Top menu

Dopo il referendum, il masterchef della politica

All’indomani del risultato referendario, anzichè discettare se saltare dalla padella di un PD così impresentabile, alla brace di un così inaffidabile M5S, qualcosa si deve e si può fare

Se una cosa è certa a questo mondo, più che la morte che prima o poi qualche progresso medico finirà per impedire, evitandoci il rischio dell’inferno, è la durata dell’attuale legislatura in Italia. Con buona pace del nostro geniale matematico Bruno de Finetti, secondo il quale siamo sempre nel campo probabilistico senza toccare gli estremi dell’impossibilità o della certezza assoluta.

Il raggiungimento dei fatidici 4 anni 6 mesi e un giorno necessari per il maturare dell’indennità dei nostri parlamentari è dunque un limite assoluto, rientreremo poi nel campo delle probabilità.

Il Presidente della Repubblica che ha taciuto a sproposito delle incredibili e inaccettabili interferenze esterne sul referendum sancendo di fatto la subalternità del Paese, e che ha parlato, non meno a sproposito e in forma indiretta, permettendo che Eugenio Scalfari ci facesse conoscere la sua posizione, salvo poi diffondere una precisazione d’ufficio, ha mandato, nel suo discorso di fine anno, due messaggi precisi, come tutti hanno rilevato.

Nel prendere atto della clamorosa sconfitta del sì, compreso il suo, ha cambiato la “story telling” di Renzi, facendo finalmente il catalogo delle cose che non vanno e dei tanti gravi problemi del Paese; un catalogo non meno lungo di quello di Don Giovanni. E ha chiesto, giustamente, una legge elettorale coerente e omogenea per i due rami del Parlamento, prima di andare alle elezioni.

È quanto si sarebbe dovuto fare subito dopo la nota sentenza della Corte Costituzionale che aveva dichiarato incostituzionale la legge che aveva eletto l’attuale Camera dei deputati; andare subito dopo alle elezioni e rilegittimare il primo organo rappresentativo di una democrazia parlamentare, quale, almeno nominalmente, è ancora la nostra.

Le improvvide scelte di Napolitano, premio Kissinger (inconcepibile ai tempi di Moro e Berlinguer), avallate da un Parlamento tramortito dalla vittoria dl M5S, di seguire ben altre strade, è all’origine di 4 governi compreso, dopo il referendum, l’ultimo di Gentiloni, sempre meno rappresentativi del Paese reale e causa del declino democratico, con pesanti conseguenze anche dal punto di vista economico.

La presa d’atto dei tanti e gravi problemi del Paese, da parte di Mattarella, è naturalmente un’importante discontinuità con il “venditore di pentole” (copy Sabrina Ferilli), ma proprio questa gravità non permette di limitarsi al “catalogo”, nemmeno al Presidente della Repubblica che pure non ha compiti e responsabilità esecutivi. Sarebbe stato doveroso un forte richiamo all’autocritica (anche personale) e almeno un accenno alle cause del lungo declino etico ed economico del Paese.

È lo stesso “catalogo”, oltre che l’esito referendario, che stride drammaticamente con la formazione di un Governo che rende offesa al buon senso prima che alla ragione politica. Che senso ha l’uscita del solo Renzi con gli altri, sino alla fine attruppati con entusiamo dietro al presunto vincitore, che si sono confermati, anzi hanno raddoppiato nel Governo? I quali, quasi tutti, avevano pure “minacciato”, insieme al caro leader, di ritirarsi addirittura a vita privata in caso di sconfitta1.

È il tripudio del trasformismo, dell’ipocrisia e del mendacio che nemmeno Tomasi di Lampedusa avrebbe immaginato. Per non parlare della nota incompetenza di buona parte dei ministri. Come si può chiedere la partecipazione e l’impegno dei cittadini per la difficilissima ripresa del Paese quando l’organo esecutivo nazionale è a tale mortificante livello? Con un tale ministro del lavoro (!) e le sue indegne dichiarazioni sui nostri giovani costretti a cercare lavoro all’estero. Il suo “mi scuso ma rimango” è una strafottente presa in giro. In un Paese normale sarebbe stato licenziato in tronco se già non avesse anticipato spontaneamente l’uscita.

E quale credibilità possiamo avere all’estero con un tale ministro degli esteri, noto internazionalmente solo per la vicenda Kazaka? Oggi, che le maggiori partite si giocano in Europa, sulla quale è necessario un radicale ripensamento e duro confronto, e sullo scacchiere internazionale, a cominciare, almeno per noi, dal medio oriente. O con un ministro dell’economia che ha certificato tutte le “pentole” di Renzi, e che si è visto (si vede) passare serenamente sotto il naso le peggiori manovre del disastrato settore bancario?

