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Il dinosauro e il leone di Trieste

Nella puntata precedente, dedicata a “un dinosauro nel salotto”, abbiamo parlato dell’effetto domino provocato dal ribaltone in Unicredit in Mediobanca. Qui passiamo al caso Generali, gigante assicurativo, e del suo rapporto con il “nuovo” asse di potere

Quest’articolo prosegue il ragionamento iniziato a proposito di Mediobanca, passando ad analizzare la situazione – assai connessa, come si capirà nel testo – delle Assicurazioni Generali

Le Assicurazioni Generali – notizie di base

La società, fondata nel 1831 a Trieste, ha sin dai primi tempi, grazie alla sua stessa posizione geografica, una presenza importante su molti mercati. Essa è oggi il quinto gruppo assicurativo mondiale per raccolta premi, senza considerare peraltro quelli cinesi, nonché il terzo gruppo europeo, dopo la tedesca Allianz e la francese Axa. Oggi è il leader di mercato in Italia, il secondo gruppo in Francia e in Spagna e il primo assicuratore straniero in Cina (Righi, 2010). E’ molto presente anche nei paesi del suo insediamento tradizionale, in Germania, in Svizzera, in Austria ed in quelli dell’Europa centro-orientale. Sembra puntare ora ad una presenza più importante in America Latina, in particolare in Brasile.

Con le sue ultime mosse in direzione dell’Asia e dell’America Latina la società tende a diventare un’impresa a carattere globale. L’istituto, che governa circa 100.000 dipendenti, è cresciuto di recente sul mercato italiano grazie anche ad acquisizioni di altre compagnie, quali Toro e Ina-Assitalia; la Fonsai di Ligresti rappresenta il secondo gruppo italiano, ma essa è in qualche modo legata a Mediobanca, che ha sottoscritto ingenti prestiti subordinati della stessa Fonsai, che partecipa poi a vari patti di sindacato ed accordi con il raggruppamento Mediobanca-Generali.

Oggi la società ha nel nostro paese una quota di mercato del 28% nel ramo vita e del 20% in quello danni. Essa realizza in Italia solo un terzo dei suoi 70,5 miliardi di premi nel 2009, ma ne trae circa la metà dei suoi margini (Bennewitz, 2010), grazie anche alla sua posizione di maggiore oligopolista del paese.

La concentrazione del mercato assicurativo in Italia è molto alta ed essa è anche cresciuta di recente. Il livello elevato della concentrazione ha favorito, almeno in passato, le intese di cartello; così l’Antitrust, che pure non ha fama di grande severità di controlli, alla fine degli anni novanta ha comminato una multa di 700 miliardi di lire proprio ai primi gruppi assicurativi, colpevoli di intese restrittive della concorrenza. L’Antitrust italiano e anche quello europeo sono poi intervenuti diverse volte, in casi di fusione-acquisizione, obbligando la società che nei vari casi guidava la fusione a cedere dei rami d’azienda per evitare situazioni di limitazioni della concorrenza (Bonafede, 2010, a).

La società è soprattutto concentrata sul ramo vita, che genera circa i due terzi dei premi totali.

Un confronto con i concorrenti europei

L’impresa, che ha attraversato sostanzialmente illesa la crisi, ha chiuso il 2009 con un utile di circa 1,3 miliardi di euro, valore in crescita del 52,1 % sull’anno precedente. I profitti della francese Axa sono stati nello stesso anno di 3,6 miliardi, mentre quelli della tedesca Allianz di 4,3 miliardi. Le differenze appaiono anche maggiori se i risultati economici vengono rapportati al totale dei premi raccolti nello stesso esercizio; essi sono stati, rispettivamente per le tre compagnie, di 70, 84, 93 miliardi (Mucchetti, 2010, b). Così la proporzione tra utili e totale premi è dell’1,85% per le Generali, del 4,28% per la Axa, del 4,62% per Allianz. Per il 2010 la società prevede un volume di affari e degli utili ancora in crescita.

