Dal 1978 al 2018: 40 anni di storia del farmaco. E la vera storia del Sovaldi risolutivo contro l’epatite C: un caso destinato a ripetersi se non si immagina una negoziazione dei prezzi economicamente sostenibile per la collettività.
Se è vero che le parole recano spesso tracce di altri significati, la storia del farmaco negli ultimi quarant’anni racconta di tradimenti. Possiamo dire che la parola farmaco è divenuta nel tempo paradigma di un’ambivalenza semantica che esprime le ambiguità dei rapporti tra diritti, Stato e mercato.
La nascita de Servizio sanitario nazionale: universalismo, eguaglianza e partecipazione
Nel 1978 il legislatore italiano istituì il Servizio sanitario nazionale (Ssn) con parole innovative, superando il testo costituzionale, che pure aveva espressamente qualificato come fondamentale il diritto alla salute (art. 32 Cost.). Entrarono nel lessico sanitario l’eguaglianza e la partecipazione nell’accesso alle cure (art. 1 l.833/1978), principi che trovano riferimento nella Costituzione italiana (artt. 2, 3, Cost.).
La legge istitutiva del Ssn supera lo stesso testo costituzionale laddove subordina la gratuità delle cure all’indigenza dell’individuo (art. 32 co.1 Cost.), affermando l’universalismo dell’accesso alle cure e rispondendo all’evidenza (colta già in sede costituente) che di fronte al costo elevato di certe cure anche il cittadino più facoltoso è indigente.
La legge del 1978 definisce in maniera inedita la disciplina del farmaco usando espressioni come funzione sociale del farmaco e prevalente finalità pubblica della produzione; afferma che la produzione e la distribuzione devono essere regolate secondo criteri coerenti con gli obiettivi del Servizio sanitario nazionale; attribuisce al legislatore statale la competenza a disciplinare diverse attività farmaceutiche (dall’autorizzazione all’immissione in commercio alla disciplina dei prezzi dei farmaci mediante una corretta metodologia per la valutazione dei costi, etc.) (art. 29).
Sempre nel 1978, a marzo, la Corte costituzionale dichiarava illegittima la norma di un regio decreto che vietava la brevettabilità dei farmaci. La Corte sosteneva che l’evidenza internazionale dimostrava non solo l’assenza di una relazione causa-effetto tra aumento dei prezzi e brevetto, ma anche la presenza di interventi autoritativi in grado di compensare gli effetti del brevetto stesso.
Nel 1978 il modello della determinazione del prezzo dei farmaci era quello del prezzo amministrato, sicché il mercato dei farmaci veniva regolato attraverso un intervento pubblico incisivo.
Gli anni Novanta: tra privatizzazioni e liberalizzazioni
Tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta si comincia ad intravedere un altro modo di intendere il ruolo dello Stato anche rispetto ai diritti sociali. Mercato unico e libera circolazione divengono centrali nell’ordinamento europeo e dunque in quello italiano. Tutela della concorrenza, liberalizzazioni e privatizzazioni sono i processi di riferimento di quegli anni. Il modello della programmazione – mai davvero praticata – lasciava definitivamente spazio a quello della regolazione quale intervento pubblico ritenuto idoneo e sufficiente a raggiungere l’obiettivo dell’apertura ai mercati e la garanzia della fruizione dei servizi pubblici essenziali.
Negli anni Novanta si sarebbe affermato per il mercato dei farmaci il c. d. prezzo sorvegliato che impediva di superare la media dei prezzi relativi a prodotti simili nell’ambito dell’allora Comunità Europea. Oggi l’impresa farmaceutica contratta il prezzo dei farmaci rimborsati dal Ssn con l’Agenzia Italiana del farmaco (AIFA), mentre per gli altri farmaci il prezzo viene fissato liberamente dall’impresa, in assenza di un intervento pubblico nella determinazione del prezzo (modello del prezzo negoziato e modello del prezzo libero).
In quegli anni una normativa (frammentata) andava ad ampliare il quadro di riferimento della disciplina del farmaco; si pensi alla legge che introdusse il modello del prezzo sorvegliato (per i farmaci non da banco) su determinazione del CIPE (legge 23 dicembre 1993, n. 537); il c.d. Accordo Trips, firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 in tema di brevetto; la legge sulla rimborsabilità dei medicinali non ancora autorizzati, in caso di assenza di valida alternativa terapeutica (23 dicembre 1996, n. 648); la legge sulle sperimentazioni cliniche in campo oncologico, che disciplinò la c. d. prescrizione off label dei farmaci (8 aprile 1998, n. 94).
