Quello che emerge dalle 208 pagine di motivazioni della Cassazione sulla condanna di Berlusconi è un vivido esempio di come girano le multinazionali, o almeno i loro diritti
“…E processiamo un assassino perché non paga le tasse?” “Beh, è sempre meglio che niente…” (Dialogo tra Elliot Ness e il suo contabile in ”The Untouchables” di Brian De Palma, 1987)
Ho seguito con scarsa sollecitudine i primi sussulti politici seguiti alle incerte pene inflitte a Berlusconi: sia gli anni di detenzione, sia l’interdizione temporanea (però sospesa, in attesa di un altro giudizio) dai pubblici uffici. L’Ordine giudiziario che mostrava la sua ferma clemenza e il potere politico che d’altro canto reagiva in modo disordinato di fronte all’interrogativo di sempre, sia pure espresso con parole inusitate: “Severino o non Severino, questo è il dilemma”.
Quando, quattro settimane dopo, la sentenza è stata pubblicata per l’intero, mi sono pentito della mia scarsa cura, del mio debole amor patrio; avendo saputo dalla rassegna stampa di Radio3 tenuta da Marco Damilano che il “Fatto Quotidiano” pubblicava quattro pagine tratte dalla sentenza, mi sono deciso, sia pure controvoglia, a comprare il quotidiano suddetto, cui non mi avvicinavo più dalle manette del debutto. Le pagine essendo risultate poco interessanti, ne ho attribuito la responsabilità alla fretta di leggere, riassumere e scrivere in pochi minuti il meglio di duecento pagine anche da parte di un vero cultore della materia; così mi sono deciso a leggere tutto, le 208 pagine della Cassazione che mi ero ormai immaginato fossero una specie di supplemento della Costituzione italiana. Non è stata una grande idea, almeno dal punto di vista del tardivo apprendimento del diritto. Una sentenza molto affrettata, piena di ripetizioni, disordinata, con almeno un errore di milioni (18,71 milioni di dollari invece di 28,019 come risultato della sottrazione tra 262,7 e 234,8 a pagina 147¹). Gli avvocati di Berlusconi presentano 48 motivi di ricorso, tutti disattivati con profluvio di citazioni tratte dal primo e secondo grado giudizio.
La Cassazione nella sentenza insiste sulla replica puntigliosa in punta di diritto a ciascun motivo di ricorso presentato dagli avvocati del protagonista e alla ulteriore manciata che i coimputati hanno a loro volta presentato. Insomma, un vero spasso. Lo stesso argomento lo si legge cinque o sei volte di seguito: come testimonianza, ricorso, replica del primo e secondo grado, decisione finale di legittimità. A un certo punto, verso pagina 160, la vicenda si ingarbuglia per la presenza di un altro processo simile, Mediatrade, generato da fatti successivi; altri imbrogli fiscali di Berlusconi. Il rischio sarebbe quello di confondere i processi paralleli e mandare il nostro eroe assolto, in base alle recenti leggi sulle prescrizioni ravvicinate. Allora i magistrati tengono il punto fermo, i processi divisi e condannano per la traccia estrema di un antico reato fiscale non completamente “ammortizzato” che proietta le sue conseguenze in un’epoca recente, non coperta dall’ultima prescrizione. La condanna, raggiunta per un margine di truffa molto ristretto, fa pensare a una piccola falla in un compatto sistema difensivo².
Fa pensare alla ripetizione in abiti moderni della saga dell’eroe Sigfrido che si è immerso nel sangue del drago Fafner per rendersi invulnerabile, ma per fatal combinazione una sua spalla è coperta da una foglia durante il bagno e quindi Sigfrido invulnerabile non è. La voce di questa foglia volante gira, anche per ingenuità della moglie Crimilde e il bieco Hagen ha modo di colpirlo a morte. Sigfrido ha fatto insomma tutto da solo; ha ammazzato il drago, ne ha raccolto il sangue, vi si è tuffato dentro, ha trascurato Crimilde, non si è accorto del foglietto: diverso il caso nostro del pelide Achille, neonato, immerso nello Stige dalla buona madre che lo reggeva per il tallone.
