Subito dopo i risultati del referendum greco dello scorso 5 luglio 2015 è uscito un articolo sul Washington Post scritto da Jared Bernstein (ex capo economista del vice-presidente Joe Biden e senior fellow di un think tank progressista come il Center on Budget and Policy Priorities) www.glistatigenerali.com
Subito dopo i risultati del referendum greco dello scorso 5 luglio 2015 è uscito un articolo sul Washington Post scritto da Jared Bernstein (ex capo economista del vice-presidente Joe Biden e senior fellow di un think tank progressista come il Center on Budget and Policy Priorities): “[In Grecia] ci sono in ballo fattori politici strutturali, che sono endemici al fatto che un’unione monetaria non è un’unione politica, né un’unione fiscale, né una bancaria. Come mi ha detto un economista tedesco: ‘Pensi che alla gente di Manhattan piacerebbe bailing out (salvare) il Texas?’”[1]. Gli fa eco, in un dibattito piuttosto liberal, Paul Krugman, l’economista Premio Nobel e commentatore sul New York Times, attivissimo nei giorni della crisi greca: “Ahem. Difatti la gente di Manhattan did bail out (ha salvato) il Texas”[2]. È successo, continua Krugman, negli anni Ottanta e Novanta, ai tempi della cosiddetta savings and loan crisis. Ma la situazione non è molto diversa oggi, e soprattutto il sistema è simile: nessuno, va avanti lo studioso, ha mai chiesto ai cittadini di Manhattan se volessero salvare il Texas o meno, c’è un sistema che funziona in proposito, e quindi succede automaticamente. Per Krugman, questo è un paragone che funziona più di quello Grecia-Porto Rico che è stato sbandierato a destra e a manca, anche sui giornali italiani. Tra i motivi, proprio il fatto che Porto Rico – malgrado tecnicamente non sia (ancora) uno stato americano ma un territorio – appartenga ad un’unione monetaria ed in particolare il fatto che “le banche di Porto Rico siano al sicuro in un safety net (rete di sicurezza/protettiva) nazionale”. Ci sono infatti negli Stati Uniti una serie di meccanismi di aiuto da parte del governo federale agli stati più bisognosi. Oggi New Mexico, Mississippi, Kentucky, Alabama, sono alcuni degli stati che ricevono i più ingenti aiuti federali in forme dirette o indirette.
Which States Are Givers and Which Are Takers?
La lente distorta con cui si vedono gli Stati Uniti (o meglio, l’America) dall’Italia porta spesso a considerarli come una sorta di unico magma, se non ancora una terra delle opportunità dove tutto e grande e la ricchezza si tocca con le mani. Nonostante vi sia da decenni un discorso forte sulla povertà (almeno da Kennedy in poi), e nonostante si parli da anni del declino della “gloriosa” classe media americana, da noi si fa ancora fatica ad uscire da un immaginario mitico. Invece ci sono stati più poveri e stati più ricchi, stati in temporanea emergenza (come il Texas) che ricevono aiuti, oltre a contee e aree di stati anche in buona salute che invece hanno problemi. Naturalmente non si tratta di stabilire se questo sistema sia buono o cattivo, ma solo evidenziare come in un’unione politica – e spiace contraddire Bernstein ma sì, anche l’Unione europea è, o almeno dovrebbe essere, un’unione politica – ci si aiuta a vicenda. È la normalità quindi, o dovrebbe esserlo: emblematico, in questo senso, il titolo di un articolo dell’Atlantic sul tema: “Which States Are Givers and Which Are Takers?” (quali stati danno e quali prendono?) seguito dal sottotitolo “And is that even the correct way to frame the question?”, cioè “E è davvero questo il modo giusto per inquadrare la questione?” [3].
Vale la pena guardare ai risultati di una recente ricerca di Wallet Hub, che incrocia una serie di dati per capire quali siano gli stati più dipendenti da aiuti federali: il ritorno delle tasse pagate al governo federale (cioè quanti dollari in finanziamento federale ricevo il contribuente di un dato stato per ogni dollaro che hanno pagato di tasse federali); secondo, finanziamento statale come percentuale di entrate statali, cioè quando delle entrate annuali statali, e quindi teoricamente della spesa, è fornito dal governo federale, e terzo – ma per quelli di WalletHub si tratta di una componente meno importante – il numero degli impiegati federali. Messo tutto insieme, il New Mexico guida la classifica (seguendo i tre criteri, $2.19 ritorno di tasse, 37.89 finanziamento, 18.5 impiegati federali pro capite) segue il Mississippi ($2.34, 43.68%, 10.61), poi Kentucky ($2.18, 35.26%, 15.38), Alabama, Montana, West Virginia, Louisiana, South Dakota [4]. Altri dati utili sono quelli elaborati da Tax Foundation (avvertenza: si tratta di un think tank spostato verso i conservatori che in passato ha ricevuto critiche di affidabilità. Ma in questo caso elaborano dati dal Census americano), che, usando soltanto il prisma delle tasse, per il 2013 notano come lo stato che fa più affidamento sull’aiuto federale sia il Mississippi, che ha avuto il 42.9 per cento delle entrate statali attraverso aiuti dal governo federale. Seguono Louisiana (41.9%), Tennessee (39.5), South Dakota (39.0) e Missouri (38.2) [5]. I dati naturalmente cambiano da anno ad anno, ma gli stati interessati sono più o meno sempre gli stessi, con piccole variazioni (per i patiti di numeri: nel sito del Census americano si trovano tabelle dettagliate e cifre precise per quanto riguarda tasse e affini [6]). David C. Parsley, professore di economia e finanze a Vanderbilt University intervistato da Wallet Hub, nota come negli ultimi dieci anni gli stati che più hanno beneficiato di aiuti federali sono South Carolina, Mississippi, Florida, North Dakota, Louisiana, New Mexico, Hawaii, Alabama, West Virginia, Maine, e Kentucky. Ci sono una serie di considerazioni che vanno fatte, come i costi specifici che vanno per la costruzione di infrastrutture, e quindi gli stati più popolosi, come New York, California, e Texas riceveranno più aiuti di altri stati nonostante non siano necessariamente “poveri”, o il fatto che gli stati di frontiera hanno necessariamente più spese che vanno per controllare le frontiere e gestire le ondate migratorie (qualcosa che dovrebbe suonare famigliare…). Per questo, uno stato come il Maine, nell’estremo nord-est, confine col Canada, figura nella classifica di WalletHub al decimo posto. Un po’ di importanza ce l’hanno anche la presenza di basi militari, che ricevono contributi federali, o anche le università e impianti speciali (come quelli a energia solare) che vengono finanziati direttamente dal governo o quantomeno ricevono incentivi.