Anni Duemila: l’Europa del farmaco e mercato internazionale
Negli anni Duemila l’Unione europea contribuiva ad ampliare il quadro di riferimento della disciplina dei farmaci anzitutto con la normativa sui farmaci orfani, cioè di quei farmaci necessari alla cura delle malattie rare per i quali i costi di sviluppo e commercializzazione rischiano di non essere recuperati con le vendite (regolamento CE n. 141/2000). Furono così previste diverse tipologie di strumenti per incentivare la ricerca, in deroga al divieto di aiuti di Stato alle imprese, tra questi: “l’esclusiva di mercato” in favore del produttore autorizzato all’immissione in commercio e “altri incentivi” quali finanziamenti diretti o indiretti.
E già l’espressione farmaco orfano (di chi? di quale genitore?) racconta l’idea che il genitore naturale del farmaco sia il mercato e che lo Stato possa intervenire solo per garantire l’accesso a un bene destinato a curare pochi pazienti, dunque poco remunerativo.
L’anno successivo il Codice comunitario dei medicinali per uso umano (direttiva 2001/83/CE), con l’obiettivo di armonizzare le discipline nazionali in funzione della libera circolazione del farmaco nel mercato interno, avrebbe disciplinato diverse attività farmaceutiche (immissione in commercio, importazione, etichettatura, distribuzione all’ingrosso, pubblicità e farmacovigilanza) ridisegnando le competenze definite dalla legge del 1978. L’Unione europea interveniva nella disciplina del farmaco per via della propria competenza in materia di libera circolazione delle merci, non anche direttamente a tutela della salute, materia sulla quale l’Unione ha solo una competenza di coordinamento, sostegno e completamento delle azioni degli Stati membri che mantengono la competenza esclusiva (art. 6 e 168 TFUE).
A livello internazionale, con la Dichiarazione sul Trips e la salute pubblica, siglata a Doha il 14 novembre 2001 nell’ambito della Conferenza ministeriale dell’OMC, veniva riconosciuto il collegamento tra il sistema brevettuale e il prezzo dei medicinali, prevedendosi la possibilità di derogare per ragioni di sanità pubblica alle regole brevettuali, sebbene solo per i paesi economicamente più deboli.
Pochi anni dopo avrebbero visto la luce nuovi soggetti pubblici con poteri in diverse attività in materia farmaceutica, in una prospettiva di regolazione dell’accesso: nel 2003 l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), alla quale sono attribuiti poteri di negoziazione dei prezzi dei farmaci rimborsati dal Ssn, e nel 2004 l’Agenzia europea dei medicinali (EMA) che oggi “affianca” le agenzie nazionali nelle procedure autorizzatorie e nella farmacovigilanza.
La finanziarizzazione del farmaco
Nel corso degli anni il processo di smantellamento del modello del Servizio sanitario nazionale si rivela in tutta la sua prepotenza nel fenomeno della “finanziarizzazione del farmaco”. Un esempio drammatico è stato anche in Italia il recente caso del Sovaldi (un nuovo farmaco di dimostrata efficacia per la cura dell’Epatite C). Il prezzo inizialmente negoziato dall’AIFA e dalla azienda produttrice multinazionale Gilead per circa 40 mila euro a paziente, per ogni ciclo completo di terapia, non ha permesso di garantire l’immediato accesso a tutti i pazienti, molti dei quali si sono perciò recati in altri paesi, come l’India, dove era possibile acquistare il farmaco ad un prezzo di circa 700 euro. Questo fenomeno è destinato a ripetersi in futuro per i nuovi farmaci, se non si immagina una negoziazione dei prezzi economicamente sostenibile per la collettività.
Così proprio l’evidenza internazionale ha dimostrato nel tempo come la presenza delle esclusive brevettuali, e dei monopoli che ne conseguono, determini l’aumento dei prezzi, smentendo le osservazioni della Corte costituzionale del 1978. L’AIFA, preposta alla negoziazione del prezzo dei farmaci innovativi, avrebbe ammesso per la prima volta nella storia del Servizio sanitario nazionale che il servizio pubblico non è riuscito a garantire a tutti i pazienti l’accesso ad un nuovo farmaco di comprovata efficacia, in grado di eradicare una delle patologie croniche più diffuse sul nostro territorio nazionale, definendo il nuovo farmaco per la cura dell’Epatite C un farmaco dal costo insostenibile (Editoriale AIFA del 18/07/2014).