E se c’è, come sembra, un ministro competente come Calenda questi è, e forse proprio per questo, l’unico ministro europeo a essere, senza se e senza ma, a favore del TTIP; la “fase suprema” dell’imperialismo delle multinazionali americane a danno dei popoli a cominciare dal loro; ma per fortuna già morto con Trump.

Ci si può dunque meravigliare che il Paese sia diventato terra di incursione e di conquista anche economica?

Data dunque l’assoluta certezza della durata della legislatura, è inutile che Renzi (decisamente sfortunato con i referendum), la maggioranza (?) del PD, Salvini e Grillo continuino ad abbaiare alla Luna. Avrebbero invece molto da riflettere.

Renzi e il PD, per la clamorosa bocciatura che investe beninteso anche la minoranza di quando era maggioranza. Scesa in campo all’ultimo minuto, e meno male, quando hanno capito che Renzi non avrebbe fatto prigionieri2.

Salvini, rifletta sulla Lega che voleva essere l’alternativa a “Roma ladrona”, ma finita prima in braccio a Berlusconi nel tragico secondo ventennio e poi, come sappiamo, con la ridicola saga della famiglia Bossi.

E rifletta soprattutto Grillo che, per aver ridicolizzato l’apertura di Bersani al movimento, ha dato spazio alle manovre di Napolitano e oggi, non di meno, per non aver proposto un Governo istituzionale e di scopo. Che avrebbe potuto affrontare i tanti difficili e delicati problemi non solo con ministri più capaci e credibili, ma anche con qualche garanzia di rottura con il deleterio “verso” renziano. Senza dimenticare le numerose nomine a scadenza e che rappresentano il vero potere. “Verso” con cui, non si sa con quanta convinzione e riserva mentale, Gentiloni si è detto di trovarsi in “piena continuità”.

Un Governo istituzionale che avrebbe gestito con maggiore obiettività anche di informazione la prossima consultazione elettorale. Preferirono invece entrare nel Consiglio di Amministrazione RAI proprio quando la riforma dava tutto il potere al Direttore Generale! E ben si è visto.

Ma i molti “tartufi”, i centri di interesse nazionali ed esteri, che sono i primi e i veri sconfitti del referendum, sono già all’opera per giubilare il ragazzo come capro espiatorio. D’altronde al “Master Chef ” della politica con giuria, non in grembiule, ma in toga, tonaca e grembiulino, si usa licenziare, con le buone o le cattive, il cuoco che non ha cucinato a dovere la loro ricetta, sempre uguale in salsa bocconian trilaterale. Il vispo Ezio Mauro ha già addebitato al deludente Renzi di non aver saputo esprimere “l’anima delle riforme”: il concetto è lo stesso, ancorché più elegante.

Mentre il solerte direttore di Repubblica, subito dopo l’esito referendario, gridava allarmato, contro le velleità di Renzi e altri, che non si poteva andare alle elezioni subito come a una “seconda ordalia”; dimenticando che aveva appena partecipato alla prima suonando con entusiasmo la gran cassa del suo editore; perché nella seconda potrebbe suonare a morto. Vedremo dunque quale altro aspirante cuoco ci vorranno proporre, in naturale alleanza con Berlusconi ritornato finalmente “responsabile” (con buona pace di Alfano che potrà dedicarsi a migliorare il “quid”, di Verdini libero finalmente di difendersi nei suoi processi che possono accelerare e con Scilipoti alla Nato ).

Ma nel frattempo, anziché discettare se saltare dalla padella di un PD così inpresentabile, alla brace di un così inaffidabile M5S, qualcosa credo si debba e si possa fare3.

Va innanzitutto precisato che, a differenza di quanto è stato detto circa le contraddittorie motivazioni del no, questo, al di là di quelle di partiti e associazioni, e mi riferisco al voto dei cittadini nella stragrande maggioranza, ha una sua profonda e oggettiva coerenza.

Infatti, la difesa della Costituzione nella prima e nella seconda parte che deve essere coerente con la prima (copyright Tina Anselmi) e il rifiuto di una politica antisociale espresso soprattutto dai giovani e dal Sud, che nasce per aver disatteso il programma di democrazia sociale della carta costituzionale, sono due facce della stessa medaglia.

Ma se è così, mentre ci sono sicuramente degli sconfitti, non ci sono veri vincitori avendo tutti noi non poche, seppure differenziate, responsabilità.