Comunque, da sempre i conti economici della Generali si presentano come non brillantissimi, a causa degli alti costi di gestione –la società presenta, tra l’altro, una struttura organizzativa inefficiente, pletorica, fatta di tante repubbliche autonome-, nonché dei bassi rendimenti degli investimenti, in relazione sostanzialmente all’influenza di ragioni “politiche” nelle scelte relative; temiamo anche peraltro che non tutte le minusvalenze sulle stesse partecipazioni in cui la società è incappata negli ultimi anni abbiano ancora visto la luce in bilancio.

La capitalizzazione di borsa a metà marzo 2010 vede un valore complessivo di 40,7 miliardi per Allianz, di 36,4 per Axa, di 27,1 per Generali; il rapporto capitalizzazione/risultato netto è rispettivamente quindi di 9,5, di 10,1, di 21,2 volte. Il mercato valuta proporzionalmente molto di più le azioni Generali, in relazione alla maggiore stabilità nel tempo degli andamenti del gruppo, stabilità mostrata anche nel corso della crisi – con la capacità della società del Leone di tenersi fuori dai guai speculativi- , per la sua gestione prudente nella contabilizzazione dei costi, nonché per avere sempre pagato un dividendo (Mucchetti, 2010, b).

Per altro verso, le Generali presentano un rapporto tra debiti e patrimonio che è dell’84%, contro ad esempio il 47,7 % di Alianz; ma la società non può aumentare il capitale sociale, come sarebbe necessario, perché esso diluirebbe il controllo di Mediobanca sull’istituto. Così dal 2001 ad oggi essa ha registrato un solo aumento di capitale per 2,6 miliardi, mentre nello stesso periodo Axa ed Allianz lo hanno rispettivamente incrementato di 11,1 e di 18,5 miliardi (Bonafede, 2010, b).

Forza economica e debolezza politica

Si deve registrare una grande contraddizione tra la forza economica e finanziaria del gruppo- si pensi soltanto al fatto che esso possiede alla fine del 2009 un portafoglio di investimenti pari a 341 miliardi di euro – un’enormità- e contemporaneamente la sua tradizionale debolezza politica, essendo soggetto, almeno sino a ieri, ai voleri di Mediobanca e, sia pure in minore misura, di altri soci importanti. Ma con Geronzi ora molte cose potrebbero cambiare.

Una quota rilevante degli investimenti azionari, per circa 28 miliardi di euro, è stata a suo tempo utilizzata per affiancare Mediobanca nella sua attività di sostegno ai grandi gruppi nazionali. Qualcuno dei responsabili della società ha affermato tempo fa che le Generali, nella sostanza, era “Il bancomat di Mediobanca”.

La blindatura

L’accordo che ha portato Geronzi alla presidenza di Generali fa gli interessi di molti attori:

1) intanto dei vari gruppi facenti parte di quello che è rimasto del salotto buono, da Caltagirone, a Ligresti, a Tronchetti Provera, a Benetton, a Impregilo;

2) di Berlusconi, che continua a conquistare posizioni nella galassia e di cui Geronzi è un amico molto stretto. Da considerare, in specifico, che il cavaliere è presente nel patto di sindacato di Mediobanca attraverso la Fininvest con 1% del capitale, mentre un altro 3,3% è controllato attraverso Mediolanum –ricordiamo poi che Berlusconi, controlla direttamente molte imprese, da Mediaset a Mondadori e, attraverso il suo ruolo di presidente del consiglio, anche le imprese a predominante partecipazione pubblica, da Eni ad Enel a Finmeccanica-; ora, con l’estromissione di Profumo da Unicredit la strada appare abbastanza sgombera per ulteriori, importanti, conquiste;

3) dello stesso Geronzi, inseguito dalle sue molteplici vicende giudiziarie; le normative in merito nel settore bancario sono più rigide ed impegnative di quelle del settore assicurativo e quindi trasferendosi in quest’ultimo comparto egli spera di essere più protetto.

Ma, con queste operazioni, l’establishment cerca di blindarsi dalle minacce esterne giocando in difesa. Una caratteristica di questo sistema, che meraviglia in particolare la stampa estera, è il permanere e l’estendersi nel nostro paese di una gerontocrazia tenace e inamovibile (Lex, 2010), che non appare certo in grado di portare la nostra economia e la nostra società fuori dalle secche in cui si è cacciata.

