Buon lavoro/Intervista al presidente della Commissione lavoro Cesare Damiano (Pd), critico ma ligio al voto: «Non sono d’accordo ma è il mio governo»
Placido e sornione, dall’humour cuneese, Cesare Damiano è di nuovo alle prese con un caso di coscienza: la sua. Non era d’accordo sulla riforma Fornero delle pensioni ma l’ha approvata, era contrario a includere i contratti collettivi nel primo decreto sul Jobs Act – parlava di «illegittimità costituzionale» – ma l’ha votato e così non stupisce il sì alla fiducia sull’Italicum pur essendo in sintonia conia minoranza dem. L’ex ministro del Lavoro dell’ultimo governo Prodi, ora presidente della Commissione a Montecitorio, viene di solito assegnato alla casella dialoganti con Renzi, forse ora ai «più speranzosi di Speranza». Ex sindacalista Fiom, da anni ha incarichi istituzionali al massimo livello – «questo è il mio governo», continua a dire – pertanto il suo punto di vista sulle proposte di Sbilanciamoci! può servire da cartina da tornasole.
Il suo governo ha di fatto azzerato l’art. 18, o meglio l’ha monetizzato e depotenziato. La Fiom e la Cgil vorrebbero un referendum per ripristinarne l’efficacia. Altre strade?
L’art. 18 rimane per gli occupati prima del 7 marzo di quest’anno, circa 7 milioni. Per come era stato rivisto dalla legge Fornero forniva già una protezione assai più debole contro il licenziamento ingiustificato. Certo, ora è ridotto al lumicino e si rende strutturale un dualismo tra vecchie e nuove generazioni di lavoratori. Si può fare qualcosa? Io credo nel ruolo della contrattazione, nazionale e aziendale.
Intende prendere a esempio la vicenda Novartis di Origgio?
Sì, anche se lì si trattava di trasferimenti infragruppo ere -do che si possa prendere spunto per rovesciare il presupposto dell’art. 8 della legge Sacconi (il contratto di prossimità, ndr) e approdare a una derogabilità migliorativa.
In Commissione state discutendo lo schema di decreto attuativo sulle forme contrattuali, Sbilanciamoci! propone una riduzione delle tipologie contrattuali, è buon senso: sono 47.
Non sono proprio 47 ma pur sempre una quantità enorme. Il decreto andrà in approvazione a maggio. Abbiamo abolito il job-sharing e l’associato in partecipazione, che interessano circa 40 mila persone. Il lavoro a progetto non sarà cancellato laddove è stato regolato sindacalmente, faccio l’esempio del contratto delle telecomunicazioni per i cali-center dove è previsto con una paga oraria minima che raggiunge la paga sindacale dopo i primi 5 anni. Lo cancellerei invece negli altri casi, facendo però attenzione a non regredire a una situazione ante legge Biagi, che regolava i cocopro, senza valutazione del progetto e senza fissazione degli standard salariali. Il decreto deve inoltre delimitare il carattere del lavoro dipendente e quello del lavoro autonomo facendo sparire la terra di nessuno dei parasubordinati. Infine credo che ci sia una sovrapposizione tra job-on-call e voucher, o l’uno o l’altro.
Il Jobs Act sperimenta per la prima volta un salario minimo legale, verso il quale Sbilanciamoci! condivide le diffidenze dei sindacati. Mentre tra le proposte della campagna c’è un reddito minimo di cittadinanza e una riduzione sussidiata, cioè incentivata, degli orari.
Non confondiamo il compenso orario minimo con il reddito minimo. Sono cose molto diverse. Sul compenso orario minimo sono contrario, è un’invasione nella libera contrattazione tra le parti. Sono favorevole solo laddove non c’è contrattazione collettiva, ad esempio nei cali center o nelle collaborazioni continuate e continuative.
Non sarebbe meglio allora dare validità erga omnes ai contratti collettivi?
Questa è un’altra strada. Non sono contrario, ma per dare carattere giuridico ai contratti serve un riconoscimento giuridico delle organizzazioni firmatarie, con tutto quello che comporta. Però mi faccia rispondere sul reddito di cittadinanza, che interviene sulle situazioni di disagio e di lotta alla povertà. Povertà è un termine generico. C’è il disagio sociale, quello endemico, per cui serve un salario di cittadinanza dato dalla fiscalità generale. Ci sono 5 milioni e 500 mila pensionati incapienti, 600 euro al mese, ai quali va alzato l’assegno, stando attenti a distinguere tra chi a versato contributi e chi no, come nel protocollo 2007 del governo Prodi. Poi ci sono gli esodati, ai quali non deve andare un sussidio (come propone il presidente Inps Tito Boeri, ndr) mala pensione.
Lei ha lanciato la proposta di quota 100.
Sì, con 62 anni d’età e 35 di contributi si dovrebbe poter andare in pensione con un 8% di penalizzazione, in questo modo si può evitare il fenomeno degli esodati.
Poi ci sono i working poor, i lavoratori poveri, che sono in crescita oltre la media europea.
I working poor sono la scomparsa del ceto medio e a questo ci deve pensare il sindacato. E ci ha pensato Renzi con gli 80 euro a chi ha fino a 1.500 euro netti mensili.
Non pensa che si dovrebbe creare lavoro con lo Stato come occupatore di ultima istanza, fare piani del lavoro, piccole e non grandi opere pubbliche, manutenzione del territorio, delle scuole?
Assolutamente sì, mi definisco un euro-keynesiano. Bisogna pensare al dissesto idrogeologico e sbloccare il patto di Stabilità per gli enti locali.
Sbilanciamoci! raccoglie le firme per una legge d’iniziativa popolare che tolga il pareggio di bilancio dalla Costituzione, firma?
Sono favorevolissimo… anche se credo di averla votata, quella modifica dell’articolo 81. Non ho fatto un buon affare, eh?