Top menu

Bric/La Cina alla sfida delle disuguaglianze

Ultime notizie dai Nuovi Grandi/2. Come se la cavano le potenze Bric ai tempi della grande crisi? Il loro rallentamento è solo un incidente di percorso o è dovuto a cambiamenti e dinamiche strutturali?

La Cina, che ormai da molte decine di anni ci ha abituato a dei continui, importanti mutamenti, non si smentisce certo ora: sembra in effetti che sia in atto una complessa e almeno relativamente veloce transizione verso un nuovo disegno economico e sociale del paese.

L’economia rallenta un poco e la crescita del pil si organizza intorno all’8% annuo, contro il 10-11% del periodo precedente; questo per la gran parte sotto lo stesso impulso delle autorità di governo, preoccupate di tenere sotto controllo il livello dell’inflazione e dei prezzi del mercato immobiliare e più in generale, forse, di governare meglio un’economia divenuta molto più grande e complessa di prima. Le previsioni su cosa succederà nei prossimi anni sono peraltro molto incerte.

Intanto una serie di notizie di varia natura mostrano una forte volontà di cambiare molte delle regole del gioco. Nel testo che segue abbiamo cercato di fotografare soltanto alcuni aspetti di tali mutamenti in atto.

Il peso dei consumi interni

La gran parte degli analisti pensano da tempo che la crescita del paese sia soprattutto spinta dalle esportazioni e dagli investimenti e che il peso dei consumi sul pil sia molto modesto, oscillando negli ultimi anni, secondo del resto le cifre ufficiali comunicate sino a ieri, soltanto intorno al 35%.

Ma già da tempo almeno alcuni esperti sottolineavano come il peso delle esportazioni sulla crescita dell’economia fosse da considerare meno importante di quello che si pensava in giro e che comunque tale peso fosse in via di riduzione, mentre gran parte dello sforzo era da molto tempo concentrato sull’enorme livello degli investimenti. Tutti comunque sembravano d’accordo sulla necessità di spostare molto di più l’enfasi dello sviluppo verso i consumi interni.

Ora si scopre che, in realtà, il peso degli stessi consumi sul pil era molto superiore a quanto si pensasse. Da una parte gli stessi uffici statistici hanno di recente corretto le stime verso l’alto, mentre anche alcuni studi privati indicano che il suo peso reale si aggira oggi in realtà intorno al 46% del pil, con una tendenza alla crescita negli ultimi anni (The Economist, 2013). Altri parlano anche del 48%.

A chi pensa poi che il livello degli investimenti sia eccessivo si può ricordare, senza certo negare che ci siano degli sprechi, come la Cina abbia bisogno di un enorme, ulteriore, livello di infrastrutture per diventare un paese moderno e come la sua dotazione di beni capitali sia proporzionalmente ancora lontana da quella dei paesi sviluppati.

Molto carente invece appare ad oggi lo sviluppo dei servizi, che manca di investimenti; particolarmente deboli appaiono i comparti della sanità, della finanza, dell’educazione. La percentuale degli occupati nel settore si aggirerebbe (peraltro non si sa quanto le statistiche in proposito siano attendibili) intorno al 34% della forza lavoro totale, contro l’81% negli Stati Uniti (Xu Qiyuan, 2013). È questa un’area di potenziale grande sviluppo nei prossimi anni.

La questione del lavoro

Il settore dei consumi tende ad essere certamente alimentato, tra l’altro, da una crescita dei salari e degli stipendi, crescita che da alcuni anni ha assunto ritmi molto sostenuti.

Il loro forte aumento non sembra avere allontanato gli investitori esteri sino ad ora almeno.

Certamente la Cina tenderà sempre di più a non essere ricercata per la presenza di una vasta manodopera a buon mercato – la disponibilità di manodopera poco qualificata tende peraltro comunque a ridursi fortemente per ragioni demografiche e di aspettative da parte degli stessi lavoratori, in particolare nelle aree costiere –, ma i suoi atout per attirare gli investitori continuano ad essere molto ampi.

Per altro verso, è in corso una gigantesca dislocazione di insediamenti produttivi verso le aree interne, dove si trova ancora un’offerta di manodopera relativamente abbondante e a minor costo di quella delle regioni costiere.

Le relazioni sindacali

Accanto al costo della manodopera va anche registrato il progressivo, anche se ancora insufficiente, miglioramento nelle condizioni di lavoro e nel riconoscimento dei diritti sindacali.

Prima si è avuta, a partire dal 2008, una nuova legge di tutela del lavoro subordinato, che migliorava in una qualche misura la pessima situazione precedente. Qualche settimana fa, poi, la Foxconn, la più grande azienda produttrice di prodotti elettronici del mondo, ha annunciato che nelle sue fabbriche cinesi si stanno preparando elezioni dei delegati sindacali veramente rappresentative e democratiche (Hille, Jacob, 2013).

È impensabile che tale mossa sia stata annunciata senza il consenso del governo cinese ed essa sembra rappresentare, almeno sulla carta, un importante passo in avanti.

Bisogna peraltro ricordare che non si tratta di una novità assoluta; esistono già nel paese altri esempi della stessa natura, anche se questo caso colpisce per le sue dimensioni. D’altro canto, bisognerà verificare in concreto i contenuti effettivi di tale iniziativa.

Intanto sarà in effetti necessario accertare quanto i candidati alle elezioni verranno scelti direttamente dai lavoratori e quanto invece magari dalla stessa azienda o dal partito. Poi bisognerà anche vedere di che grado di tutela giuridica avranno gli eletti (se essi non saranno discriminati sul lavoro, se non verranno trasferiti a volontà, ecc.), nonché i poteri effettivi che avranno i delegati e su quali materie essi potranno trattare con la direzione.