Va rimarcato che la parte più dinamica e internazionalizzata del capitalismo italiano, in particolare i gruppi Fiat e Unicredit, così come un numero rilevante di imprese medio-grandi, stavano nella sostanza fuori, sia pure in forme diverse, dall’accordo; peraltro, con i nuovi scenari che si profilano, almeno in Unicredit le cose potrebbero cambiare.

La Fiat non ha più se non qualche debolissimo legame con Mediobanca-Generali, con gli Agnelli e Marchionne del tutto disinteressati alla partita.

La situazione di Unicredit appare diversa. La banca ha una partecipazione molto importante in Mediobanca, ma, sotto la guida di Profumo, la sua azione nei confronti del gruppo di potere guidato da Geronzi, sembrava eminentemente di tipo difensivo, di tutela dei propri interessi azionari, nonché di una immagine più dignitosa di imprenditorialità e di una strategia aziendale più rivolta all’innovazione e alla gestione interna. Ora però lo scenario potrebbe ribaltarsi.

Il futuro del gruppo Mediobanca-Generali

Così Generali si trova ora ad un bivio. Essa opera intanto in un mercato globale sempre più competitivo e difficile, con regole tendenzialmente più severe anche per il settore assicurativo, con la necessità anche, tra l’altro, di maggiori livelli di capitale. L’istituto avrebbe inoltre bisogno di un salto imprenditoriale, con l’individuazione di possibili acquisizioni e alleanze societarie, di un forte aumento di capitale finalizzato all’espansione, di una ristrutturazione organizzativa, mirata a semplificare e professionalizzare la struttura e a ridurre i costi; e noi pensiamo che il management della compagnia stia probabilmente analizzando ipotesi di questo genere.

Invece, Geronzi – che non ha, tra l’altro, alcuna esperienza del settore assicurativo- e gli imprenditori e politici suoi associati pensano alle ristrutturazioni del potere, con un’eventuale fusione Mediobanca-Generali, che potrebbe assumere varie forme societarie, la più probabile delle quali è che essa possa avvenire sotto il ruolo guida delle stesse Generali – azienda sino a ieri invece sostanzialmente sotto il controllo di Mediobanca- e lo spostamento dell’asse di comando del gruppo in quest’ultima struttura. Per il momento ci sono le smentite dei principali interessati sull’eventualità di una tale operazione, ma esse lasciano il tempo che trovano. La dimensione internazionale e i problemi di gestione interna interessano molto di meno il nuovo gruppo di comando. L’ipotesi della fusione presenterebbe dei problemi tecnici di qualche peso (Mucchetti, 2010, a), ma la fantasia giuridico-societaria e il potere di influenza del gruppo di potere che sembra controllare il gioco potrebbero sormontarle presumibilmente senza gravi difficoltà.

Testi citati nell’articolo

-Bennewitz S., Generali, l’agenda del dopo-Bernheim, La Repubblica, Affari & finanza, 15 marzo 2010

-Bonafede A., Concentrazioni, i magnifici cinque gruppi, La Repubblica, Affari & finanza, 26 aprile 2010, a

-Bonafede A., Il nuovo ciclo di Generali, La Repubblica, Affari & finanza, 31 maggio 2010, b

-Comito V., Storia della finanza d’impresa, Utet libreria, Torino, 2002, 2° volume

– De Cecco M., Ferri G., Le banche d’affari in Italia, Il Mulino, Bologna, 1996

-Giannini M., Geronzi verso le Generali, il potere economico si blinda, La Repubblica, 1 febbraio 2010, a

-Giannini M., La mossa del gattopardo, La Repubblica, 27 marzo 2010

-Giannini M., Fusione Mediobanca-Generali, Geronzi prepara la nuova battaglia, La Repubblica, 4 aprile 2010,

-Lex, Generali/Mediobanca: gerontocratic Italy, www.ft.com, 18 febbraio 2010

-Manacorda F., Generali, l’era Geronzi, più poteri agli azionisti, La Stampa, 24 aprile 2010

-Mucchetti M., Il potere dei manager e la nuova Mediobanca, Corriere della sera, 20 maggio 2010, a

-Mucchetti M., Polizze, la grande sfida con Allianz e Axa, Corriere della Sera Economia, 22 marzo 2010, b

-Righi S., Generali, la potente ragnatela del Leone, Corriere della Sera Economia, 22 marzo 2010