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Caro governo, non ci siamo proprio

I conti cambiano ma sempre non tornano. E i 18 miliardi di privatizzazioni sono un inganno mentre su “reddito di cittadinanza” e “quota 100” non è chiaro né quando né come saranno attuati. Sul lavoro si continua a sperare di crearne con agevolazioni fiscali, mai funzionato. Si confonde il welfare con una card, non si […]

La legge di Bilancio per il 2019-2021 è un’occasione mancata, un testo che non rappresenta certamente la “manovra del cambiamento”. Tra luci e ombre e molte contraddizioni (frutto anche dell’eterogenea compagine di governo) si è persa un’occasione per cambiare pagina rispetto all’obiettivo di mettere i primi mattoni di un nuovo modello di sviluppo fondato sull’ambiente, la pace e i diritti: anche i diritti umani e costituzionali delle persone in fuga da guerre e povertà, che questo Governo sta violando. Diamo un rapido sguardo d’insieme.

La trasparenza che non c’è

Ci aspettavamo trasparenza e chiarezza. E invece – come con i governi precedenti – si continua nell’opacità: sono passati otto giorni dalla scadenza del 27 settembre prima di conoscere i contenuti e il testo della Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (Nadef). E ne sono passati ben undici (dal 20 al 31 ottobre) per la trasmissione della legge di Bilancio alle Camere. Si prosegue così – anche con questo governo che aveva dichiarato di voler inaugurare la stagione della trasparenza – nella nefasta abitudine di violare sostanzialmente i termini di legge sui termini della presentazione dei documenti di bilancio, limitandosi a divulgare comunicati stampa, note informali, annunci.

Le previsioni del rapporto deficit-Pil sono cambiate nel corso delle settimane. Si sono avvicendati Consigli dei ministri, vertici, incontri ristretti per contrattare in corso d’opera i numeri e le interpretazioni da dare a scelte ancora opache e non lineari. Mancano ancora molte informazioni, e in diversi casi ci sono solo le poste di bilancio: la declinazione delle misure più importanti viene rinviata a provvedimenti futuri non ancora elaborati. Una parte delle misure previste è sottoposta dunque a beneficio di inventario: non si sa bene come saranno modulate. Si tratta di sostanza, non di dettagli. Tutto questo costituisce una grave ferita alla trasparenza e al corretto rapporto con i cittadini, l’opinione pubblica e le istituzioni.

I conti non tornano

La manovra di bilancio di poco più di 41 miliardi è decisamente inadeguata. Non tornano i conti della crescita per il 2018 e il 2019. Per il 2018 non sarà dell’1,2%, ma quasi sicuramente sotto l’1,0% (Istat). Per il 2019, la crescita sarà inferiore di un terzo di quella prevista: non dell’1,5%, ma dell’1,0% (Fondo monetario internazionale, ma anche Ufficio parlamentare di Bilancio e Istat).

Per il rapporto deficit-Pil le previsioni del Governo di un rapporto al 2,4% per il 2019 sono contraddette da altre istituzioni. L’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb) lo stima al 2,6% e la Commissione europea addirittura al 2,9%. E i conti non tornano anche su tante altre partite importanti, tra cui la cosiddetta “Quota 100”. Se tutti aderissero alla proposta (platea di 437 mila beneficiari), la spesa per il 2019 sarebbe di 13 miliardi di euro e non di 6,7 miliardi (Upb). Si sovrastima la crescita e si sottostima l’indebitamento: in questo modo si ha a che fare con una legge di Bilancio sostanzialmente inattendibile, non corroborata da numeri reali, non fondata su previsioni elaborate su un principio di prudenza.

La finanza pubblica in bilico

Aumentare il rapporto deficit-Pil al 2,4% nel 2019 (e al 2,1% al 2020 e 1,8% al 2021) è sacrosanto se si fanno investimenti pubblici, se si sostiene la domanda interna, se si crea lavoro e si rafforza il welfare. Ma tutto questo nella legge di Bilancio 2019-2021 non c’è. Gli investimenti pubblici nella manovra del governo sono ridotti al minimo, presenti in misura molto limitata (risorse aggiuntive per lo 0,2% del Pil): tra l’altro si tratta di risorse neutralizzate da identici tagli (sempre lo 0,2%) alla spesa pubblica dei ministeri, alla spesa sociale e alle agevolazioni fiscali (tax expenditure) che spesso costituiscono un importante sostegno al reddito dei cittadini. E di interventi per il lavoro non c’è traccia.

