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Anni Settanta, un fertile laboratorio

L’anticipazione dell’intervento introduttivo al convegno in programma alla Sapienza di Roma il 15 e il 16 maggio. È il momento di superare la damnatio memoriae di una stagione dai molti esiti, vasti e contraddittori.

Gli anni Settanta continuano a essere un decennio scomodo. Si è spesso imposta una narrazione che li presenta come un periodo di disordine, di crisi, di violenza, di «anni di piombo». Per questo è opportuno oggi rileggerli in modo originale, in chiave interdisciplinare e in una prospettiva non soltanto italiana, dando rilievo alle profonde trasformazioni che li hanno caratterizzati e ai loro protagonisti, ai conflitti, alle pratiche politiche ed esperienze collettive di cui viviamo ancora un’eredità imprescindibile.

Interrogarsi sull’importanza di questo decennio con occasioni pubbliche di confronto rappresenta al contempo una necessità e una sfida. Si tratta di intrecciare piani diversi, considerare i processi a scala locale, nazionale e mondiale, interpretarne le dinamiche e gli esiti.

GLI ANNI SETTANTA sono stati un periodo di profonda transizione nella collocazione internazionale dell’Italia, nella storia economica e industriale del paese. Rappresentano uno snodo fondamentale, come ha di recente ricordato Sergio Bologna (Il «lungo autunno». Le lotte operaie degli anni Settanta), delle vicende del movimento operaio e della società nel suo insieme, investita dalle lotte e dall’emancipazione della classe operaia, dalla messa in gioco di «valori morali e condizioni materiali che andavano oltre le relazioni industriali» e che coinvolgevano l’intero assetto sociale. In quegli anni sono messi in discussione e cambiano i rapporti di forza tra le classi, i rapporti di potere tra donne e uomini, i nessi tra diritti, doveri e bisogni, l’interazione con l’ambiente, i contenuti dei saperi. Si sono affermate nuove forme della politica e della partecipazione, che hanno dato un significato effettivo alla cittadinanza democratica, mutando gli spazi e la grammatica della vita collettiva.

A contraddistinguere gli anni Settanta sono state le grandi possibilità di mutamento che si sono aperte a partire dall’affermarsi di nuove soggettività collettive, portatrici di una propria autonomia. La storia degli anni Settanta è una storia di cambiamenti, che non solo erano pensabili, ma che si realizzarono nel concreto investendo principi e valori, le condizioni di vita delle persone, i rapporti sociali di produzione e riproduzione, le relazioni interindividuali.

Un decennio caratterizzato dalle grandi possibilità di mutamento apertesi a partire dall’affermarsi di nuove soggettività collettive, portatrici di una propria autonomia

Gli anni Settanta sono il decennio di riforme strutturali che hanno inciso sulla vita delle persone e riconfigurato l’assetto del paese: hanno riguardato i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, il diritto allo studio – compresa la conquista delle 150 ore – i diritti civili, sociali e politici, il sistema di welfare e i servizi pubblici, l’assetto dello Stato, la famiglia, l’ambiente e il territorio. Atti riformatori che hanno fatto avanzare il progetto di emancipazione sociale e di liberazione umana iscritto nella Costituzione.

E un aspetto peculiare del caso italiano, che ne sottolinea il rilievo come laboratorio politico, è che alcune delle riforme sociali più importanti si realizzarono quando nel mondo andava iniziando la riorganizzazione del capitalismo in chiave neoliberale – una vera e propria controrivoluzione – e il modello socialdemocratico, con le politiche di welfare, scivolava indietro.

Queste realizzazioni sono state il portato del protagonismo di ampi movimenti sociali. Le mobilitazioni operaie e sindacali investirono i temi del lavoro e dei salari, quelle sulle condizioni di vita affrontarono le questioni dei divari Nord-Sud, della casa, della salute, dei servizi. Il femminismo, con il proprio pensiero differente, linguaggio, pratiche e rivendicazioni ha avviato la rivoluzione più lunga e duratura, a partire dall’affermazione della libertà sessuale e di scelta delle donne, dalla loro autodeterminazione.

SI DIEDERO ESPERIENZE di critica delle istituzioni, del ruolo sociale delle professioni e dei saperi in ambiti come la scuola, l’università, la sanità e la medicina, la magistratura, le forze dell’ordine, la comunicazione, l’architettura, l’urbanistica. Emersero nuove forme di impegno sociale e di iniziativa diretta dei cittadini. A essere investite furono tutte le istituzioni del quotidiano, sulla scia di una differenziata conflittualità che ebbe soggetti sociali e politici molteplici, che pose istanze urgenti e radicali di cambiamento.