Una frase ripetuta una ventina di volte o più ancora nel corso del testo della Suprema Corte è: “Picchia giù sui prezzi”. È uno dei collaboratori più stretti di Berlusconi, Carlo Bernasconi che lo raccomanda ad altri funzionari dell’impresa. I lettori capiscono subito cosa significhi; non è un invito a pagare il meno possibile, ma proprio il contrario: raccomanda di segnare i prezzi più alti possibili al momento di pagare. Fininvest o Mediaset saranno indotte dai propri funzionari a pagare una volta e mezza o due volte quello che il fornitore, per esempio una qualsiasi delle majors di Hollywood, richiede. Un caso per tutti, il noleggio del film “Leone d’inverno” del 1968 di Anthony Harvey (tre premi Oscar compreso quello a Katharine Hepburn) contro una richiesta della Universal di 50 mila dollari ne costerà 120 mila tra 18 luglio 1996 e 1 gennaio 1997. Il 140% di ricarico e quindi di profitto segreto in meno di sei mesi. In generale quello che emerge dal testo della Cassazione è un modello di impresa mediatica, multinazionale, Fininvest o Mediaset, che opera nei sistemi televisivi di vari paesi, mette in onda i programmi che ha prodotto o comprato e ripaga i costi con la pubblicità; che a fianco del sistema ufficiale usufruisce anche di un apparato parallelo, una sorta di Fininvest o Mediaset 2, “sconosciuto” anche al consiglio di amministrazione che ha il compito di acquistare al prezzo commerciale film o serie televisive dalle majors come Metro o Columbia e rivenderlo ad altre strutture aziendali a un prezzo doppio. La major vende la sua merce a un imprenditore che ben conosce, Berlusconi o a un suo rappresentante e poi si disinteressa del seguito. Quando l’acquisto diventa disponibile per Fininvest che lo ha comprato, essa non lo usa direttamente ma lo rivende a un altro utilizzatore (possiamo ben dire: l’utilizzatore finale) a un prezzo molto maggiorato il che è assolutamente lecito. Solo che il nuovo compratore è di nuovo Fininvest, quella ufficiale che non è al corrente del prezzo maggiorato, ma con le sue magnifiche strutture e reti, si serve copiosamente della merce acquistata al fine di incartare la pubblicità che deve vendere. Il marchingegno consente di gonfiare le spese e quindi pagare meno tasse, distorcere dal flusso regolare molto denaro per costituire fondi esteri fuori controllo e fuori legge nonché frodare i soci di Berlusconi, se ce ne sono o gli eventuali azionisti di Fininvest o più tardi di Mediaset. La ricostruzione di questa trafila è dovuta in particolare alle indagini di KPMG, il primo revisore contabile internazionale, spesso citato in sentenza. Sono indicate varie cifre su questi giri: una riguarda diritti dal 1994 al 1998 con prezzo d’acquisto di 135 milioni di dollari e rivendite a 199,5 e dunque un margine di utile del 50% secco. Per dirla con altre parole, Le imprese, le società-frode di Berlusconi2 comprano a colpo sicuro i diritti di serie televisive film per esempio dalla XXth Century Fox che rivendono a Berlusconi1 che li compra e le mette in rete. Il guadagno è sull’attività industriale, sui costi gonfiati che consentono di pagare meno tasse e sulla costituzione di fondi liberi da ogni gravame all’estero, in qualche paradiso fiscale. Il danno e le beffe ricadono sul fisco italiano e sugli azionisti delle società di Berlusconi, oltre che sugli eventuali altri soci.
Tutto questo comincia alla fine del decennio settanta, quando nascono le televisioni di Berlusconi e continua fino agli ultimi anni; risulta che se c’è stato un cambiamento importante, non è dovuto alla “discesa in campo” cioè in politica del cavaliere del lavoro Berlusconi (il titolo onorifico è del 1977, per meriti edilizi), ma alla quotazione in Borsa di Mediaset nel luglio 1996, un fatto che rendeva assai più pericolose le libertà finanziarie precedenti, ora sotto lo sguardo severo del controllore Consob. Così da allora ha lentamente inizio una nuova fase in cui la Mediaset maggiora i costi per comprimere le tasse riducendo al massimo interventi più spericolati. È la nuova fase che la Cassazione ha preferito tenere ben distinta da quella del giro dei diritti.
