcerati, tossicodipendenti, persone con disabilità e senza qualifiche, da impiegare per lavori saltuari e stagionali nei campi, come camerieri, come domestici e addetti alla cura degli anziani. Spesso – guardavano – gli stessi soggetti che lo stesso governo ha dovuto sostenere con il Reddito di cittadinanza perché sprofondati nella povertà assoluta. Il Libretto di Famiglia e i contratti per prestazioni occasionali finora regolamentavano queste prestazioni attraverso tetti temporali e massimi d’impiego. Ad esempio in agricoltura e nel turismo un massimo di 10 giorni di arco temporale di utilizzo della prestazione occasionale, per le aziende alberghiere un massimo di 8 dipendenti per farne ricorso e per le altre un massimo di 5 dipendenti in regola. E poi l’obbligo per tutti i datori di lavoro di questi settori abilitati di registrarsi nell’apposito portale dell’Inps, naturalmente. 

Adesso il governo Meloni dice di volerli reintrodurre ma soprattutto sbandiera una ben più ampia gamma di applicazione: aziende fino a 10 dipendenti regolari, ad esempio. E un massimo di utilizzo che passa da 5 mila a 10 mila euro. Il dettaglio ancora non c’è. Intanto già si fregano le mani le associazioni degli imprenditori agricoli, senza neanche pallidi distinguo tra Confagricoltura, Coldiretti e Confesercenti. Forza Italia con Licia Ronzulli si attribuisce il merito del ritorno dei voucher e il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ne rivendica pure la reintroduzione in manovra per agricoltura e turismo lasciando così intravedere quale sia l’orizzonte della sua politica industriale. Mentre la neo ministra del Lavoro, l’ex consulente del Lavoro Marina Calderone, sostiene che il ritorno dei voucher servirà non ad aumentare la precarietà ma “la flessibilità”, oltre che ad aumentare “l’emersione dal lavoro nero”, dimostrando anche lei una visione significativamente caotica e tardo liberista dei suoi compiti.

Il sindacato Filcams Cgil nazionale spiega che “i voucher incentivano il lavoro irregolare, nascondono il nero e non riducono la precarietà, così come dimostrato in tanti anni di utilizzo e sfruttamento, ma soprattutto non è la loro assenza che ha determinato una diminuzione di personale, quanto condizioni di lavoro e di salario che continuano a peggiorare e non sono più accettabili”. Il sindacato che rappresenta i lavoratori del turismo e dei servizi ricorda che in questa fase difficile, in cui il settore del turismo, così come molti altri, cerca di uscire dalla crisi prodotta da tanti mesi di emergenza sanitaria casomai ci sarebbe bisogno di politiche e piani di sviluppo più lungimiranti, non di un ritorno al passato che alimenta l’illegalità e abusa di una flessibilità negativa. E propone: formazione professionale, assunzioni stabili e buona occupazione per un lavoro regolare, dignitoso e sicuro. 

Sbilanciamoci! fin dai tempi del suo rapporto Workers Act è sempre stata fortemente contraria ai voucher e al lavoro a gettone. E ha contribuito alla raccolta di un milione di firme per il referendum di abrogazione della Cgil nel 2016, pronta a tornare in piazza contro la reintegrazione di una brutta parola e del contesto che si porta dietro, ancora più negativo per le tutele del lavoro. 

TESTI:

Dossier Inps clicca qui

La storia dei Voucher, sito Università Luiss: clicca qui

Workers Act di Sbilanciamoci! : clicca qui