Prima società italiana in fatturato e utili, lavora in 77 paesi e ha alle dipendenze un esercito multinazionale di mercenari. La sua politica estera, al momento, ha gli stessi confini di quella di Berlusconi: si rafforzano le relazioni con Libia, Kazakhstan, Russia. Mentre l’Unione europea minaccia azioni antitrust
Il gruppo Eni, che è oggi presente in 77 paesi, opera nei settori dell’exploration & production, il cosiddetto up-stream, cioè nella ricerca e estrazione di idrocarburi, petrolio e gas, il suo business primario, da dove trae la parte più consistente dei suoi profitti; nel gas & power, ovvero nel trading, trasporto e distribuzione di gas, nonché della produzione e distribuzione di energia elettrica, business che comunque fornisce una parte di utili rilevante e nel quale, in genere, non sono presenti gli altri produttori; nella petrolchimica, area ormai marginale ed in perdita, ma intorno alle cui attività si sono combattute nei decenni passati tante battaglie imprenditoriali, politiche, giudiziarie; nell’engineering, con la controllata Saipem; infine, nel settore della raffinazione & marketing dei prodotti petroliferi, attività ormai anch’essa marginale.
La presenza in tutti questi business fornisce al gruppo, secondo le dichiarazioni dei suoi dirigenti, un portafoglio di attività abbastanza diversificato, che lo protegge, almeno in parte, dagli avversi andamenti della congiuntura nel settore primario.
Così ad esempio nel 2007, prima della crisi, l’exploration & production forniva 6,3 miliardi di euro di profitti, il gas & power 3,1, l’engineering 0,7; nel 2009 il contributo del primo settore era crollato a 3,8 miliardi, a causa della crisi, ma il secondo reggeva il colpo, fornendo 2,9 miliardi, il terzo era persino cresciuto a 0,9 miliardi; così gli ultimi due comparti avevano insieme attenuato lo scivolone del primo.
Si approfondisce il processo di multinazionalizzazione del gruppo, via obbligata per la crescita nel settore. Oggi il peso dei paesi africani nelle attività della società si colloca intorno al 50% del totale, anche se nell’area va crescendo la parte dei paesi nuovi rispetto alle presenze tradizionali in Algeria, Egitto, Libia. In prospettiva, dovrebbe aumentare la quota dell’Asia e del Medio Oriente, con l’entrata in produzione, nei prossimi anni, dei grandi giacimenti del Kazahkstan e dell’Iraq, nonché quella dell’America Latina, con l’avvio delle nuove iniziative in Venezuela. Ma anche le attività russe appaiono promettenti.
L’Eni è la prima società italiana in termini di fatturato e di utili. Le cifre mostrano come l’andamento dei profitti, in genere molto elevati, sia abbastanza legato a quello dei prezzi del petrolio sui mercati. Mentre il fatturato di gruppo risultava uguale a 86,1 miliardi di euro nel 2006 e a 87, 2 miliardi nel 2007, ma scendeva a 83, 2 nel 2009, gli utili netti erano pari a ben 9,2 miliardi di euro nel 2006, salivano a 10,0 nel 2007, mentre crollavano a 4,4 nel 2009, con un andamento in linea con quelli delle altre imprese del settore. Le cifre mostrano anche, d’altro canto, come gli utili abbiano a che fare in primis con il controllo oligopolistico dei mercati e meno con le capacità gestionali delle singole imprese.
Sul fronte finanziario va registrato nel 2009 un aumento nel livello di indebitamento di circa il 25%. In generale, si è trattato comunque di un anno deludente per l’azienda; i portavoce del gruppo sottolineano peraltro come le prospettive economiche e finanziarie di medio-lungo termine siano invece molto positive, in particolare con la prossima entrata in produzione di alcuni grandi giacimenti in Kazakhstan, Venezuela, Iraq. Il rischio è però che l’avvio di tali iniziative slitti in misura rilevante nel tempo, come è già successo ripetutamente nel caso almeno del primo paese con il progetto Kashagan, con conseguenze che potrebbero essere di difficile gestione.
Gli analisti della Goldman Sachs valutano comunque che la società, nonostante le nuove iniziative sopra indicate, avrà qualche difficoltà nel continuare a sostituire le sue riserve e dovrà fare presto altri investimenti per trovare nuovi giacimenti.
All’interno del gruppo opera la Saipem, che è specializzata nel settore dei servizi alle imprese del settore e la cui attuale dimensione in termini di fatturato è pari a circa 10,3 miliardi di euro per il 2009. Come abbiamo già sottolineato, Il business presenta in genere un ciclo economico temporalmente differente da quello petrolifero. Così quest’ultimo comparto ha visto un sostanziale calo dei profitti in relazione alla crisi economica, mentre la Saipem ha registrato una sostanziale tenuta, per il fatto che nel 2009 sono stati portati avanti lavori largamente acquisiti negli anni precedenti. La situazione potrebbe invece invertirsi nel 2010. In ogni caso le prospettive dell’impresa sembrano abbastanza positive, almeno nel breve-medio termine.