La qualità dei conflitti, la progettualità sociale e politica di questi anni coinvolsero il modello di democrazia e di sviluppo del paese. Emerse una spinta all’affermazione universalistica dei diritti capace di rompere con molte delle logiche particolaristiche del passato e di esprimere istanze di libertà e uguaglianza. L’ampiezza e la profondità delle mobilitazioni di questi anni seppero combinare un ampio consenso sociale attorno all’urgenza delle trasformazioni del paese e una visione egemonica su un modello di società più libera e giusta.

Puntando alla qualità delle relazioni sociali e delle condizioni di vita, le esperienze collettive di questi anni intercettarono bisogni rimasti insoddisfatti, politicizzarono questioni di portata generale, liberarono creatività, energie, immaginari, affermarono scelte e valori sino ad allora negati, inventarono culture, linguaggi, pratiche e istituzioni, misero in campo le competenze e i saperi dei soggetti direttamente interessati.

Riscattare le potenzialità di quel periodo, il suo portato trasformativo, ci aiuta ad alimentare una consapevolezza critica del presente, scommettendo ancora sul cambiamento 

La profonda messa in discussione delle strutture sociali e politiche di dominio, delle costruzioni identitarie, di simboli, ruoli e stili di vita, si accompagnò alla costruzione di modelli alternativi nelle relazioni, nella società e nella politica; nell’obiettivo di pensare insieme il benessere comune, la giustizia sociale, la dignità del lavoro, il rispetto della natura.

La posta in gioco, come ha scritto Giovanni Moro nel suo Anni Settanta, era sì la costruzione di una democrazia avanzata in netta discontinuità con il passato, superando i vincoli imposti dalla logica della Guerra fredda e da un sistema politico «bloccato». Ma soprattutto, andando oltre le dinamiche dei rapporti tra i due principali partiti (Dc e Pci), era la democratizzazione della vita quotidiana e dei rapporti sociali, consolidando e universalizzando le conquiste raggiunte «dalla classe operaia e dalle classi subalterne in termini di qualità della vita, di status sociale, di condizioni economiche e di dignità personale». Gli esiti furono numerosi, complessi e contraddittori, ma certamente destinati a incidere sul lungo periodo. Gli anni Settanta restano centrali per comprendere che cosa è accaduto dopo, e per leggere il nostro tempo. È il momento di superare le narrazioni che ne hanno imposto una damnatio memoriae, rimuovendo le soggettività, le pratiche, le esperienze e le conquiste realizzate.

RISCATTARE LE POTENZIALITÀ di questo decennio, il suo portato trasformativo ci aiuta a gettare una nuova luce sulle interpretazioni della storia italiana (e globale); ad alimentare una consapevolezza critica del presente, scommettendo ancora sul cambiamento. Recuperare i progetti di emancipazione e di liberazione nati, sperimentati e realizzati a partire da questo decennio è un’operazione che assume anche un significato politico: la riscoperta di una idea della politica come relazione tra gli esseri umani, come dimensione della creatività, della liberazione e della cura, come agire quotidiano volto a dare spazio alla complessità delle vite nel loro insieme, come intreccio tra scelte individuali e percorsi collettivi. Per dirla con le parole di una delle grandi protagoniste del decennio, Rossana Rossanda: «Per me, per la mia generazione, la politica non è stato un modo per realizzare se stessi: io ho cercato di cambiare qualcosa nella società in cui vivevo».

«Ripensare gli anni Settanta. Trasformazioni, interpretazioni, memorie»

A Roma, il 15 e il 16, il convegno «Ripensare gli anni Settanta. Trasformazioni, interpretazioni, memorie» si tiene alla Sapienza, ai Dipartimenti di Scienze politiche e di Filosofia. Organizzato da Giovanni Moro, Ermanno Taviani e Chiara Giorgi, ha il fine di condividere gli importanti contributi offerti da più studiose e studiosi alla loro interpretazione, ma
anche il desiderio di costruire una comune agenda di ricerca. 

Le sessioni del convegno affronteranno alcuni temi chiave del decennio: cittadinanza e conflitti; capitalismo; lavoro; saperi e professioni; memorie; ambiente, ecologia, energia; femminismi; democrazia. Tra le relatrici e i relatori: Sergio Bologna, Piergiorgio Donatelli, Giuliano Garavini, Beverly Silver, Paola Stelliferi, Gilda Zazzara.