Un default della Grecia, con o senza uscita formale dell’unione monetaria, sarebbe catastrofico per l’intera Ue. A pagare sarebbero i più deboli nella società
Fervono contatti e preparativi prima del vertice destinato a porre una parola se non finale almeno decisiva sulla saga greca. Merkel, Hollande, Juncker (con Renzi sempre desaparecido, pare per scelta) e Tsipras si sono parlati al telefono, c’è stato un consiglio dei ministri con in discussione nuove proposte, che sulla base di indiscrezioni non ufficiali potrebbero consistere nell’eliminazione dei prepensionamenti dall’anno prossimo, un aumento di tasse per i redditi privati e di imprese oltre una certa soglia o alcune concessioni sull’aumento dell’IVA, oltre ad una sorta di taglio automatico in caso di nuovo deficit. In cambio, si cerca sempre una forma di riduzione del debito e di non aggravare la crisi umanitaria colpendo le pensioni o aumentando il costo dell’energia.
La drammatizzazione e la relativa mobilitazione intorno alla riunione potrebbe mettere la giusta pressione sui protagonisti.
Anche se io ho sempre pensato che si è trattato di una storia assurda, che causa sofferenze inutili a milioni di persone: il problema del debito greco (economia che rappresenta il 2% dell’economia UE e le cui esportazioni sono paragonabili a quelle della provincia di Reggio Emilia) poteva essere risolto facilmente nel 2010 con un parziale atto di garanzia e mutualizzazione del debito, rifiutato dalla Merkel in piena campagna elettorale nel Baden Wuttenberg (elezioni poi perse) e in svariate altre occasioni negli anni successivi.
Credo che qualsiasi valutazione su quello che succederà non potrà dimenticare questo dato di profonda ed evitabile sofferenza umana e di enorme spreco di risorse pubbliche.
Ciò detto, il momento non è adatto a spulciare la lunga lista dei colpevoli, greci ed europei. Bisogna concludere. Un default della Grecia, con o senza uscita formale dell’unione monetaria sarebbe catastrofico per l’intera UE. L’onere di tale situazione cadrebbe in modo sproporzionato sui più deboli nella società, coloro che sono già colpiti dalla crisi e che pagano le conseguenze di politiche fortemente sbilanciate e di scarso impatto.
Però, occhio alla fregatura: ci sono varie trappole che devono essere evitate: un accordo finto o un rinvio, ma anche e soprattutto un cattivo accordo, nascosto dietro l’eventuale grancassa di un’armonia europea ritrovata. Uno di quelli che sono da qualche anno la specialità delle riunioni intergovernative europee. Sulla Grecia, poi, l’elemento emotivo, le simpatie e antipatie personali, l’ideologia hanno giocato e giocano un ruolo enorme. Solo qualche giorno fa, per esempio, l’ex presidente della banca centrale belga, Luc Coene, che oggi lavora per la BCE, se ne è uscito pubblicamente con l’affermazione che sarebbe utile dare una bella lezione ai greci e a i suoi sostenitori europei; nel dibattito pubblico non è facile trovare vere informazioni, a parte le valutazioni caratteriali di questo o quel ministro, su cosa davvero si stia negoziando; e soprattutto su quanto costerebbe un default greco a parte naturalmente la prospettiva di non recuperare quasi nulla dei prestiti (in euro) concessi alla Grecia e finiti in gran parte a ripagare i creditori: dal 2010 a oggi, dei 252 miliardi prestati, solo 27 miliardi sono finiti ad aiutare a mantenere in piedi lo stato greco. Il resto è finito a ripagare creditori e interessi; dunque, BCE e banche francesi e tedesche in testa, hanno per ora guadagnato e non perso dalla saga in corso. Mentre ci sono dati terribili sugli effetti dei tagli sulla vita quotidiana dei Greci; fra i tanti voglio citarne due che mi hanno molto colpito: i trasferimenti ai 140 più importanti ospedali greci sono passati da 650 milioni di euro a 43 milioni: tre milioni di cittadini greci attualmente non hanno assicurazione malattia e si affidano a cure sanitarie prestate da medici ed infermieri volontari in cliniche di beneficenza finanziate da donazioni. E come ci informa il Sole24 ore, i tagli al bilancio greco sono equivalenti a un taglio del bilancio italiano dal 2010 ad oggi di 234 miliardi di euro.
Un buon accordo, dunque, deve rompere la spirale recessiva di nuovi tagli, nuove tasse, quindi ancora meno crescita e più debito, che Varoufakis denuncia da anni e deve aprire la strada ad una ristrutturazione ordinata e condivisa del debito greco; non tanto per fare sconti, ma per garantire che almeno una parte del debito sarà ripagato e che questa tragica crisi possa rompere una volta per tutte col malgoverno e la corruzione, che stanno alla base della crisi ellenica.
Un buon accordo deve comportare la decisione della UE di rilasciare l’ultima tranche di € 7,2 miliardi del programma di salvataggio, smettendo di subordinarla a condizioni irrealizzabili, concedendo una maggiore flessibilità sulle misure fiscali previste per il 2015 e collegando gli obiettivi di bilancio alla crescita economica, come proposto ormai da mesi dal governo greco. Crescita economica che non potrà che venire da un piano di investimenti pubblici e privati europeo serio, che punti a un reale rafforzamento e riforma del sistema produttivo greco, fuori da un turismo fatto di hotel a cinque stelle e di pressione sulle coste o da piani farlocchi di trivellazioni di gas e petrolio concessi ai russi; un piano di investimenti che punti sugli atout della bellezza, del paesaggio, della cultura, di un’agricoltura di qualità e che accompagni la Grecia sulla strada di una transizione verso l’autosufficienza energetica e lo sfruttamento dell’enorme potenziale economico rappresentato dalle energie rinnovabili e l’efficienza energetica.
I capi di stato e di governo, tutti, devono comportarsi da europei; Tsipras deve come promesso potersi mettersi una bella cravatta. E noi dobbiamo assicurare con la nostra mobilitazione e pressione che lo facciano davvero.