Come agisce davvero la finanza tanto temuta e di cui tanto si parla in questi giorni? Il problema è affrontato in un articolo che parla dei protagonisti e delle loro, tutto considerato, poche e semplici ricette base
Le possibili vie della speculazione finanziaria sono molte, anche se tutte tendono alla stessa meta, che è quella di cercare di aumentare al massimo il rendimento del proprio denaro. Noi cercheremo di descriverne soltanto alcune tra le più importanti.
La prima tappa dell’indagine ci porta a chiederci da dove vengano i capitali che alimentano la speculazione.
Il fatto è che oggi il mondo rigurgita di denaro, alla frenetica ricerca di un qualche impiego remunerativo di tipo finanziario. Gli ultimi anni ottanta e quelli novanta del Novecento, nonché i primi sette anni del nuovo secolo, hanno visto in effetti un’esplosione della ricchezza mondiale. È noto che nel periodo citato la parte di tale ricchezza che è andata al lavoro è declinata, mentre quella spettante al capitale sotto le sue varie forme è parallelamente aumentata. Così i profitti delle multinazionali, le royalties petrolifere, le risorse derivanti dall’evasione fiscale italiana, l’aumento quale che ne sia l’origine dei beni delle persone già privilegiate, si sono trasformati in un fiume inarrestabile, in piena perenne, che si dirige verso i nodi focali del sistema, Londra e New York. Qui essi una volta si scateneranno sulla borsa, un’altra sulle materie prime o sull’euro e così via.
Il secondo passo della nostra riflessione consiste ora nell’individuare quali siano i canali attraverso cui vengono indirizzate tutte queste risorse. Tra di essi, ne spiccano in particolare due di prima grandezza.
Il primo è costituito dalle grandi banche di investimento, a partire dalla più prestigiosa di tutte, la Goldman Sachs, negli ultimi tempi invischiata in molti scandali legati alla crisi. Tali organismi hanno funzionato per un lungo periodo come i grandi innovatori del sistema finanziario capitalistico, coprendo per molti aspetti il ruolo di veri “intellettuali organici” del sistema. Essi hanno preso da tempo l’abitudine di speculare in proprio, oltre che per i loro clienti, attraverso anche un elevato livello di indebitamento. Con la crisi, il settore ha conosciuto grossi guai e ha subìto una profonda ristrutturazione, ma ora esso, sia pure ormai a ranghi ridotti, sembra avere ripreso la spinta di un tempo.
Gli altri grandi protagonisti sono gli hedge fund. Essi sono, nella sostanza, dei fondi di investimento a vocazione altamente speculativa, nonostante il nome che in inglese significherebbe invece fondi di copertura. In generale, per l’alta quota di ingresso, sono sostanzialmente riservati ai ricchi. Un hedge fund utilizza di solito meccanismi quali un alto livello di leverage (indebitamento) per mobilitare un volume di capitali molto maggiore di quello messo in gioco dagli investitori del fondo, nonché, altro grande punto d’attacco del gioco, il mercato dei derivati (si veda in specifico più avanti). E per molti anni i profitti non sono mancati in molte di tali strutture, anche se non in tutte. La chiusura forzata di due fondi controllati dalla banca di investimento Bear Stearns è stato, nel giugno 2007, il primo atto ufficiale della crisi del sub-prime. A partire dal 2008 una parte molto consistente del comparto è entrata in crisi e i rendimenti si sono fortemente degradati. Negli ultimi tempi le relativamente poche strutture sopravvissute si sono riorganizzate e hanno ripreso a mordere i mercati.
Storicamente è noto il ruolo svolto nel primo periodo del loro sviluppo, negli anni novanta del Novecento, nell’affondamento della sterlina e dei progetti monetari europei, sotto la guida in particolare di George Soros. Oggi la massa dei patrimoni gestiti dagli hedge fund si aggira intorno ai 2 mila miliardi di dollari. La più grande organizzazione del settore è la statunitense Bridgewater Associates, che conta al momento più di 90 miliardi di dollari di attività. I ricchi del mondo, i fondi pensione, i fondi sovrani, affidano grandi quantità di risorse a tali strutture.
La terza tappa della nostra breve indagine consiste ora nell’individuare alcune delle tecniche attraverso cui si cerca di speculare. Ne ricorderemo due: lo short selling e i cds.
Lo short selling (vendita allo scoperto) consiste nella pratica di vendere a termine delle azioni senza averne la proprietà, sperando di ricomprarle più tardi, al momento di consegnarle al compratore, a un prezzo inferiore, realizzando così un profitto. Un operatore, che esso sia una grande banca di investimento o un hedge fund, quando avvia un’operazione di short selling, cerca di spingere in vari modi il prezzo di mercato del titolo interessato verso il basso e in certi casi è tentato, tra l’altro, anche di diffondere false voci in borsa per far scendere il suo valore.
I credit default swap (cds), infine, sono degli strumenti della categoria dei derivati che assicurano gli investitori contro il mancato pagamento di un’obbligazione e contro il fallimento di un’impresa o anche di un paese. Tali strumenti sono stati ampiamente utilizzati prima e durante la crisi e continuano a esserlo negli attuali frangenti. I cds, come più in generale tutti i derivati, sono nati come strumenti di protezione dai rischi in cui incorrono le imprese, ma oggi il loro ruolo preponderante è quello di strumenti di speculazione. Così nel 2007 si era arrivati a un livello di circolazione di cds nel mondo per circa 62.000 miliardi di dollari, una cifra veramente enorme. La crisi, anche in questo caso, aveva messo un po’ la sordina a tali strumenti, ma ora essi stanno riprendendo vigore. La gran parte di tali cds non è poi soggetta ad alcun controllo: essi vengono negoziati al di fuori di ogni struttura ufficiale (over the counter).
articolo pubblicato su il manifesto del 14 luglio 2011