Microinchiesta su come si vive la crisi nel quartiere di una (un tempo) ricca città dell’Emilia Romagna, tra negozi che chiudono e lavori perduti
Per capire i risultati del voto, partiamo da un’inchiesta minima, dalla microstoria di un quartiere in una città di medie dimensioni dell’Emilia Romagna, area tra le più ricche del paese, una delle città dove si vive meglio in Italia. Vediamo come vivono e cosa pensano le classi medie, a partire dai commercianti.
Il bar del quartiere, gestito su base familiare da una coppia di coniugi, è rimasto aperto anche la domenica del voto ma, a differenze delle precedenti tornate elettorali, non fatto molti affari. Elettori, scrutatori e altri addetti alla bisogna – racconta il titolare – hanno speso poco, si sono portati panini, dolci e bevande da casa. Il bar è accanto a una banca importante e a una scuola media. Ma anche qui gli affari calano: gli addetti allo sportello dell’istituto finanziario sono passati da 110 a 25, e anche il numero dei professori si è ridotto. Nel primo caso ha pesato l’automazione, l’home banking, la ristrutturazione organizzativa; sulla scuola hanno colpito i tagli di Tremonti. E negli ultimi anni hanno aperto, nel raggio di duecento metri, altri tre bar, un altro segnale delle difficoltà di trovare altre occupazioni.
Il primo dei tre esercizi, in mancanza di affari adeguati, è da tempo in vendita, senza trovare compratori. Il secondo nei giorni scorsi ha chiuso perché nel locale si è sviluppato un incendio, che alcuni sospettano essere doloso, anche se non c’è alcun elemento specifico che avvalli tale ipotesi; la proprietaria afferma che stava comunque per vendere l’attività. Il terzo infine, è un grande e rinomato bar-pasticceria – con numerosi addetti al banco e al laboratorio, che appare ancora molto frequentato, ma i suoi alti costi lo rendono vulnerabile alla crisi.
A fianco del bar chiuso per l’incendio c’è una tabaccheria, ora chiusa anch’essa per i danni provocati dal fuoco, che sembra sopravvivere soprattutto per i tanti anziani che comprano i “gratta e vinci”. Più in là ci sono i locali di un grande negozio di abbigliamento, che ha chiuso diversi anni fa; negli spazi, restati vuoti a lungo, di recente è apparsa un’assicurazione; a fianco resiste un’altra banca, ma i loro affari sono modesti.
Dietro ai negozi c’è la torre degli uffici, con diversi piani vuoti da tempo, così come anche un’altra struttura analoga, a poche centinaia di metri, la cui proprietà qualcuno sospetta non sia del tutto trasparente. Più in là c’è un negozio coop, il cuore commerciale del quartiere; non c’è più affollamento nei momenti di punta e la gente spende meno di una volta. È invece aumentata la clientela di un paio di discount nei dintorni.
Passiamo al chiosco di un’edicola, gestita da una persona molto professionale; gli affari sono un po’ diminuiti, ma l’attività regge. Anzi, il distributore dei giornali, che viene tutti i giorni da Bologna, si meraviglia come essa riesca ancora a tenere bene il mercato mentre tante altre edicole, a suo dire, in città e altrove, sono in una posizione molto precaria per il forte calo delle vendite. Ma il proprietario dell’esercizio ha problemi con le banche, problemi di fronte ai quali si può intuire – la persona è molto riservata in proposito – che gli istituti si rifiutino di intervenire, pur essendo la sua piccola impresa piuttosto sana dal punto di vista dei conti.
Anche il benzinaio si lamenta degli affari; capita spesso che vengano persone a riempire una tanica di carburante: è gente rimasta senza benzina perché non può più permettersi di fare il pieno. Il bel negozio di abbigliamento del centro è quasi sempre deserto; il proprietario vorrebbe vendere, ma non trova compratori. In centro chiude un esercizio di abbigliamento dopo l’altro, in particolare quelli gestiti da persone anziane, invecchiate nel mestiere e che non hanno potuto adattarsi ai tempi nuovi. Restano in piedi le filiali delle grandi catene internazionali – Benetton, H&M, Zara, Camaieu – che i conti li fanno a livello complessivo, almeno per il momento.
Un grande bar del centro, dopo molte esitazioni, non ha voluto vendere ai cinesi. Alcuni giovani cinesi hanno invece comprato un altro bar, rimasto a lungo con le porte sbarrate, proprio dove c’era la sede centrale di un’importante società, chiusa da tempo. Dopo un anno di gestione anche i cinesi si sono dovuti arrendere. Intanto, la pizzeria più vicina ha abbassato un po’ i prezzi.
Torniamo a casa. Nel grande condominio abita gente di ogni condizione: funzionari di banca, impiegati pubblici, qualche libero professionista, operai, extra-comunitari. Diversi hanno perso il lavoro o hanno uno stipendio ridotto, fanno fatica a pagare le rate del condominio e chiedono proroghe e rateizzazioni.
Tutto questo succede in una città ricca, con un’economia molto diversificata; qui dieci anni fa c’era un mendicante che portava magliette Lacoste e non accettava oboli inferiori a un euro. Che sta succedendo dove la crisi ha colpito di più? E che potrà succedere anche nell’(ex) ricca Emilia Romagna se la crisi dovesse continuare? Da dove possono venire alternative al declino, all’impoverimento, al degrado sociale che si profila? E infine: che cosa ha da offrire la politica a tutte queste persone? Che rapporto possono pensare di avere con la politica del paese?