Con un’operazione che segna un forte arretramento rispetto alle conquiste del 1978 e che rende effettivo il principio dell’eguaglianza nell’accesso alle cure, l’amministrazione pubblica è intervenuta nell’accesso al farmaco segnando la debolezza del pubblico nella soluzione di “scelte tragiche”. Nel marzo del 2017, infatti, una circolare del Ministero della Salute, a partire dal tentativo di dare risposta alla domanda del farmaco Sovaldi, forniva istruzioni operative in merito all’importazione per il solo uso personale di specialità medicinali registrate all’estero, autorizzabile in mancanza di valida alternativa terapeutica, riferendosi anche all’ipotesi dell’“accesso al medicinale disponibile in Italia [che] non risulti possibile per il paziente, in quanto lo stesso paziente non rientra nei criteri di eleggibilità al trattamento per l’erogazione del medicinale a carico del Servizio sanitario nazionale, ovvero per la sua eccessiva onerosità”.
Le argomentazioni utilizzate dalla Corte costituzionale nel 1978, nel dichiarare l’illegittimità della norma che vietava la brevettabilità del farmaco, sarebbero oggi ancor più insostenibili. Nel caso del Sovaldi, ad esempio, la Gilead, multinazionale che ha commercializzato il farmaco, non ha investito in innovazione, ma ha acquisito l’azienda che aveva brevettato il farmaco (Pharmasset). Inoltre la stessa AIFA ha segnalato che attraverso il farmaco Sovaldi la Gilead ha visto crescere in maniera significativa il proprio valore aziendale, proponendo un prezzo (poi negoziato) molto più alto di quello inizialmente immaginato dalla Pharmasset (v. Editoriale AIFA 18/07/2014).
L’accesso ai nuovi farmaci, specie rispetto alla determinazione del loro prezzo, è paradigmatico delle contraddizioni di un modello di negoziazione tra pubblico e privato caratterizzato da forti asimmetrie informative, mancanza di trasparenza, debolezza del soggetto pubblico.
Si discute dell’insostenibilità economica del costo dei farmaci, ma il loro prezzo è la sintesi di fattori in parte estranei ai costi di ricerca e produzione; ad essere insostenibile è piuttosto l’arretramento del pubblico nella garanzia dei diritti e degli interessi della collettività.
Ripartire dal linguaggio
L’aggettivo “insostenibile” andrebbe perciò riferito alle scelte pubbliche che condizionano principi e diritti alle ragioni del mercato.
Un nuovo linguaggio racconta di questa inversione di condizionamento e possiamo rintracciare la progressiva erosione dello spazio pubblico anche nel quotidiano, nel linguaggio (più o meno) comune.
Il passaggio da paziente ad assicurato e/o cliente racconta la spinta verso un altro modello di tutela della salute. Così non stupisce che il paziente si senta chiamare ospite, nell’usufruire di prestazioni in una clinica privata convenzionata, con un’accezione del termine che non racconta il senso della reciprocità dell’ospitalità quanto piuttosto di un’occasionalità dell’incontro, dell’essere altro rispetto all’organizzazione che garantisce la prestazione sanitaria.
Si sa che le parole rivelano spesso le tracce di tradimenti, che le parole nascondono significati; così non stupisce accorgersi di come la finanza sottragga al diritto alla salute anche il lessico sanitario. Si assiste ogni giorno ad un’inversione semantica segnata dall’uso nel linguaggio comune di sostantivi come “sofferenza” o “dolore”, riferiti al mercato, con un’ingiustificata attribuzione di sensibilità ad un’entità astratta, priva di un corpo su cui misurare la malattia.
Se a quarant’anni dall’istituzione del servizio pubblico sanitario è lo stesso linguaggio a tradire l’operazione culturale che governa anche il mondo della sanità, è anzitutto dal linguaggio che occorre ripartire per opporre resistenza e ragionare su come riempire di significato le parole, rendendo effettivi i principi, i diritti e i doveri, oggi, dopo quarant’anni.
Si può cominciare dicendo che la funzione sociale non significa solo che le ragioni del mercato arretrano di fronte agli interessi pubblici in termini di sicurezza del prodotto o di libera circolazione, ma anche che lo Stato si deve occupare del farmaco da genitore.
Si può cominciare disvelando l’ambiguità di un certo uso delle parole; ricordando che la sofferenza e il dolore riguardano quotidianamente solo le persone e non i mercati.