Silvio Berlusconi è stato dunque condannato, con le conseguenze importanti per le vicende politiche e istituzionali della Repubblica italiana e forse della stessa Unione europea che possiamo immaginare. Rimane il dubbio che la leggera, impalpabile traccia, la bavetta, di pochi milioni di dollari rimasti su un foglietto, il residuato di una grandiosa truffa, per il resto prescritta, siano davvero troppo poco per cambiare il mondo.
Ma c’è dell’altro. Il testo della Cassazione, con le sue forbite 208 pagine, è importante perché ci consente di leggere come girano le multinazionali, o almeno i loro diritti. Come avvenne per Enron anni fa, come per Parmalat o per banca Lehman, o Montedison o Ilva. Una sentenza offre modo di conoscere meglio il mondo in cui viviamo. Ogni tanto questo mondo sommerso torna alla luce. La storia si fa così. Il sistema dell’informazione mette qui a disposizione tutti gli elementi decisivi che emergono dalla sentenza del giudice – della Cassazione in questo caso – per conoscere e per scegliere. Ognuno integra quello che viene a sapere con quello che sapeva già, per il suo lavoro o le sue conoscenze. Poche settimane e poi i poteri, torneranno compatti e metteranno qualche sordina, per ostacolare, distogliere, silenziare, perdonare, dimenticare. Qui vediamo una multinazionale di seconda fascia, ma importante nel suo ambito, che imbosca in qualche zona remota e fuorilegge il denaro sufficiente per aggredire le friabili difese di un paese, conquistarlo con la sua proposta irresistibile; un modello di vita che propaganda per tutti i telespettatori: “arricchisciti; puoi! Dopo sarà tutto più facile”. Occorrono capitali per lo scopo. Occorre vincere nello stesso tempo ogni difesa, ogni persona che faccia resistenza, corrompendo funzionari e leggi, manipolando e devastando. Sembrerà esagerato leggere tutto questo nella legge di Bernasconi “Picchia giù sui prezzi”, ma l’esame accurato del “giro dei diritti” nel quale alla fine sono coinvolte molte o tutte le società del ramo, prive di ogni convincimento morale, visto che quello potrebbe costare, a conti fatti milioni di dollari, se messo in opera; milioni da giustificare assai difficilmente di fronte al tribunale degli azionisti. Quindi pronte tutte a mettere da parte, a imboscare fondi bianchi o neri, a dimenticarsi subito della conclamata base morale del comportamento, tanto in ogni azione quotidiana, quanto nel programma a più lunga scadenza. Berlusconi non è peggio degli altri, forse meglio, al punto che lo hanno premiato, ne hanno fatto il Ceo di un paese decisivo nel mondo. Le altre multinazionali sono come Berlusconi; la Cassazione, senza dirlo apertamente, ci mette sull’avviso e noi possiamo impararlo. Detto altrimenti, oggi le imprese multinazionali sono davvero troppo forti, di fronte alla nostra debolezza; così quando una viene allo scoperto, allora impariamo qualcosa che – forse – riguarda tutte loro e – certo – riguarda tutti noi.
Nota ¹ “ … Correttamente pertanto è stata inclusa nell’imputazione la maggiorazione di costo derivante dal transito dei diritti per IMS e calcolata dalla d.ssa Chersicla in 18,71 mil. di $, importo corrispondente alla differenza tra 262,7 mil di $ di pagamenti effettuati da Mediaset a Ims e i pagamenti ai fornitori che ammontano a 234,681 mil. di $” (pag. 51 sent. I grado)
Nota ² “Il Gup del Tribunale di Milano del 18/10/2011, ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di Berlusconi Silvio in ordine ai reati di appropriazione indebita pluriaggravata e continuata, e di frode fiscale continuata, reati commessi a Milano fino al 30/09/2009 per non aver commesso il fatto. Il ricorso del PM avverso la decisoione è stato rigettato dalla Corte di cassazione con sentenza del 18/05/2012 n. 24075, per come megli si vedrà in seguito. Osserva questa Corte di legittimità che, in realtà, tale decisione non incide in alcun modo e sottoqualsiasi profilo, sulle vicende del procedimento in questione per i seguenti motivi….”