Nel giugno del 2010 l’amministratore delegato del gruppo, Paolo Scaroni, ha presentato le strategie di sviluppo all’orizzonte 2013. Mentre egli ha confermato gli obiettivi di produzione di 2 milioni di barili estratti al giorno per quell’anno – oggi siamo intorno agli 1,8 milioni di barili, livello sostanzialmente immutato da alcuni anni -, traguardo il cui raggiungimento è stato già rimandato nel tempo alcune volte, ha indicato tra gli obiettivi operativi che la società intende raggiungere una rilevante crescita del volume di attività per linee interne, senza acquisizioni di rilievo, ha confermato la struttura organizzativa della società che prevede l’integrazione tra oil & gas, ha sottolineato infine che il gruppo mira allo sviluppo di grandi giacimenti, nei quali è possibile raggiungere significative economie di scala.
I rapporti con la politica
Sono certamente lontani i tempi di Mattei, che aveva stretto rapporti molto aperti con alcuni paesi produttori, ai quali accordava condizioni molto più favorevoli di quelle “di mercato”, mentre manteneva le distanze dalle sette sorelle. Mattei dettava poi, nella sostanza, la linea politica ai governi del nostro paese. Oggi qualsiasi differenza di trattamento dei paesi produttori appare cancellata, i rapporti con le altre major del settore sono molto cordiali, quasi intimi e la società intreccia con loro fittissime joint-ventures. Lontani sembrano anche i tempi di “mani pulite”, quando, tra l’altro, si scoprì che la società era uno dei centri principali del sistema corruttivo nazionale, avendo tra l’altro messo in piedi una fittissima rete di finanziarie – circa 200 -, per una parte consistente con scopi non propriamente legati alla gestione del business, con i fatti spiacevoli che ne erano seguiti.
I legami con la politica in Italia sono oggi comunque molto stretti, anche se in parte almeno rovesciati per quanto riguarda i rapporti di forza tra i due soggetti; sia il presidente che l’amministratore delegato della società sono degli intimi di Silvio Berlusconi. Anche le relazioni politiche e tecniche con paesi come la Libia, il Kazakhstan, la Russia, appaiono molto cordiali, anche in relazione all’affinità nello “stile di gestione” degli affari pubblici del nostro presidente del consiglio con gli attuali reggenti dei paesi citati. La società sottolinea, per quanto riguarda l’Italia, come nell’ultimo periodo le riunioni dei suoi dirigenti con il personale della Farnesina abbiano assunto una cadenza mensile; il nostro ministero degli esteri è in effetti diventato un fornitore importante di servizi all’azienda.
Un caso come quello del gasdotto Southstream, un progetto che dovrebbe portare rilevanti quantità di gas dalla Russia verso l’Europa occidentale, facendo nella sostanza concorrenza ad un progetto della Comunità Europea, e di cui sono capofila Eni e Gazprom, mostra comunque l’ampia autonomia della politica estera dell’Eni da quella “atlantica” e da quella europea, autonomia apparentemente non vista benevolmente dalla stessa Casa Bianca.
Il lavoro e le imposte
Un aspetto rilevante della gestione Eni, così come di quella delle altre imprese del settore, è costituito dallo scarso peso del fattore lavoro sul totale dei costi aziendali. Considerando anche le remunerazioni dell’alta dirigenza, in complesso il costo del lavoro nel gruppo pesa per poco più del 4% sul fatturato e comunque molto meno dei profitti. Così, ad esempio, nel 2007 tali costi, pari in totale a 3,8 miliardi di euro, rappresentavano appena il 4,35% del fatturato, soltanto il 35% dei profitti netti e il 19% di quelli lordi, mentre l’azienda pagava anche 9,2 miliardi di euro di tasse sugli utili, una cifra pari a circa due volte e mezzo lo stesso costo del lavoro.
Con questi numeri, l’Eni è inoltre, di gran lunga, il primo contribuente italiano considerando le imposte sugli utili, ma esso fornisce ogni anno anche un significativo contributo alla stato sia attraverso la distribuzione dei dividendi, dal momento che il settore pubblico mantiene una quota del 30% nel capitale della società –più o meno come nei casi di Finmeccanica ed Enel; un altro 10% è posseduto dalla stessa azienda, ciò che rende abbastanza difficile una possibile scalata al titolo-, sia inoltre, ovviamente, attraverso la enorme raccolta alla pompa delle imposte indirette che gravano sugli acquisti dei carburanti.
Sempre in tema di lavoro, appare rilevante segnalare come una parte consistente dei dipendenti dell’Eni, come delle altre imprese del settore, sia costituita, nei vari cantieri in giro per il mondo, da un’armata di mercenari, che vagano spesso da un’impresa all’altra, alla ricerca continua di migliori condizioni, in un mercato in cui di frequente prevale l’offerta di lavoro da parte delle imprese sulla domanda. Gli espatriati anglosassoni costituiscono la fetta più consistente delle fasce dirigenziali e operative di livello elevato, mentre quelli dei paesi più poveri costituiscono gran parte della manovalanza.
