La Fiat chiama, il governo risponde. Ma gli aiuti all’auto non aiutano la collettività. Meglio varare un piano straordinario per la mobilità
Con la prima azione si dovrebbe dar vita a una pluralità di fondi pubblici, finalizzati al finanziamento di progetti promossi dagli Enti locali per rafforzare il trasporto pubblico, agevolare gli spostamenti a piedi e in bici, diffondere le forme innovative di trasporto (car sharing, city logistics, ecc.). A livello regionale si dovrebbero costituire dei fondi unici per i trasporti, che non disperdano più le risorse in azioni su singole infrastrutture o modalità, ma le finalizzino tutte a piani di area vasta, metropolitana o provinciale. A livello nazionale il quadro legislativo sui Piani Urbani della Mobilità è da anni in vigore; si tratta di adeguarlo alle nuove necessità e – soprattutto – di attivare le risorse necessarie, con un orizzonte di 10-15 anni e importi pari a quanto oggi è previsto per le grandi opere per i trasporti, che quindi dovrebbero essere definanziate (a partire dalla Torino-Lione a dal ponte sullo Stretto di Messina). A livello europeo si dovrebbe aprire un capitolo specifico all’interno degli schemi sulle reti europee per finanziare le infrastrutture al servizio del trasporto regionale e metropolitano.
Una seconda linea di azione dovrebbe strutturarsi come piano europeo di riconversione dell’industria dell’auto, che accompagni la sua transizione verso il sistema della nuova mobilità urbana. Un piano da fondare su tre pilastri: a) ammortizzatori sociali e formazione per evitare ogni “macelleria sociale” a danno dei lavoratori del settore; b) commesse straordinarie delle amministrazioni e delle aziende pubbliche per lo sviluppo della trazione elettrica (treni, metro, tram, bus, furgoni, taxi, moto); c) sostegni all’integrazione con produttori di componenti e sistemi per la nuova mobilità urbana, centri di ricerca, enti locali, soggetti del credito, ecc. Anche in questo caso sarebbe necessaria un’azione a livello europeo che consenta di raggiungere la massa critica necessaria in azioni di questo tipo; tra l’altro, proprio un’azione congiunta europea consentirebbe di superare ogni possibile obiezione in materia di “aiuti di Stato”.
Si tratta di obiettivi allo stesso tempo ambiziosi e ancora non condivisi, neanche a sinistra, dove persino un dibattito sul futuro dell’industria dell’auto stenta a prendere piede. E’ dunque necessaria innanzitutto un’azione politica di sensibilizzazione e di mobilitazione, che metta in rete le tante esperienze locali a sostegno di un modo nuovo di concepire la mobilità delle persone e delle merci e che apra finalmente una discussione con i lavoratori dell’industria dell’auto. La scorsa primavera – quando la crisi dell’auto aveva toccato l’apice – un confronto finalmente non scontato su questi temi aveva cominciato ad avviarsi, proprio a partire dalle aree di crisi dell’industria dell’auto, sia italiane (si pensi a Pomigliano) che europee (ad esempio nell’area di Lisbona). Da lì si dovrebbe ripartire.
* l’autore è promotore di noauto, associazione che promuove un sistema di mobilità alternativo all’automobile