La cancellazione delle clausole di salvaguardia è totale per il 2019, ma parziale per il 2020 e il 2021. Questo è il principale espediente usato per evidenziare un calo (virtuale) del rapporto deficit-Pil nel 2020 e nel 2021. Il combinato disposto di aumento parziale dell’Iva negli anni a seguire e revisione delle agevolazioni fiscali di natura sociale avrebbe un effetto negativo sui consumi e la domanda interna.

Affermare dunque che l’aumento del deficit sarà compensato poi dalla crescita del Pil è, oggi, pura petizione di principio, frutto di stime generiche e propagandistiche già rivelatesi fallaci negli anni precedenti. La previsione di riduzione di 5 punti di Pil del debito pubblico (da 131,7% del 2017 al 126,7% del 2021) è – alla luce del modesto livello di avanzo primario – infondata e sostenuta tra l’altro dagli introiti irrealistici delle privatizzazioni. Prevedere 18 miliardi di entrate dalle privatizzazioni, quando i precedenti governi non hanno realizzato che una parte infinitesimale di quell’obiettivo è un inganno. È inoltre dubbio che la domanda interna possa essere rilanciata con le misure fiscali contenute nella legge di Bilancio e con questo basso livello di investimenti (1,9% del Pil nel 2018 e 2019).

(In)giustizia fiscale è fatta

Nonostante le promesse di riduzione fiscale, il governo prevede nella Nadef un aumento della pressione fiscale che passerà dal 41,9% del 2018 al 42,2% del 2019 e al 42,3% del 2020. Con il Decreto fiscale legato alla legge di Bilancio viene introdotta la flat tax (15% sotto i 65mila euro dal 2019 e 20% sotto i 100mila dal 2020), che rappresenta una grave distorsione della giustizia e della progressività fiscale, così come voluta dall’art. 53 della Costituzione. Questa non è una norma a favore dei tanti precari che sono costretti ad aprirsi una partita Iva per lavorare, spesso con redditi bassi, oppure di piccoli artigiani, ma un vantaggio ai settori medio-alti delle libere professioni. Tutto ciò alimenta diseguaglianze economiche e sociali. Far passare questo come una “riduzione del cuneo fiscale sul lavoro” è una strumentalizzazione della misura.

Sul fronte della “pace fiscale”, fortemente voluta dalla Lega in manovra di bilancio, è stato scongiurato in extremis un nuovo maxi-condono agli evasori fiscali, che avrebbe rappresentato una gravissima ferita alla legalità e al corretto rapporto tra contribuenti e sistema fiscale. Ma restano comunque in piedi i provvedimenti sulle liti pendenti o potenziali con il fisco e sulla cosiddetta “rottamazione-ter”, che sembrano confermare una resa del governo di fronte alla necessità di un serio e rigoroso contrasto all’evasione e all’elusione fiscale nel nostro Paese.

Il lavoro grande assente

Nella legge di Bilancio non ci sono misure per il lavoro, se non relativamente all’impegno della riforma (rinviata a un’altra misura) dei Centri per l’impiego e la proroga di qualche ricetta, come il bonus per l’occupazione al Sud e poco altro. La legge di Bilancio – dando per acquisito il “Decreto Dignità” come misura principale sul lavoro – non dà linee di indirizzo innovative e misure concrete per creare e incentivare l’occupazione.

C’è l’auspicio – che ha accompagnato il dibattito sulla Legge di Bilancio – dell’assunzione di “giovani lavoratori” grazie all’introduzione di “modalità di pensionamento anticipato”. Esponenti di governo si sono spinti a prevedere l’assunzione di due giovani lavoratori per ciascun pensionato anticipato: tradotto in cifre, per seguire queste suggestioni, si parla di fantasmagorici 7-800 mila nuovi posti di lavoro. Il lavoro è creato dagli investimenti e in questa legge di Bilancio c’è una previsione modesta: l’1,9% del Pil nel 2019, in termini nominali di 3,5 miliardi di euro, una posta assolutamente inadeguata rispetto alle esigenze di un rilancio della crescita.