Molti, tra i migliori dei due schieramenti, dovrebbero concordare su questo e lavorare per riprendere un cammino da tempo abbandonato, riguadagnando autonomia intellettuale dalle lusinghe blairiane e neoliberiste, riconquistando, insieme, il senso di maggiore dignità e autonomia nazionale, come presupposto per un suo ruolo positivo nel contesto internazionale e nella lealtà, non subordinata, con le sue alleanze. E per riconquistare insieme l’autorità dello Stato, delegata sempre più a poteri vicari e anche criminali e che quando si manifesta si dimostra “forte con i deboli e debole con i forti” (copy P. Nenni).

La recente vicenda dell’ambasciatore USA è al riguardo paradigmatica. Di fronte alla sua inaccettabile ingerenza sul referendum si registrò una debole ed isolata protesta, subito poi rientrata con “l’ultima cena” di Obama, dalle reciproche strumentalità. Anziché chiedere che venisse considerata persona sgradita e rimandata nel suo Paese (che avrebbe reso anche più seria “l’ultima cena”), ingenuamente, esponenti del comitato del no, chiesero udienza per spiegare le loro ragioni. Come se l’ambasciatore fosse intervenuto dopo analisi attenta della riforma, e non su sollecitazione interna e disposizioni di Washington! Un mio amico che frequenta il palazzo di via Veneto mi dice che Roma è una delle sedi più gradite agli ambasciatori americani per la sua cucina, e aggiungerei anche per la facilità dei rapporti con i politici italiani suonando il campanello per la consegna dei “desiderata” del suo governo4.

Ma anche la “cupidigia del servilismo” (copy V. E. Orlando) ha la sua inerzia: dopo le elezioni americane (!) e il risultato del referendum in Italia (!), il Corriere della Sera in prima pagina intervistava lo stesso ambasciatore, peraltro prossino alla sostituzione, che incoraggiava gli italiani a “continuare nelle riforme”!

Per tornare alla padella e alla brace, trascurando il rancido bollito di Berlusconi, siamo interessati innanzitutto ai programmi e alla legittimità dei partiti.

Per i programmi, mi sembra evidente che la richiesta che viene, e non solo dai cittadini italiani, è quella di una rivoluzione copernicana rispetto alle politiche dominanti fallite sul piano storico oltre che scientifico. In sintesi occorre ritornare alla centralità della persona e non della impresa, essendo questa uno strumento importante della prima sia per la produzione di ricchezza sia per la sua stessa realizzazione nel lavoro e in un contesto solidale, non solo nazionale5 (copy Costituzione italiana).

Per la legittimazione o rilegittimazione dei partiti è urgente applicare la norma costituzionale in termini di statuti, regole, congressi e trasparenza di finanziamento.

Il M5S, non deve diventare come gli altri proprio perché dovrebbe essere il primo a rivendicare quella attuazione. Altrimenti continuerà a rappresentare il fattore G (Grillo), come a suo tempo e per tanto tempo, il Pci rappresentò il fattore K. (e sia detto senza alcun paragone tra le due realtà!). Un’opposizione che non potrà, a ragione o a torto, e più a ragione nelle condizioni in cui versa, alternarsi al potere. Ma sarà disposto questa volta ad alleanze su programmi concordati e quindi anche mediati? Errare è umano, perseverare è diabolico, anzi stupido.

Prima prenderà atto, se lo potrà, che il sistema “consultarie”, raggiunge al più risultati “cumulativi” (aggregazioni di pareri di individui isolati con effetti contraddittori ed ambigui6), soggetti a suggestioni e interferenze e non collettivi (quali nascono dal confronto e scontro di idee tra persone in carne ed ossa che condividono in comunità una serie di valori), meglio sarà per la democrazia del Paese. E questo vale sia per i programmi che per la selezione e legittimità dei gruppi dirigenti. Il modello “premiata ditta Casaleggio & co. + G.U. (Garante Unico)”, è del tutto inaccettabile, oltre che ingestibile. E se il “mellone” esce bianco o addirittura una mela stregata, “co chi t’a vuoi piglià?” (copy R. Carosone, con adattamenti). E’ inoltre sbagliato e pericoloso il paradigma, questo sì populista, della società civile tutta sana e la classe politica tutta corrotta. Abbiamo già dato con la Lega. Il M5S finirà altrimenti come l’Uomo Qualunque, quando ci sarà, se ci sarà, un’offerta politica dignitosa.