Le diseguaglianze

Uno dei problemi più rilevanti del paese oggi, insieme all’inquinamento, è quello della grande disuguaglianza dei redditi e delle ricchezze.

Per la prima volta qualche tempo fa un organismo pubblico ha pubblicato i dati relativi al coefficiente Gini, che si collocherebbe nel 2012 intorno al valore di 0,474, ben al di sopra della soglia di allarme fissata a suo tempo dalle Nazioni Unite nella cifra di 0,40. Ma alcuni studiosi pensano che la realtà sia ancora peggiore e che il coefficiente si aggiri intorno a 0,61, ciò che collocherebbe il paese tra i più diseguali al mondo (Rabinovitch, 2013).

Apparentemente le autorità si sono decise ad intervenire con decisione in questa situazione e nel febbraio 2013 hanno pubblicato un piano per riformare il sistema; esso si compone di 35 punti (Xinhua, 2013).

Intanto viene ricordato che il governo lavorerà per raddoppiare il reddito medio annuo pro-capite dei cinesi tra il 2010 e il 2020. Tra le misure specifiche previste ci sono l’elevamento del salario minimo, l’uscita di 80 milioni di persone dalla povertà entro il 2015 (ne rimarrebbero poche decine di milioni), un forte incremento nelle spese per l’educazione e gli alloggi pubblici, un miglioramento nel sistema pensionistico e sanitario, la concessione ai contadini di più forti titoli di proprietà sulla terra. I lavoratori migranti saranno aiutati a registrarsi come residenti urbani, beneficiando così di tutti i servizi pubblici essenziali nelle città, da cui sino ad oggi erano esclusi. Intanto le banche pagheranno tassi di interesse più elevati ai depositanti, mentre viene istituito l’obbligo per le imprese statali di aumentare la percentuale dei profitti distribuita come dividendi e mentre anche aumenteranno le tasse sulle proprietà e quelle sui beni di lusso.

Bisogna peraltro attendere il governo cinese alla prova dei fatti. In effetti mancano nel piano in gran parte obiettivi precisi e traguardati ed è frequente nel paese l’annuncio di azioni importanti che poi però, per una ragione od un’altra, si perdono almeno in parte per strada. Per altro verso, all’applicazione delle misure annunciate si oppongono presumibilmente dei forti interessi consolidati, da quello delle imprese pubbliche che non avrebbero voglia di dare più soldi allo stato, ai comuni che derivano una parte molto consistente dei loro proventi dalla vendita delle terre, vendita che ora incontrerà molte difficoltà, ai molti funzionari che si sono arricchiti ed in particolare posseggono spesso molti immobili che sarebbero ora tassati.

La carbon tax e i problemi dell’inquinamento

È noto come il problema dell’inquinamento sia molto grave nel paese; esso tocca in particolare, ma non solo, alcune grandi città. E’ anche noto come i paesi occidentali, in particolare gli Stati Uniti, abbiano sino ad oggi utilizzato l’apparente inazione della Cina su tale fronte come una scusa per non fare sostanzialmente niente loro stessi. Ma anche su questo piano le autorità sembrano ora voler intervenire.

Così abbiamo appreso (Hern, 2013) che il governo sta mettendo a punto delle politiche fiscali miranti alla protezione dell’ambiente e delle risorse. In questo quadro il ministero delle finanze suggerisce di imporre una carbon tax, basata sulle emissioni di biossido di carbonio; la tassa, all’inizio relativamente moderata, tenderà a crescere nel tempo. Essa dovrebbe anche avere l’effetto di contribuire all’ulteriore sviluppo del settore delle energie rinnovabili.

In questo quadro il paese sembra voler seguire una pista diversa da quella dei paesi occidentali, che tendono soprattutto a sostituire carburanti inquinanti con altri che lo sono meno; la Cina vorrebbe saltare quello stadio e muoversi direttamente verso le energie rinnovabili.

Conclusioni

Il potenziale di espansione dell’economia cinese appare ancora molto ampio e tale da poter eventualmente assicurare alti livelli di crescita dell’economia ancora per molti anni. Si pensi soltanto alle ancora centinaia di milioni di persone che in un prossimo futuro si sposteranno dalle campagne alle città e alle necessità di infrastrutture e di nuovi consumi che esse indurranno. Nel frattempo peraltro la sfida che ha di fronte la Cina è quella di superare i grandi squilibri della fase precedente (diseguaglianze tra le varie classi sociali, tra le varie aree territoriali, tra i vari gruppi etnici; inquinamento; basso livello tecnologico delle produzioni; ecc.) e di porre così le basi di uno sviluppo maggiormente sostenibile sia economicamente che socialmente. Sembra che il gruppo dirigente del paese voglia portare avanti il compito, anche se sembra avere di fronte forti resistenze da parte degli interessi costituiti. Vedremo tra qualche anno quali saranno stati i risultati.

Testi citati nell’articolo

Hern A., China proposes introducing a carbon tax, www.newstatesman.com, 21 febbraio 2013

Hille K., Jacob R., Foxconn plans Chinese union vote, www.ft.com, 3 febbraio 2013

The Economist, Bottoms up, 30 marzo 2013

Xinua, China to reform income distribution, www.chinadaily.com.cn, 6 febbraio 2013

Rabinovitch S., Beijing vows to raise minimum wages, www.ft.com, 5 febbraio 2013

Xu Qiyuan, China needs to set its service free, www.ft.com, 15 aprile 2013

Altri articoli:

Bric/L’India, nei guai, alla ricerca di una via d’uscita

Bric/Il Brasile in panne cerca una via d’uscita