Welfare sbrindellato, scuola e sanità fanalini di coda

Il Disegno di legge di Bilancio 2019 e relativi allegati prevede poche misure che non fanno minimamente i conti con i vizi del nostro sistema di welfare, semmai riflettono la tendenza a deresponsabilizzare progressivamente lo Stato, scaricando sempre di più il peso dell’assistenza e della protezione sociale sulle famiglie. Il “welfare familiare” evocato nel Contratto di governo dimentica l’universalismo e rinuncia a investire nelle infrastrutture territoriali.

Nella legge di Bilancio non si rileva un impegno vero per l’istruzione (diritto allo studio, edilizia scolastica, lotta alla dispersione scolastica), ricorrendo per l’università e la ricerca all’ormai consueto rapporto con il mondo delle imprese e al partenariato pubblico-privato. La stessa scarsa attenzione si può rilevare per gli investimenti per la salute, la non autosufficienza, il diritto alla casa.

Tutte le risorse disponibili – sicuramente un’allocazione importante – sono concentrate sul “reddito di cittadinanza”, i cui contorni attuativi sono ancora assai nebulosi. Riteniamo però primitivo ridurre un fenomeno multidimensionale (e che riguarda non solo il reddito, ma la scuola, la casa, i servizi, eccetera) come quello della povertà unicamente a un problema di trasferimento di reddito su una card.

Pensioni per pochi e malfatte

L’introduzione di “Quota 100” per il sistema pensionistico sembrerebbe un passaggio importante e innovativo nella direzione del superamento della cosiddetta “riforma Fornero”. Ma ci sono diversi aspetti critici da segnalare. Il potenziale bacino dei 437 mila aventi diritto è costituto dal 90% di uomini e in gran parte di residenti nel Nord.

È un provvedimento che rischia di alimentare le diseguaglianze tra uomini/donne e Nord/Sud del Paese. Ed è un provvedimento che, secondo l’Ufficio parlamentare di Bilancio, costa 13 miliardi di euro solo nel 2019: una posta di bilancio rilevantissima, considerando l’impatto sociale ben più largo – con quelle risorse – che si potrebbe avere con un piano di investimenti pubblici per il lavoro. Peraltro, ancora non viene affrontato il tema delle (inesistenti) future “pensioni dei giovani” e la necessità di differenziare l’età per il pensionamento in funzione dei lavori e delle professioni esercitate.

Caccia ai migranti

Il governo dà la caccia ai migranti: nel Mediterraneo, bloccando le Ong e impedendo i salvataggi, e in Italia con il “Decreto Sicurezza”, che restringe il diritto d’asilo e indebolisce il sistema Sprar, costringendo migliaia di richiedenti asilo e migranti all’abbandono. Così si creerà maggiore degrado e più marginalità. È disumano e liberticida pensare di rispondere con le ruspe e la criminalizzazione a un fenomeno drammatico che ha bisogno di politiche di accoglienza, integrazione e assistenza, nel rispetto dei diritti umani.

Lungi dal generare una più efficiente gestione dei flussi migratori, le politiche adottate dal governo comportano una restrizione dei diritti individuali e il rischio di nuovi conflitti sociali. Il Disegno di legge di Bilancio 2019, all’articolo 57, comma 2, prevede di “razionalizzare” la spesa per l’attivazione, locazione e gestione dei centri trattenimento e di accoglienza tagliando gli stanziamenti previsti di 400 milioni di euro nel 2019, 550 milioni nel 2020 e 650 milioni a decorrere dal 2021. La famosa “sforbiciata” è dunque giunta. Ma più che tagliare gli sprechi, cancella diritti, con l’unico fine di accogliere meno e male e mostrare il pugno di ferro all’opinione pubblica incattivita, senza garantire maggiore trasparenza dell’utilizzo delle risorse pubbliche.