La situazione organizzativa e ambientale
Nel settore il gruppo Eni viene considerato tra quelli più deboli come capacità di gestione interna. Tra le diverse possibili manifestazioni di tale fenomeno si possono segnalare la tradizionale minore abilità nel controllo dei costi della società italiana e alcune rilevanti debolezze organizzative, che sono, ad esempio, emerse nella gestione del progetto Kashagan in Kazakhstan e che hanno anche contribuito a portare ad una perdita di peso della società nel governo di un progetto così importante. Le ragioni di tali debolezze devono forse fare riferimento sia alle più generali e storiche carenze delle grandi imprese nazionali su questo fronte, sia, nel caso specifico dell’Eni, alla cultura tradizionalmente tecnico-ingegneristica che pervade ancora oggi l’impresa e che il contatto quotidiano, nelle varie joint-ventures, con le imprese più avanzate del settore riesce solo molto lentamente a far cambiare.
Un aspetto rilevante della gestione dell’azienda appare quello legato alla sostenibilità ambientale delle sue attività. L’impresa, nei documenti ufficiali, nonché nei discorsi dei suoi massimi dirigenti, non manca di solito di segnalare la sua vocazione ad una gestione sostenibile.
Ma, da una parte, il gruppo è uno di quelli che si è impegnato di meno, nei fatti, a sviluppare attività nel campo delle energie rinnovabili e del risparmio energetico. Dall’altra, come abbiamo già accennato, esso non sembra aver mancato di contribuire negli scorsi anni a diversi problemi ambientali in giro per il mondo, dal Kazakhstan all’Ecuador.
Scorporo del gas e pratiche monopolistiche
Da qualche tempo un fondo di investimento statunitense, quello Knight Vinke, insiste per la separazione e il collocamento in due unità societarie separate delle attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi da una parte, di quelle di trading, trasporto e distribuzione di gas dall’altra, sostenendo che in tal modo, almeno dimezzando tra l’altro il rilevante debito che fa capo alla società e annullando il cosiddetto conglomerate discount che i mercati applicano alle imprese diversificate, il prezzo delle azioni e il valore della società, oggi fortemente sottovalutati rispetto alle altre imprese del settore, aumenterebbe di circa il 50%.
L’Eni e commentatori vicini alla società –si veda, ad esempio, Colitti, 2010- sottolineano invece come esistano importanti sinergie produttive tra i due settori, mentre la presenza anche nel gas conferirebbe al gruppo un alto potere negoziale nei confronti dei paesi produttori e mentre, in caso di scorporo dello stesso, la parte petrolifera dell’Eni sarebbe indebolita dalla mancanza dei flussi di cassa provenienti dal primo settore; si sottolinea anche la strategicità crescente dello stesso metano.
In ogni caso, nel settore della distribuzione di gas la società si pone per il 2013 l’obiettivo di una quota di mercato del 22% in Europa, quota oggi un po’ inferiore nel continente, ma molto più elevata in Italia, dove essa gode di una situazione quasi monopolistica, con le rendite relative, mentre le authority di controllo italiana ed europea insistono per allentare in qualche modo tale situazione. Dopo una pronuncia in sede comunitaria, in specifico su Snam rete gas pende una decisione del governo italiano che dovrebbe costringere la società a vendere il settore o a semplicemente scorporarlo dal punto di vista organizzativo.
Che il problema possa avere qualche fondamento è anche indicato dal fatto che l’Unione europea, mentre ha imposto la cessione di alcuni gasdotti internazionali nel Nord Europa, ha parallelamente avviato una procedura antitrust contro il gruppo, sospettato di comportamento anticompetitivo nei confronti dei suoi potenziali concorrenti.
Testi citati nell’articolo
– Bezat J.-M., Les compagnies pétrolières ont une puissance relative, www.lemonde.fr, 2 giugno 2010
– Colitti M., Perché bisogna impedire lo “sfascio” dell’Eni proposto da Knight Vinke, Il Sole 24 Ore, 29 gennaio 2010
– ITPOES, The oil crunch, Londra, febbraio 2010
– Leader, The deepwater disaster is a chance to bring big oil to heel, www.nestatesman.com, 17 giugno 2010
– Macallister T., US military warns oil output may dip causing massive shortages by 2015, www.guardian.co.uk, 11 aprile 2010
– Mouawad J., China’s growth shifts the geopolitics of oil, www.nyt.com, 19 marzo 2010
– Occorsio E., Benzina, il grande imbroglio, La Repubblica, affari & finanza, 3 maggio 2010
– Rachman G., Shale gas will change the world, www.ft.com, 24 maggio 2010
– Rava C., Le colonne d’Ercole del petrolio, www.sbilanciamoci.info, 7 aprile 2010
– Shah S., Crude, trad. it. Oro nero, breve storia del petrolio, Mondadori, Milano, 2005
– Wachman R., Stibbs J., Anger grows across the world at the real price of “frontier oil”, www.guardian.co.uk, 20 giugno 2010