La storia insegna che i centri di interessi visibili ed invisibili7 si sono sempre camuffati sotto la bandiera della democrazia agitando il pericolo rosso anche quando non c’era ed oggi il cosiddetto “populismo”, ma della democrazia se ne sono sempre infischiati. Preferirono il fascismo al governo Giolitti e poi la DC ostacolando ogni apertura a sinistra, scelsero poi Berlusconi all’armata brancaleone, ma certo non antidemocratica, della “gioiosa macchina di guerra” di Achille Occhetto, e poi ancora ai governi dell’Ulivo e di Prodi.

Il pontificato di Giovanni XXIII, come noto, favorì l’avvento del Centrosinistra che soprattutto nelle sue prime esperienze rappresentò, anche per la forte pressione sindacale e del PCI all’opposizione, una stagione di vero riformismo in Italia. Oggi, l’attuale pontificato, con le sue coraggiose posizioni e con il ritiro della sacra pantofola all’ipocrita bacio (e dei finanziamenti dello IOR), può sicuramente aiutare.

In attesa, dunque, di quella inevitabile scadenza, c’è molto da fare, e non solo nel “Master Chef”. A cominciare da coloro che con maggiore coerenza hanno condotto la battaglia del no, e dei migliori del sì. Lo stesso Parlamento (ormai di tutti “responsabili”) per “riscattare” la scadenza, oltre alla legge elettorale, potrebbe promuovere qualche “controverso” non solo del tempo renziano.

Da un’indagine seria sul sistema bancario e sul risparmio gestito, , sull’inquinamento finanziario delle bad e good bank, con Morelli della J.P. Morgan e il camarade Moustier (?), sulle Partecipazione statali per quel che rimane e sulla Cassa Depositi e Prestiti che gestisce tanta parte del risparmio italiano, ma affidata a uomo della Goldman Sachs, ad una vera politica di tutela e valorizzazione del territorio del patrimonio culturale ed artistico del Paese, oltre a ridare dignità al lavoro: tutte cose imposte dalla Costituzione disattesa. E sfiduciando il ministro Poletti riqualificando il Governo.

* Iscritto all’ANPI, sez. A. Bei. Collabora con la Fondazione Giuseppe Di Vittorio.

1Così anche Franco Monaco, un ulivista coerente, “PD, continuità anche nelle sconfitte”. Il Fatto Q. 4/1/2017

2Minoranza che sembra cominci a riflettere autocriticamente nel merito. Luigi Bersani (www.ilcampodelleidee.it). Il quale dovrebbe convincersi che c’è una sola via. Quella liberale, ma “che è veramente liberale [ quando ] è veramente sociale”. Così Guido De Ruggero a proposito del Piano Beveridge. In Guido Calogero, Difesa del liberalsocialismo, Atlantica, Roma 1945, p. 136)

3Si veda il bell’articolo di Gianandrea Piccoli, “Ripartire dal referendum di dicembre per attuare la Costituzione”, Il manifesto 3/1/2017. E anche le iniziative programmate da i comitati per il NO.

4Ed ecco una recente perla di stampa, Fabio Martini, “Nomine, la strategia di Gentiloni, Conferme in vista per le partecipate: “[…] E stavolta sarà difficile non ascoltare l’Ambasciata americana sulle nomine all’ENI: fra qualche settimana il Segretario di Stato sarà uno che di petrolio se ne intende: Rex Tillerson, ex bossdi Exxon”. La Stampa, 5/1/2017. Enrico Mattei sentitamente ringrazia.

5Spesso si dimentica che una delle cause principali dell’ innovazione e quindi della maggiore produttività è l’ “effetto Ricardo”, come lo chiama P.S. Labini. E’ l’aumento delle retribuzioni che stimola l’innovazione tecnologica labour saving. In Italia tale effetto è da anni assente, per compressione dei redditi da lavoro e per il trasferimento delle imprese all’estero. Abbiamo così disoccupazione senza innovazione e scarsa produttività! E penalizazione dei consumatori con prezzi che non rispondono all’abbattinento dei costi.

6Tali difficoltà sono state evidenziate dal cosiddetto “paradosso del voto” di Arrow K. J., in Social Choice and Individual Values, (Wiley New York 1961). Per una esemplifcazione F. Caffè, Lezioni di politica economica, Boringhieri, Torino, 2008, p. 34.

7Non va mai dimenticato che era convinzione di Tina Anselmi che almeno la metà degli iscritti alla P2 fosse in incognita circolazione. D’altronde anche i noti continuano a lottare serenamente contro di noi.