Il servizio civile: passi indietro

Ci sono meno soldi nel 2019 per il servizio civile e meno ancora ce ne saranno nel 2020. Si tratta di un grave passo indietro rispetto al difficile tentativo di questi anni di tenere un dignitoso livello di finanziamento del Servizio civile nazionale. Già nel 2019 si rischia di veder calare il numero di ragazzi e ragazze ammesse a svolgere questa esperienza. In questo modo non solo non ci sarà mai veramente il “servizio civile universale” della Legge delega sul Terzo settore, ma non si riuscirà nemmeno a garantire il servizio civile di questi anni. In assenza di finanziamenti aggiuntivi nella legge di Bilancio, nel 2019 sarà possibile un contingente di poco più di 20 mila posti in Italia e 500 all’estero. Per misurare la distanza fra queste cifre e le richieste dei giovani, basti pensare che proprio in queste settimane si stanno svolgendo le selezioni di più di 100 mila domande che sono state presentate a settembre 2018.

Cooperazione allo sviluppo: ancora molta strada da fare

Per la cooperazione allo sviluppo nella legge di Bilancio del 2019 si registrano undici milioni in meno rispetto al 2018 (5.008 milioni nel 2019, 5.019 nel 2018). In pratica gli stanziamenti rimangono invariati. È vero che il Documento di economia e finanza evidenzia l’obiettivo di crescita della cooperazione fino al 0,40% del Pil nel 2021, ma è anche vero che un terzo delle spese per la cooperazione non sono tali: si tratta di stanziamenti finalizzati all’accoglienza dei migranti nei Cas e nelle altre strutture individuate.

Armati fino ai denti

L’Italia, con una spesa militare annua di oltre 25 miliardi di euro, si conferma un Paese “armato fino ai denti”: continuiamo a mantenere costosissimi sistemi d’arma, tra cui quello dei cacciabombardieri F-35, le spese militari della difesa aumentano nel 2019 del 2% in legge di Bilancio e rimaniamo presenti in missioni militari che andrebbero chiuse, come quella in Niger o in Afghanistan. Mentre proseguiamo a vendere armi all’Arabia Saudita, coinvolta in una guerra come quella in Yemen.

Ambiente e sostenibilità

La legge di Bilancio non presenta in campo ambientale tratti originali o misure di carattere innovativo, men che meno in materia di scelte energetico-climatiche, dove l’unica certezza è rappresentata dalla conferma anche per il nuovo anno degli sgravi fiscali per l’efficientamento energetico del cosiddetto “Ecobonus”. “Non ci siamo”, ha affermato l’ASviS nella presentazione del suo Rapporto sugli obiettivi di sviluppo sostenibile. Concordiamo con questa affermazione. L’Italia è molto lontana dal raggiungimento degli obiettivi nel 2020 e nel 2030. Il governo ha riconfermato un’opera sbagliata come la Tap e rimane ambiguo sulla continuazione o meno della Tav. In legge di Bilancio pochi fondi per la lotta al dissesto idrogeologico e nessun intervento per la riduzione dei cosiddetti “sussidi ambientalmente dannosi” (oltre 16 miliardi di euro).

Le nostre alternative

Questo nostro Rapporto 2019 contiene la Legge di Bilancio che vorremmo, quella del cambiamento, ma quello vero. Con le 101 proposte che abbiamo elaborato, delineiamo una diversa idea di economia, di spesa pubblica, di modello di sviluppo. Sbilanciamoci! ritiene necessario cambiare pagina, un salto di paradigma, un’inversione di rotta rispetto alle politiche neoliberiste di questi anni. Bisogna rimettere al centro la politica, le politiche. Servono investimenti pubblici per consumi e produzioni legate alla green economy e ai nuovi bisogni sociali capaci di produrre qualità sociale ed eguaglianza. Per questo sono fondamentali politiche redistributive che intacchino privilegi, rendite di posizione, ricchezze abnormi. Il welfare non è un costo, è un diritto ed è un investimento. Una società più istruita, formata e sana esprime anche un’economia più innovativa e capace di futuro. Abbiamo bisogno di una radicale riconversione ecologica e civile dell’economia. Dobbiamo eliminare i sussidi ambientali dannosi e ridurre drasticamente le spese militari. Tutto questo non è il “libro dei sogni”: è possibile. Lo dimostriamo in questo Rapporto con le nostre proposte specifiche, concrete e dettagliate.

Si può fare: questa è la strada del vero cambiamento.